Francesco Varano

copertina_varanoNota dell’autore

“Il Giardino Medievale. Poesie 1977-79” è suddiviso in cinque capitoli.

Si tratta di un libro riferito ad eventi e temi socio-civili degli anni ’70, come il movimento degli studenti del ’77, la strage di Brescia, del ’74, i morti sul lavoro, il lavoro e l’emigrazione.

L’opera è stata pensata come una testimonianza sulle vittime, anche del lavoro (vengono nominati gli operai morti nella costruzione del II binario in Calabria), e come un colloquio con gli emigranti italiani degli anni ’60 e ‘70, con i migranti degli stessi anni ‘70. Il Giardino Medievale è un libro che colloquia con i temi sociali, la devastazione del territorio e altro..

Esso è nato dalle suggestioni adolescenziali dell’emigrazione e dei suicidi per la fame nel proprio paese di nascita (Maida,CZ) e dalla successiva rielaborazione ideologica di questi eventi negli anni del Liceo, tramite l’influenza del lavoro politico-culturale della rivista vibonese “Quaderni Calabresi”, che andava rielaborando una propria ipotesi culturale sul Mezzogiorno, dalla stessa influenza della presenza della poesia operaia di Ferruccio Brugnaro a Porto Marghera, i cui primi dattiloscritti erano presenti nella radazione di “Quaderni…”insieme ai primi numeri della rivista fiorentina di Franco Manescalchi e Luca Rosi “Collettivo R”. Quest’ultima ha confermato e influenzato le mie prime idee sulla poesia con la sua poetica di una poesia Civil-Popolare, di una poesia della tensione verso la cronaca e la storia, aperta alla sensibilità del fatto sociale, dei movimenti di opposizione dall’Europa all’America e all’America Latina in particolare, fonte di un nuovo impegno rispetto alla poesia dell’essere in cui prevalesse una maggior consistenza etica rispetto a quella estetica o semplicemente letteraria. Ho fatto parte della redazione dal 1972 insieme a Manescalchi, Rosi, Silvano Guarducci , Ubaldo Bardi e Paolo Tassi. Nella seconda metà degli anni ’70 la mia ricerca poetica si arricchiva di un altro prezioso contributo culturale: una prassi psicoanalitica e la lettura di testi di psicoanalisi, la frequenza di seminari, all’interno dell’Associane di “Psicoanalisi Contro” di Sandro Gindro: sono debitore alla sua influenza del mio percorso evolutivo del passaggio da un linguaggio cripto-ermetico a uno più narrativo. Il libro era già in questa direzione, in esso infatti temi socio-civili, formano un’unità con quelli soggettivo-esistenziali. Il testo “Il Gabbiano inattuale” (pubblicato integralmente su alcuni numeri della rivista Collettivo R per singoli capp.)ne è l’ulteriore testimonianza, e così altri testi poetici di quel periodo appena successivo agli inizi degli anni ’80, come “Il caso dell’Inquieto”, insieme a “Trovarsi in Afrantura”, in cui permangono le tensioni storiche , ma con una prevalenza degli aspetti analitico-introspettivi. I miei due analisti, S. Guerra e A. Pasetti “recensendo” alcuni dei miei testi in uno dei numeri della rivista “Psicoanalisi Contro”: da “L’Antica Delusione” a “Il Caso dell’Inquieto”, paragonano la mia poesia a un “viaggio” cominciato da solo e che è poi proseguito con il “viaggio” dell’analisi fatto in tre: la mia poesia iniziale viene vista come il luogo di sensazioni angosciose e luogo della malattia, e soltanto dopo come luogo di un linguaggio più sciolto. In quel primo tempo la mia poesia percepisce l’io come io incorporeo, in una lotta impari con la figura femminile e maschile delle figure genitoriali, per appropriarsi di se stesso. La parola scritta è stata un modo di guardare dentro, ma pure una difesa di fronte al terrore di vita che aveva generato la nevrosi. Per mezzo del lavoro analitico che è continuato negli anni, la mia poesia si è andata trasformando da linguaggio del malessere in un linguaggio aperto all’ironia, alla contemplazione dell’altro, e non più o non solo del proprio disagio, ma alla visibilità della cronaca e della storia. Il mio linguaggio , sia attraverso la riflessione psicoanalitica, sia attraverso la mediazione di Collettivo R, è passato dall’interesse estetico all’interesse spirituale, unito alla dimensione di una nuova “religiosità poetica” come tensione verso. Complessivamente, dinanzi a una poesia eternabile, o deperibile io pensavo una poesia che considerasse il suo farsi in rapporto alla storia, intesa come una maggior consistenza dello scrivere e una minore letterarietà, e al suo posto una sincerità narrativa, in grado di avere come riferimento il paese reale ,i rapporti relazionali con il mondo, superando l’aspetto stretto della politica per tradurlo in atto di testimonianza o di comprensione (Capire…Capire) o di eticità poetica, che comprendesse l’impeto civile generale di una comunità e la quotidianità con la sua pesantezza e la dose giornaliera di nevrosi.

