Mark Strand, Una passeggiata (da mezzogiorno a mezzanotte)

Luca Sossella ha appena pubblicato un video di 55 minuti su Mark Strand, uno dei maggiori poeti viventi di cui vi viene qui sotto proposto un breve stralcio.
Il video “Una passeggiata” (da mezzogiorno a mezzanotte) di Mark Strand con Damiano Abeni, tenta di aprire un varco fra il sacro e profano, fra esterno e interno. In mezzo al caotico appiattimento del quotidiano, nell’anestesia generale di una città-pretesto (in questo caso, Roma) la voce del poeta  trasmette la poesia . I testi vengono detti nel ritmo del quotidiano: dal poeta (sempre in anticipo) e dal traduttore (sempre in ritardo). Insieme entrano nei luoghi rappresentati da sei vie d’uscita: la piazza, le rovine, la porta, la scala, la stazione e il giardino. Come nella tradizione la voce (sacra) tende al quotidiano e al simbolico, un quotidiano sofferto come una preghiera dell’interiorità, una consapevole resa all’impossibilità di dire se stessi.

Niente ti dirà
dove sei.
Ogni attimo è un posto
dove non sei mai stato.
.
di Mark Strand
Da: “Il futuro non è più quello di una volta” Minimum Fax Editore
 
Mark Strand è nato a Summerside (Prince Edward Island) in Canada e vive a New York. Insegna alla Columbia University. E’ uno dei poeti più importanti sulla scena internazionale. Ha pubblicato dodici libri di poesie. Con Blizzard of One nel 1998 ha vinto il Premo Pulitzer.


“Ehi, Mark! Scusa il ritardo, scusa il ritardo…”
Un video di Alessandra Maiarelli e Luca Sossella, una produzione Medi@evo 

www.lucasossellaeditore.it

http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2011/01/mark_luigia.flv

Arianna Gasbarro, ‘Alice in gabbia’

Arianna Gasbarro, pubblica il suo romanzo d’esordio, ‘Alice in gabbia’  Miraggi Edizioni (euro 12,00). La vita di Alice è apparentemente perfetta: 28 anni, un lavoro a tempo indeterminato e un fidanzato che ama, ricambiata. Non le resta che cercare casa e fare dei figli, guadagnandosi il paradiso terrestre di una vita normale. Eppure di perfetto non c’è nulla. Il surreale sarcasmo di Alice fa scoprire al lettore situazioni che suo malgrado conosce fin troppo bene, nascoste dietro la maschera della normalità di un’ordinaria giornata in ufficio. Il badge che scandisce malignamente il tempo. La routine del ritmo aziendale che diventa ossessione. Le manie degli impiegati, a un passo dalla psicosi. La sindrome antisociale dell’open-space. Le figure clownesche dei capufficio, tronfi della loro incompetenza. I giorni che invece di allargarsi in un presente vivo si spengono con monotonia uno sull’altro. Le pause – caffè, sigaretta – sono le uniche boccate di sollievo. Finché Alice non scopre la pausa-papera! Osservando da dietro la recinzione dell’azienda i pennuti che vivono liberi nel loro stagno, ad Alice si rivela una nuova filosofia di vita, una possibilità di salvezza, di liberazione…

                                                                                                       Intervista di Luigia Sorrentino
                                                                                                       Roma, 22 gennaio 2011

