Patrizia Valduga, Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni

«Fuoco di paglia è amore di poeta, / perciò è vorace, ed è così fugace». Questo dice Attila József.
«L’amore dei poeti è come l’amore degli adolescenti, che vogliono essere quello che non sono, che vogliono che gli altri siano quello che non sono, che vogliono dare l’amore a chi non lo vuole, che perdono l’amore appena lo possiedono, che se ne stancano appena lo conquistano, che pensano di poter davvero possedere una persona, davvero conoscerla interamente e definitivamente»: così scrive Patrizia Valduga, una delle poetesse più note per i suoi versi d’amore, introducendo un’originale antologia
Poeti innamorati, Da Guittone a Raboni da lei stessa curata per Interlinea Editore, euro 10.

“Questa piccola scelta antologica sui poeti innamorati, (da Guittone d’Arezzo fino a Giovanni Raboni), potrebbe essere testimonianza, in qualche modo, della storia del sentimento amoroso, oltre che, naturalmente, di quella della nostra lingua, e del gusto di oggi nei confronti della lingua poetica. Fino al Quattrocento nessuno avrà quasi niente da ridire, ma subito dopo ci sarà chi lamenterà l’assenza di quello e la presenza di questo. Perché, ad esempio, non ho messo Buonarroti? Perché, a mio parere, si è scambiata per grandezza poetica la rudezza di un geniale dilettante. Perché non ho messo Penna? Perché la sua voce mi sembra assai flebile. Perché non ho messo Gozzano? Perché, tolte le polverose carabattole della nonna, quello che resta è già tutto in Pascoli. E così via. Perché ho messo poeti che da anni dichiaro di non amare? Perché sono grandi intellettuali che hanno lasciato un segno, da vivi o da morti, nella storia della nostra letteratura.”
(Patrizia Valduga)
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Lorenzo Lotto alle Scuderie del Quirinale

Dal 2 marzo al 12 giugno 2011 Le Scuderie del Quirinale ospiteranno tutta la produzione di Lorenzo Lotto con un serrato percorso che contempla tutta l’opera di questo straordinario artista, dalle pale devozionali alle grandi pale d’altare.
La mostra arriva dopo le grandi monografiche dedicate a Lorenzo Lotto – da Venezia nel 1963 e da Bergamo, Parigi e Washington nel 1998 – .  La mostra è a cura di Giovanni Carlo Federico Villa.
Nel 1509 giunge a Roma, chiamato da papa Giulio II, il talentuoso ma schivo trentenne Lorenzo Lotto. Si è lasciato alle spalle la tranquilla provincia veneta e marchigiana per il grande cantiere del classicismo rinascimentale in cui erano attivi i lombardi Bramante, Bramantino e Cesare da Sesto, i senesi Sodoma e Domenico Beccafumi, l’eccelso Michelangelo e, soprattutto, Raffaello con i suoi allievi, a fianco del quale il veneziano avrebbe dovuto lavorare.
Dopo neppure un anno, però, colui che si racconterà sessantaduenne “solo, senza fedel governo e molto inquieto nella mente”, abbandonerà ogni incarico, riprendendo quel vagabondare che lo condurrà all’emarginazione, subita in parte ma anche provocata, fino a spegnersi da oblato nella Santa Casa di Loreto, nelle Marche. Intanto la grande impresa vaticana era stata affidata per intero alla responsabilità di Raffaello.

Come già per Antonello da Messina, per Giovanni Bellini e per Caravaggio, la mostra sarà anche occasione per un ampio riesame degli stati conservativi e della tecnica delle opere di Lotto. Nel periodo di transizione tra le prassi pittoriche quattrocentesche e quelle che saranno le novità cinquecentesche nell’Italia settentrionale, caratterizzate da personalità quali Leonardo e Giorgione, come pure dall’ultimo Giovanni Bellini, frequenti appaiono infatti le sperimentazioni tecniche. Novità sia in merito all’uso del disegno sottostante, impiegato come base per la costruzione del dettato figurativo, sia, soprattutto, in relazione ai materiali adoperati nella pittura. Studi recenti, condotti su diverse opere di Lorenzo Lotto in collezioni pubbliche in prevalenza straniere, hanno mostrato non solo un uso disinvolto di impasti cromatici atti a ottenere colorazioni “nuove” ma anche l’impiego di pigmenti mai prima documentati in pittura, quali un giallo di antimonio in forma, ancora poco nota, di vetro macinato: probabilmente il “zalolin de vazari” citato nel Libro delle spese diverse ove Lotto annota un po’ di tutto, in un’umile cronaca fatta di commissioni di lavoro, di quadri fatti e venduti, di soldi ricevuti e da ricevere.
Analoghe considerazioni si ritiene possano farsi, alla luce di ampie e nuove campagne di analisi, per altri pigmenti quali il blu di smalto, le lacche rosse, ulteriori qualità di azzurrite e altri pigmenti che gli artisti più attenti provavano sulle loro tavolozze. Pigmenti che saranno parte delle cromie per certi versi rivoluzionarie proprio di Lotto e poi Tiziano, Tintoretto e Veronese.