…Scrivendo, anche in quest’ultimo periodo, non penso di svolgere un’attività esclusivamente politica, ma di soffermarmi sulla storia della cultura a cui appartengo per tradizione e di voler essere un testimone, nella direzione di creare una memoria poetica degli eventi di cronaca, in cui l’uomo è offeso o negato, o in cui si trovino piccole schegge di fiducia e di benevolenza.

________

da Il Giardino Medievale

Piccoli amori del possesso

 

Destino di rivolte confuse

ormai dentro muri familiari

organizzati con l’idea

della lieta famiglia,

della nuova faccia che la storia impone,

 

con stupendi mobili, quasi ostentazione

sfida alle anime borghesi.

L’odio, viene, stravagante

anzi pensiero riverente

che in modo ostentato

si unisce alle anime che combatte.

………………………………….

 

Tra le loro case, dove dalle pareti

gli occhi riposano facilmente

dai quadri alle belle miniature, alle litografie,

con gli ingressi scelti con cura.

 

Pensieri di pace fittizia e vera! Curiosità

per la musica e la pittura: piccoli amori

del possesso, del denaro che col sonno

civile segnano una divisione con lo spazio

dei più

lontani, dei più emarginati.

 

In uno schematico amore piegati,

colpiti da un tragico verso

della coscienza: l’idea di violenza,

sanno che l’anima è la loro angoscia,

 

con le sue suppliche impotenti,

davanti a una ragione, schiava

di sempre-nuovi-impiegati-di potere.

 

L’adolescenziale desiderio di riscatto

di una classe, di un popolo,

è qui, portato nella febbre

 

di un atto, di un atto esistenziale, che

vuole la sua parte di vittoria, la sua parte

di vita: rinunciando all’eleganza,

alla norma delle giornate, al presente

 

e contro questa speranza lo sguardo più naturale

non di una ferita, di forme private di bontà,

che rendono vere passioni alla paura,

all’agitata ferocia di comportamenti.

 

Giovinezza donata con l’idea di rivoluzione,

di ricevere frutti per un futuro cittadino

svanito, adesso, nel cuore individuale

senza pure adolescenze.

 

È concesso guardarci

senza veri dialoghi:

condannati da una maledizione,

in parte conosciuta e analizzata.

 

Sappiamo non ci consoli l’analisi, da sola.

Sediamo con lo sforzo di crearla, nuova, la politica

senza eternità, anch’essa come un margine, un ciglio

 

ora, che è difficile pensare,

lavorare per una lotta sicura. Ci dispiace

dentro l’anima; segue quasi obbligata,

un rigore: l’angoscia che viene

nell’occupazione del pensiero.

Ora che è retorico dire “popolo mio’’

io provo a dirlo: o più in là,

nel futuro, più in là

 

Quando penso a ciò che altro è da me

penso a coloro che muoiono,

al loro volto disteso

sulle piazze, davanti a noi.

 

Quando penso alla mia solitudine:

non appartengo al dolore di chi

d’affetto quel volto abbia benedetto.

 

Se sto senza una mia adesione,

sto con coloro che hanno cercato

tentativi contro la vita macchiata…

 

Il loro silenzio assoluto ormai

non può essere scambiato con amore

reversibile in violenza o pietà.

Per essi che hanno perso

e non hanno dato la vita

si tratta di pensarla perché

non si arrivi chiedendo più complici

da quando tutti ascoltano

il male.

 

C’è il piccolo odio quotidiano,

l’inusitato poema della memoria buona:

…se si ama la cronaca della morte

siamo vicini all’imperatore, alle mura

che cingono le fortificazioni

ad alcuni palazzi, da cui i giorni iniziano

con una loro-logica-specifica-quotidiana.

 

Come lustrano il marmo, adesso!

Rinnovano le facciate dei caseggiati!

È tutto vero!

 

Ecco l’inizio delle macerie, tuttavia.

Da qui, le vittime hanno patito,

uscendo da quella storia,

tra percorsi nel piccolo odio quotidiano,

fra tutto l’inusitato poema della memoria buona.

 

Ipotesi di un viaggio

 

 

Con il loro lavoro lottano donne e madri e uomini

umiliati in un guadagno sempre inferiore alle urgenze.

I bambini offrono al giorno la loro avidità

di contemplare pianure assolate a sazietà.