Arianna, quanti anni hai?
“Ho appena compiuto trent’anni”.
Mi sembra di averti conosciuto ieri, e invece era l’anno 1996 se non sbaglio… Allora eri una liceale. Amavi moltissimo i classici greci e latini. Sorprendente per l’età che avevi. E poi, non a caso, un giorno, mi è arrivato il tuo primo libro, “Alice in gabbia” …
Come nasce questo lavoro?
Alice in Gabbia è nato circa un anno fa, in un momento molto particolare della mia vita: avevo appena deciso di lasciare il lavoro per dedicarmi finalmente alla scrittura. Mi ero resa conto che le due cose non potevano coesistere e ho deciso di provarci, semplicemente perché non potevo farne a meno, perché per me era troppo importante.
In realtà in quel momento stavo lavorando a un’altra storia, ma i pensieri di Alice premevano per uscire fuori, per dar voce a un aspetto della nostra società contemporanea che avevo avuto modo di vivere in prima persona nel corso degli ultimi anni. Sapevo che prima o poi quelle considerazioni e quella rabbia per un mondo del lavoro che per troppi aspetti a me non piaceva avrebbero iniziato a svanire, allora ho messo da parte l’altro progetto e in pochi mesi è nato questo libro.
Quando hai capito che da grande volevi diventare una scrittrice?
“Credo di averlo sempre saputo, sin da quando a sedici anni leggevo fino a notte fonda i classici latini, ma anche Calvino e Oscar Wilde. Però ho trovato il coraggio e la forza di farlo solo alla vigilia dei trent’anni, quando in un certo senso mi sono detta: o ora o mai più.”
Come vivi oggi? Lavori o ti dedichi 24 ore al giorno alla scrittura?
Da un anno a questa parte mi dedico interamente alla scrittura, sia come scrittrice che come traduttrice. Sono due attività che convivono bene insieme, tradurre romanzi dall’inglese all’italiano è una palestra linguistica che mi appassiona, anche se richiede molto tempo ed energia.”
Quanto c’è di te in Alice?
“Devo ammettere che il personaggio di Alice ha delle solide basi autobiografiche e che se non avessi vissuto in prima persona l’esperienza di un lavoro full-time a tempo indeterminato non avrei mai potuto spiegare le dinamiche psicologiche che si creano in quella sorta di gabbia di cristallo. L’esilarante ossessione per il badge, l’ansia per una quotidianità sempre uguale giorno dopo giorno per quarant’anni, il bisogno di evasione in un mondo immaginario popolato di demonietti, clown sanguinanti e papere che filosofeggiano.
La storia che racconti è molto interessante. In un’epoca in cui si parla molto dei problemi dei giovani legati all’occupazione, al lavoro che non c’è, arrivi tu e capovolgi il punto di vista: parli infatti di quelli che il lavoro ce l’hanno ma che non ce la fanno a tenerselo…
“Credo che la disoccupazione consenta di chiudere gli occhi su un altro grave problema legato al mondo del lavoro, di cui però nessuno parla.
Alice non riesce a tenersi il lavoro perché, a parte lo stipendio a fine mese, non ha nessun altro stimolo. Avrebbe una gran voglia di crescere, di continuare la propria formazione all’interno dell’azienda, ma per il suo capo lei non è altro che un moderno Charlot, inchiodato alla scrivania e pronto a svolgere le proprie mansioni, categoricamente di routine.
Ciò spalanca le porte all’enorme disagio di non trovare un senso per la propria quotidianità, ma anche all’inquietante consapevolezza che un contratto a tempo indeterminato con un’azienda privata è una sicurezza illusoria. L’azienda potrebbe fallire e Alice si ritroverebbe sul mercato del lavoro senza un’adeguata formazione, senza aggiornamenti, senza la possibilità di riciclarsi con dignità.
Il capovolgimento dunque è solo apparente. Il messaggio politico è che ai giovani bisognerebbe garantire un Paese che non sia precario, un Paese competitivo e desideroso di crescere, un mercato del lavoro fluido e vitale, non l’illusione di un contratto che in fin dei conti non garantisce affatto un futuro sicuro.”
Quand’è che il ritmo aziendale per coloro che lavorano a tempo indeterminato può diventare un’ossessione?
“È una questione molto personale, alcuni accettano quel ritmo di buon grado, mentre ad altri invece va stretto e difficilmente potranno liberarsi di un senso d’oppressione e ribellione latente.
Credo che uno dei fattori scatenanti sia l’utilizzo improprio del badge da parte dell’azienda, quando per un minuto di ritardo al lavoratore ne vengono addebitati dodici di punizione. Questa cosa genera un’ansia che cresce di giorno in giorno e va a sommarsi alla routine delle pause-sigaretta, pause-pranzo, pause-caffè che ogni giorno si ripetono con un ritmo sempre identico, fino a far pulsare la quotidianità di un battito che se per alcuni può essere in qualche maniera rassicurante, per altri sembra un tango strangolante che si protrarrà fino alla pensione.
È come immaginarsi di tornare a scuola, ogni giorno con la campanella alla stessa ora, l’ora di religione il sabato, i compiti il pomeriggio e l’interrogazione il giorno dopo. Per tutta la vita. Mai un diploma, una conclusione: la vita che scorre via in un ritmo estraneo dettato dall’alto.”
