Una nota su “Fragilità del bene” di Loredana Magazzeni
di Nadia Agustoni
Un percorso che è apprendimento del quotidiano quello di Loredana Magazzeni, che con “Fragilità del bene” Smasher 2012 ci dà il senso di un’aderenza a parole che ci riportano alla materia di cui la vita si sostiene. Lontanissima dalla vanità dei distruttori, Magazzeni crede invece nel gesto che ripara, gesto sommamente femminile se lo pensiamo come cura materna, se pensiamo all’arte medica, ed è un esempio, le cose sono più complesse. La poesia di Loredana Magazzeni ha la franchezza di chi esplora confini, già lo dimostrava la sua precedente raccolta “Volevo essere Jeanne Hébutern” uscita per Le voci della luna 2012, ma in questi testi, pubblicati ora ma scritti tra il 1998 e il 2004, vi è una meditazione sull’oscuro in cui si avverte che né l’io né il noi sono certezza, ma restano campo aperto, domanda.
” [… ] quale libertà è migliore di quella che infrange il sogno?” (p.35)
E’ in questo mostrare fino all’osso la “fragilità del bene” che ci diviene cara una poetica che non si arrende ai luoghi comuni e sa dare ritratti non pacificati e intensi, quando è necessario creandoli dal peso di un’assenza che Magazzeni non rimuove, e lascia cresca fino a un nuovo significato, intimo e insieme capace di una proiezione che esce dal privato: ” […] Il crollo della casa non ti tocca/ mio astuto muratore/. Le crepe da cui guardavi i monti/ franano, e il cipresso dei miei anni/ ha spaccato la neve come un tuono/ che atterra ogni possibile semenza”. (p.21)
L’antiretorica dell’autrice ci mette di fronte alla piccola salvezza, quella che ognuno impara se disimpara l’artificialità del comando ad essere ad ogni costo come gli altri, perché nella nostra singolarità c’è il riconoscersi, ma anche lo spaccarsi: ” il giorno cresce in ciò che unisce/ separando – filo su filo – le tele di ragno”. (p.60)
appennino e memoria
Neve, e un’estate che sa di ferro
rovente tra le crepe delle arenarie
azzurre, dove s’abbatte l’ombra delle voci
questi sono gli indizi e altrove è un vento
pellegrino che torna a mani vuote.
queste nostre mani che sanno custodire il bene e il male,
resteranno vuote nella strada del ritorno.
il bene e il male dove lo lasceremo?
Grazie dell’ospitalità Luigia.
Cari saluti.
Grazie a te Nadia!
Ma non lo/li lasceremo mai, sono i nostri compagni di ventura. Una vita senza di loro sarebbe di una monotonia assoluta…troppo facile… Le nostre angoscie, i nostri tormenti ci occupano e ed ecco le invenzioni…inventiamo qualcosa ogni giorno con la speranza di allontanarci per sempre dal male, ma anche lui si reinventa e la lotta continua ad aeternum. Comunque la forza del fragile e’ immisurabile… pensate alla fragilita’ di una farfalla, la farfalla monarca, “Monarch Butterfly” che migra ogni anno 3000km all’andata e 3000 al ritorno ed arriva puntuale ogni anno nel mio giardino fine maggio. Non viaggia da sola, e’ sempre in compagnia e si contenta di qualche fiorello nordamericano!