Le donne si consolano in alcune ore, pensando

e idealizzando le culle dei figli, gli atti

dolorosi dei loro parti.

Poi, altro sole e altre fatiche sulla pianura

dove si nota con assoluta chiarezza il relativo

sogno per i loro ragazzi, che per un errore

sono stati violentati, strappati ai seni delle abitazioni,

coperti dai semi di infanzia e adolescenza

cercare il proprio mondo: la Provincia e le capitali d’Europa

nei viaggi individuali della necessità.

………………………………………

 

Il fumo invade luoghi verdi e modesti

prati. Un incendio fa uscire l’ultimo

sangue della stagione; la notte scende

come rugiada sorella di nessuna speranza.

Dalle campagne alle nuove città gli abitanti

si muovono in direzione di una piramide.

Muta tutto: l’ulivo, il caldo sole

l’amicizia della luna, il cantico

mattutino delle stelle.

 

Per il giorno, un secolo per la passione

il sole splende sulle gallerie, sul buio

e sui corpi degli operai.

L’alba si svolge sull’azzurro, squamato

e quasi cupo delle acque del mare,

sui rami verde esasperante dei salici

sulle pozzanghere dei torrenti

sulle case delle colline:

tutti non hanno più autorità.

 

L’alba si svolge sui fili di ferro

delle nuove costruzioni: sono esse ad aprire

un nuovo paesaggio. E dalle sue strade coloro

che sanno come vendere politica, costruiscono

il massimo in averi e autorità.

 

Io che scrivo senza nessuna autorità

osservo nuove entità della storia:

il recinto con il cerchio per piscina, il campo da tennis.

Sono esse Sirene moderne, oggetto di un graziato amore…

L’appartamentino sulla riviera

– tra la palude, l’aeroporto e la fabbrica –

sarà un castello per un futuro e l’orto

certamente un campo di battaglia,

lontano quanto vicino al ricordo inquieto

dei settantatre operai “caduti”.

Senza di loro non si può contemplare

il treno sul viadotto, l’autostrada e il parco esteso.

 

Nei cento chilometri di percorso l’alba

si svolge su contadini e masserizie

essa contagia la loro fronte

– e sola –

può essere come una luna nel cielo, nel suo

crepuscolo del mattino. Con loro dobbiamo

vedere storie scritte o descritte:

delle albe in cui altri uomini e bambini, ubbidendo

ai bisogni del male economico quotidiano

vanno sui campi lontani.

Strana alba quella neocapitalistica!

Per popolarsi attende villeggianti:

lavoratori tra Torino-Genova-Milano ecc.

 

 

 

Non si stende col suo collo di terra la Calabria

alle catenine, ai miracoli dei santuari

ma allo spirito nuovo di Sirene quasi perfette

o a santi schiacciati dai terremoti o da rapine morali.

La sua pelle e i suoi vestiti sono segnati

dalle virtù antichissime del riuscire-a-strappare –

-con-i-denti frutti e vittorie individuali.

Una pratica di vita quotidiana che rende i suoi uomini

creature disposte

a chiedere, far domande, agitarsi, innervosirsi.

 

Il sole sporge sulle fessure delle serrande

di casa dove all’inizio delle scale, mio padre

mia madre mi attendevano con anima quasi devota

come se mi avessero cercato per anni, senza

essere riusciti a trovarmi…Forse per poter

abbracciare una stessa anima del loro mondo.

– Io mi ripetevo che doveva essere così – perché

con me essi abbracciavano nel loro affetto un fratello

e non soltanto un figlio.

………………………………………………

 

Intanto, immagino il paesaggio della casa

di una casa che cerca con la sua aria

di allontanare i sacrifici più duri.

… Le stanze un po’ agiate, pulite, ornate

come un nuovo bene. È come domenica

in questa piccola pace artificiale. Mio padre

che parla nella sua lingua d’amore.

 

 

Essere sani e malati

 

 

Ci sono stati giorni più inquieti

di questi in cui parliamo

della giustizia, pur non credendo.

 

Continuiamo a patire, a aver paure

a vivere. Dopo i sentimenti

del coraggio, ritorna il dovuto passato

 

e siamo rimasti in molti senza pudori

di dire il male che ci prende: è tutto questo

ridotto a energie uguali d’impotenza.

 

Siamo ancora nella vita soltanto

perché gli elementi naturali risplendono

di una luce propria, perché le nebbie

 

esterne a noi, si diradano senza l’intervento

dell’uomo, è la stessa condizione

di viventi che ci fa essere sani e malati.

 

Sentiamo come ci toccano nella

loro rotazione quotidiana la pelle, il viso.