Attraverso il sarcasmo la tua protagonista svela profonde verità che mostrano l’altra faccia della medaglia, di cui mai nessuno parla, “il lavoro schiavo”, il lavoro che non rende liberi, bensì schiavi e che colpisce determinate fasce di lavoratori…
“Ho vissuto in prima persona questa realtà, quindi, come ti dicevo, certamente il libro parte dalla mia esperienza personale. Però è stato fondamentale vedere il modo in cui i miei colleghi reagivano agli stessi cappi che a me sembravano strangolanti.
La cosa più interessante è stato notare uno squilibrio totale tra la dedizione dei lavoratori, che effettivamente rinunciano alle proprie pause, al tempo per la propria vita privata e i propri figli senza poi di fatto ottenere alcun riconoscimento, e dall’altra parte l’atteggiamento strafottente di una classe dirigente che non solo spesso è incompetente, ma che pure pretende dai lavoratori sacrifici che i manager invece non hanno alcuna intenzione di fare.
Sembra un servilismo servo/padrone, sovrano/suddito. Un esempio lampante è quando un’azienda non concede ai dipendenti un giorno di chiusura in occasione di un ponte, ma poi tutti i manager se ne vanno in vacanza. È assurdo e alla lunga, secondo me, pericolosissimo.”
A un certo punto Alice però scopre la pausa-papera…che le cambia la vita… perché proprio la papera?
“La papera rappresenta la totale armonia con la propria natura. È uno di quegli animali che capita di osservare nei parchi e sui quali non ci si sofferma molto, se non per domandarsi che senso abbia la loro esistenza. La papera vive, galleggia, nuota, mangia il pane, si gode la propria semplice esistenza di papera.
L’uomo non riesce a vivere in quel modo, è a disagio con la propria natura primordiale quindi infarcisce la propria quotidianità di problemi e occupazioni totalmente superficiali, per poi lamentare di non avere il tempo per godersi la vita.
Ma proprio osservando le papere, Alice si rende conto a un certo punto che la sua quotidianità è totalmente priva di senso rispetto a quella di una sciocca papera galleggiante.”
In realtà il messaggio che viene fuori dal tuo romanzo è chiaro e inequivocabile. E’ un’esortazione rivolta a tutti gli esseri umani: “riprendetevi la vostra vita! Godetevi la vita, bene unico ed irripetibile”…
Va bene… ma come si vive senza lavoro?
“Il punto non è lasciare il lavoro e vivere senza, ma ritrovare un senso in quello che si fa. Alice non è un elogio dell’ozio, ma anzi quanto di più lontano ci possa essere dal concetto attuale di bamboccioni e simili. Il messaggio è quello di fermarsi un attimo, osservare i binari sui quali viaggiano le nostre vite, rendersi conto che spesso non sono stati costruiti da noi ma imposti dall’alto e a quel punto cercare un senso alla nostra quotidianità, che per noi, solo e unicamente per noi, abbia valore.
Poi si può tornare sui binari, purché si abbia una consapevolezza concreta e tangibile di ciò che si sta facendo.
Riprendersi la propria vita vuol dire anche solo lottare perché l’azienda non chiuda ogni anno ad agosto e i dipendenti possano scegliere di andare in vacanza dove e quando vogliono. Almeno quello, almeno la libertà di poter disporre del proprio tempo libero.”
Cosa pensi degli scrittori contemporanei? Li leggi, o non ti interessano?
“Generalmente preferisco leggere i classici, ammesso che titoli di trent’anni fa possano considerarsi tali. Leggo poco i contemporanei, in genere quelli consigliati da amici che hanno la mia stessa sensibilità letteraria.
Adoro andare in libreria a comprare i libri, non compro quasi mai su internet, però c’è così tanto chiasso negli scaffali di contemporanea che solitamente poi mi oriento su testi completamente diversi, ad esempio di cinema.”
I tuoi ‘mostri sacri’… i tuoi scrittori preferiti, chi sono ?
“Wilde, Calvino, Nabokov, Svevo, Henry Miller, Kureishi, Kundera. E senza dubbio Woody Allen, che considero un vero e proprio autore e del quale condivido lo sguardo sarcastico e catastrofista sul senso dell’esistenza dell’uomo.”
In quanto scrittrice, quali sono gli obiettivi che ti prefiggi?
“Per il momento solo continuare a scrivere, mettere su carta le visioni surreali che si affollano nella mia mente e dare voce al momento storico che stiamo vivendo, perché in futuro possano comprenderci (e perdonarci).”
A chi dedichi il tuo “Alice in gabbia”? Chi dovrebbe assolutamente leggerlo?
“Vorrei che lo leggessero i ragazzi all’ultimo anno di scuola perché potrebbe dargli il coraggio di puntare sui loro sogni, anche se si sentiranno dire che ‘è impossibile’.
Vorrei che lo leggessero i manager, dell’industria e dello stato, per ritrovare la dignità della propria posizione e guardare con occhi diversi, più attenti e preoccupati, gli individui demotivati alle loro dipendenze.
Io l’ho scritto per i miei genitori, perché potessero comprendere e accettare la scelta che ho fatto un anno fa e che, senza il supporto della filosofia della papera, non poteva sembrare che folle.”

