‘Jeanne d’Arc e il suo doppio’ (Guanda, 2008) è il titolo che Maurizio Cucchi ha scelto per il riadattamento de ‘La luce del distacco’ (Crocetti 1990), un testo teatrale scritto nel 1989 per l’attrice Jolanda Cappi, che lo portò in scena con il titolo ‘Nel tempo che non è più e che non è ancora’.
Al centro dell’opera di Cucchi vi è la figura di una donna reclusa che vive un processo di identificazione con Giovanna d’Arco. “La mistica che sentiva le voci – come spiega Fabrizio Fantoni nella sua recensione pubblicata da La Poesia e lo Spirito – diventa, nei versi di Cucchi, una voce che sgorga dall’inconscio, che viene a confortare e a lenire le sofferenze della protagonista, una voce assimilata all’urlo della mandragora, la radice a forma d’uomo dalle proprietà anestetiche che “getta un grido che sembra quasi umano quando la estirpi’.”
Nel monologo teatrale in versi, scritto per voce recitante, Cucchi ci porta dentro la storia di una donna che ha una voce piana, realistica, a volte anche delirante. Una donna laica, non una Santa, che decide attraverso un complesso processo di identificazione, di riscattare la dignità degli umili.
Accanto a Jeanne l’autore inserisce l’orribile figura di Gilles de Rais – prototipo di Barbablu – il cavaliere, nobile e criminale, luogotenente di Giovanna d’Arco nella guerra di liberazione di Orléans, ma anche assassino di bambini: “La sua non era un’anima / insanguinata, ma un gorgo nero / una vertigine assoluta, un’ossessione […] Le cavità, le larve e le serpi, / i grandi coperchi dell’incubo… / Era l’orrore fiabesco che costella / l’infanzia”, che diviene nell’opera di Cucchi il prototipo del male. Gilles de Rais è l’abisso, l’abiezione, l’ipogeo dell’anima che si contrappone alla luce abbagliante e totale di Giovanna d’Arco.
Cucchi, raccontando il martirio di Giovanna d’Arco (che il poeta immagina con il volto di Reneé Falconetti dello storico film di Dreyer), comprende anche, che non vi è nessuna coincidenza tra l’eroismo di Jeanne e la triste condizione della donna che è parte di un destino che non si afferma: “Questa luminosa demenza verticale / non è che un anno,/ una lama./ Un’idea, è stata. Tu non sei storia”.
Nei versi che chiudono il poemetto, la vicenda di Jeanne si distacca definitivamente da quella della donna, e, in tale distacco, dice il poeta, ‘è totale/la luce.’ (Luigia Sorrentino)