Margaret Atwood, il diluvio della poesia

Margaret Eleanor Atwood, nata nel 1939 in Canada a Ottawa, è poetessa e scrittrice.
La sua è una voce a cui dobbiamo prestare ascolto.”
             a cura di Luigia Sorrentino 

“In Canada non esiste un volk unitario ed è difficile individuare i tratti di una identità nazionale… Cosicchè l’unico elemento unificante sembra essere la terra, il paesaggio, e la sua capacità di sovrapporsi prepotentemente alla storia e al gesto degli uomini. Di fronte alla terra, di fronte a un referente ancora forte, l’uomo riacquista la lentezza di un suo senso paradigmatico, perenne. Nella poesia “Insanie progressive di un pioniere” Atwood sembra illustrare le vicende di un ulisside antico che avverte nell’impatto con la terra la propria finitezza. ‘Si fermò, un punto/ su un foglio di carta verde/ proclamandosi il centro,/ senza muri né confini/ ovunque, il cielo smisurato/ sopra di lui, non / circoscritto,/ e gridò./ Fatemi uscire!'”
                                                                    di Fernando Bandini

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“Margaret Atwood conosce la paura, sa delle cose che strisciando ti avviluppano il cuore come un sudario di muffa sul pane. Sa di come hai giocato all’assassinio nell’oscurità, e di come, dopo un bicchiere o due di vino, una volta impiccasti qualcuno per i suoi occhi azzurri.
Conosce la storia di tua madre violata da un cigno (la cameriera nella foto di famiglia ha un fumetto invisibile sopra la testa. Sgualdrina.) Sa di quando calpestasti con forza la pietra nella landa e, vedendo la gamba affondare fino al ginocchio, esclamasti: “Un momento. Questa mi appartiene” e solo una ragazza senza mani si protese per consolarti. Lei sa cosa vuol dire fare questi giochi con te…
Ma viene l’ora in cui la vita si piega in due su se stessa. Il diniego temuto che balza fuori e ti accrechia nella Casa dei Divertimenti all’improvviso sembra poco più che terrore sui trampoli. Avviene qualcosa che, con un tonfo sordo, ti arresta il cuore. Il tempo in cui hai iniziato sta per finire. Tuo padre non è più un uomo anziano, è un uomo che muore.
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Opere Inedite, Letizia Dimartino

Per Letizia Dimartino la poesia è immergersi in una tempesta emotiva fortemente voluta. La tensione che deriva da questa ‘immersione’, non le fa sentire il senso di esclusione.  Le sue rime nascono in quello che lei stessa definisce ‘un processo convulso’ che rende possibile l’espressione di sensazioni forti. Letizia non appare mai in pubblico, vive defilata, e in questa condizione matura lo scrivere. La poesia per lei è ‘gesto quotidiano’, vissuto come atto di autoaffermazione e rielaborazione. La sua poesia si rivolge al corpo, un corpo che comanda, un corpo ‘geograficamente sofferto’. “Sento che il mio è un rapporto intenso tra poesia del corpo e poesia dell’anima, rapporto che si intreccia, di continuo, al vivere la casa e le cose che la abitano – creature della mia vita chiusa- in gesti abitudinari. E se fuori la città vive e cambia, io, nella mia bolla intatta, scrivo ció che ‘vedo’, senza rapporti relazionali, in una assenza che mi procura desiderio della realtà da tradurre in versi. ” Continua a leggere

“Caino”, Il buio era me stesso

In occasione del debutto romano di “Caino” di Mariangela Gualtieri per la regia di Cesare Ronconi, vi proponiamo il trailer dello spettacolo che debutta domani 10 febbraio alle 20.30 al Teatro Palladium di Roma.

“La vicenda di Caino parla di noi, profondamente, con spietatezza.
È possibile avvicinarsi a Caino senza paura? Pensare che è talmente d’amore la sostanza siderale di cui siamo fatti, che se non siamo amati diveniamo deformi?
Abbiamo riflettuto su questa pagina per lungo tempo. Alla fine ci pare di avere compreso: questa pagina di Antico Testamento non vuole farsi comprendere. Dice che i conti non tornano, quando si è a ridosso di colui che gli ebrei chiamano il Santo Benedetto.
Dopo il fratricidio, Caino costruisce la prima città. Ci somiglia nella sua furia fattiva, lui e i suoi discendenti costruttori. E in fondo la storia umana, quella che studiamo, è una lunga lista di atti violenti e di nomi che quegli atti hanno compiuti o subiti, una lunga lista di un fare che ha causato innumerevoli morti, devastazioni, fondazioni e distruzioni e nuove fondazioni. Tutta la storia pare il prosieguo della storia di Caino. Continua a leggere