Bioblibliografia
Arianna Gasbarro è nata a Roma nel 1980. Appassionata da sempre di letteratura, ha tentato di condurre un’esistenza normale, ma dopo tre anni di clausura in un ufficio ha deciso di stracciare il suo contratto a tempo indeterminato per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Attualmente vive tra le colline del Chianti, dove persevera nella sua attività di scribacchina sommersa da libri e dizionari.
Alice in gabbia è il suo primo romanzo (nonché la dimostrazione che tutto è possibile).

www.miraggiedizioni.it

Opere Inedite, Viviana Scarinci

Viviana Scarinci ha una scrittura forte che si pronuncia nel suo farsi parola, che ha la necessità di essere parola scritta, e, in quanto parola scritta, parola dicibile. La sua poesia si snoda da lei innalzandosi come una “voce sopra altre voci”. Viviana avverte la poesia come un regime colmo di imposizioni, regole, che si rispecchiano direttamente sulle sue scelte e sui suoi comportamenti. Riconosce alla sua poesia una “strana forma di normalità” di cui ha dovuto, a un certo punto nella vita, dare spiegazioni. E’ accaduto, ad esempio, quando ha raccontato ai suoi due figli che cosa fosse questa “cosa” che riempie gran parte della sua giornata.
Per Viviana la poesia è “un linguaggio a sé, o addirittura, una sorta di idioma alternativo per comunicare un’esperienza immateriale come quella dell’essere nel suo profondo.” Anche lei, come molti altri poeti che hanno scritto a questo blog, ha iniziato un percorso di scrittura in età giovanile, ancor prima di capire che c’era già allora, il germe di ciò che oggi chiamiamo ‘poesia’. Viviana da allora non ha fatto altro che guardare dal lato in ombra le stesse cose che guardano tutti e con l’ombra di quelle, fare all’infinito ciò che fece la Wendy di Peter Pan la volta che Peter perse l’ombra: “conservarla in un cassetto per poi, al momento giusto, provvedere laboriosamente a ricucirla.”

“La poesia che amo di più non fa che tentare con l’ombra tessiture visibili.”
di Viviana Scarinci

Il padre
1.
sto nelle cose come
un’estensione tua
le proseguo e ti combatto
e non sembra in questo
buco che un dilagare
passando ristrettezze
aggrumate a un centro
così puro che non esiste
come non esiste parola
per cui si cerchi più
di un bisogno ammutolito
l’impronta più fonda
di un claudicare, il passo
che non sostiene e sottrae
protraendo nient’altro
che questo scambio iniquo
di pesi e venti che
la terra solleva

2.
tu lo sapevi l’abitato
la distorsione refrattaria
a darsi conto o pace
ed eri come quelle notti
meridionali che acquetano
le mura in una sola ombra
a segnarti dove
mandare a memoria
dove smettere
la somma delle stagioni
e sui giorni a venire
operati dall’ansia
di sapersi, come
un vago esorcismo
cominciavi a eclissarti

3.
è tutto lì, rintracciabile
attorno a una coerenza perduta
e manifesta che ci attende
non è che passare da un varco
il darsi a questo ricorso
mettendo a dimora ogni sentenza
adesso che una forza
continua a dimenticarci
come fossimo sempre
stati in fuga da quell’animale puro
spaventoso e ora lo si veda
per intero nei nostri occhi
e senza più fretta
di concludergli un assetto
il gigantesco edificio
di ciò che non abbiamo saputo
toccare barrisce la sua mole
enorme, miserabile

Dalla raccolta inedita “Atti del farsi“, di Viviana Scarinci

Biobibliografia
Viviana Scarinci, ex responsabile della segreteria di presidenza dell’Università Popolare di Roma, Upter, e della segreteria generale della Fipec, Federazione Nazionale per l’Educazione Continua, è stata segretaria di redazione di Open, Rivista Italiana di Educazione Continua edita dalla EdUP, Edizioni dell’Università Popolare. Ha lavorato come responsabile amministrativa per Apeiron Edizioni & Distribuzioni. Ha curato per Apeiron Editori, il libro di memorie collettive L’isola di Kesselring. Ha vinto diversi premi letterari tra cui la sezione Scrivere i Colori del Premio Grinzane Cavour.
Le sue poesie sono state pubblicate su Nuovi Argomenti, Atelier, Gradiva, Capoverso, il Segnale, Tratti. Nel Gennaio 2009 è uscito il libro Le intenzioni del baro, poesie 1995-2007 (edito in proprio da ilmiolibro.it del gruppo l’Espresso). Fa parte della redazione del blog collettivo Viadellebelledonne.
Gestisce il blog http://vivianascarinci.wordpress.com/

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Arte e Poesia, Marine Duboscq

Marine Duboscq
Intervista di Luigia Sorrentino

Da una necessità del colore prende avvio la ricerca di Marine Duboscq, in cui l’atto pittorico si declina al plurale attraverso una serie di momenti che percorrono il tempo e lo spazio per esplorare la durata. (…) La sua è un’avventura che parte dal rapporto che si istituisce fra l’artista e il colore in quanto materiale, da quel “duetto” su cui Dubuffet, nelle Notes pour les fins lettrés, si è soffermato con illuminanti riflessioni: Occorre lasciar prodursi e apparire tutti i casi che sono propri del materiale impiegato: l’olio che vuol colare, il pennello insufficientemente intinto di colore che lascia soltanto una traccia imprecisa, il segno che cade a lato del luogo preciso in cui l’artista avrebbe voluto tracciarlo, il tratto che trema o che, invece d’essere verticale, si piega nel senso della scrittura, il tratto che s’annuncia pesante e s’assottiglia poi perché il pennello perde la carica di colore, ecc. Impedire a tutti questi casi di prodursi toglierebbe all’opera ogni vitalità.
(da “La durata del colore”, testo critico in catalogo di Lara Conte) Continua a leggere

Opere Inedite

Cari amici,
il blog Poesia di rainews24.it è molto seguito sul sito del nostro canale televisivo, Rainews. Vi faccio un esempio: nell’anno 2010, nel solo mese di ottobre, “le pagine viste” sono state, in totale, 4 mila 723.

Forte di questo dato, ho deciso di mettere in gestazione Opere inedite, una iniziativa editoriale aperta a tutti quelli che desiderano sottoporre all’attenzione di questo blog la propria Opera Originale.

Inviatemi i vostri inediti, i vostri dati, (nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico), corredati da una vostra foto e da una breve nota bio-bibliografica. Spedite all’indirizzo di posta elettronica l.sorrentino@rai.it

Potete anche inviare gli inediti scrivendo a: Luigia Sorrentino Rainews – Centro di Produzione Rai di Saxa Rubra – Largo Villy De Luca, 4 – 00188 Roma.

Opere inedite a partire dal 2011 pubblicherà una scelta dei vostri testi inediti una volta a settimana, in un giorno da stabilire.

Vi ricordo che http://poesia.blog.rainews.it/ non è una testata giornalistica, ma semplicemente un blog di Poesia.

Buon Anno a tutti
Luigia Sorrentino