Li rendono più scarni. E stiamo sotto il sole

 

ancora per alcuni miliardi di anni: siamo

tristi vagabondi nell’idea, nel pensiero,

e se per essi avevamo fatto rinunce

 

e volevamo vivere, c’è un senso

che è poco chiamarlo smarrimento.

 

Primo: stiamo parlando del potere: esso

vive in sé e per sé. E noi? Forse, per esso soltanto.

Dunque, il volere è tutto limitato!

 

La fantasia, la memoria compongono

scompongono desideri. Cerchiamo noi

di convincerci che l’anima ci sia,

 

in noi risorta, qui, su questi

luoghi con piccole stanze:

e sempre in un crocifisso come

 

i corpi vestiti, appena vestiti di difese e paure.

E a coloro che più vicini a me

sono confusi in queste sensazioni,

 

non so fare domande per iniziare

la conversazione. Nel nostro amore

terreno, sembriamo una piccola apparente immortalità

e cosciente apro i miei pensieri,

le mie ali. Cerco tra i lumi accesi, nelle nostre città,

 

chi si pensi ancora giudicato:

non voglio da solo, non posso

sentire la sorgente del fiume

 

di quello delle nostre passioni.

 

Non penso di chiedere molto

quando chiedo che ci sia un fine

da rispettare, un corpo e un’anima migliori.

 

Inizia ad esistere nella mente di ognuno

una storia, e c’è chi sa disarmare i nostri programmi

e intorno a noi l’inquietudine nasce dalla volontà di amare

 

soltanto noi stessi, senza poter vedere più nei cari affetti:

 

per quella abitudine alla solitudine,

precoce sintomo dello smarrimento

di quanti aderiscano al vecchio modo

 

delle analisi e delle politiche.

 

Chi fosse oppresso dal dolore della mente, continua…

Chi fosse insicuro, guarda la sua insicurezza…

E la sua storia caracolla come il movimento

dei corpi celesti nel sistema solare.

____

Francesco_VaranoFrancesco Varano è nato a Maida in provincia di Catanzaro, nel 1949; da bambino ha conosciuto il paesaggio  dell’emigrazione, poi descritto a cominciare da “Il Giardino Medievale”, insieme ai temi della Resistenza del Centro-Nord, delle stragi di Stato: da Brescia a Gioia Tauro, e del “Sessantotto”, a cui ha partecipato tra gli ultimi anni di liceo e i primi anni dell’Università.

Al liceo risale la pubblicazione del suo primo libro di poesie “L’Antica Delusione”; all’università la collaborazione con la redazione di “Quaderni Calabresi”,in cui ha avuto la possibilità – da  un punto di vista politico di elaborare una sua idea del “colonialismo interno”, e dal punto di vista culturale  l’acquisizione dell’esistenza dell’attività poetico-politica di un operaio di porto Marghera: Ferruccio Brugnaro e  della rivista “Collettivo R”( che avevano già un rapporto culturale con la rivista  Q.C.).       Sempre all’università risale la collaborazione in qualità di redattore con “Collettivo R”, rivista quadrimestrale di poesia e politica, i cui principali curatori erano L. Rosi, F. Manescalchi, e Silvano Guarducci, il cui orientamento era verso una “poetica della tensione” attenta al mondo politico-civile del presente, a cominciare dal Sessantotto e dall’ ”Autunno caldo” operaio del ’69, a quello delle grandi innovazioni rivoluzionarie in alcuni paesi e alla stessa Resistenza come fenomeno politico fondamentale della vita repubblicana. Da Gennaio 2006 la rivista ha iniziato la nuova serie, arrivando nel 2011, ai quarant’anni di attività. Sulla rivista è apparsa la pubblicazione integrale di “Il Gabbiano Inattuale” e di “Il Caso dell’Inquieto”  e di altra poesie.

L’esperienza psicoanalitica presso l’Associazione “Psicoanalisi Contro” di Sandro Gindro ha contribuito in modo determinante sia alla coscientizzazione di alcuni temi poetici che al passaggio dal linguaggio cripto-ermetico a quello riflessivo-narrativo-dialogico. Su uno dei numeri della rivista “Psicoanalisi Contro”, sono stati recensiti: “L’Antica Delusione” e “Il Gabbiano Inattuale”.

Altri testi sono stati ospitati sulle riviste: “Sinopia” di R. Pazzi,”Arsenale” di G. Palmery, nell’antologia “Verde Verticale” di F. Manieri, su “La poesia in Mostra”, su “L’Utopia Consumata”, sul blog: “Poesie senza Pari” di F. Dalessandro.

Recensioni di Il Giardino Medievale: “Reti di Dedalus”, “Cultura Commestibile”, “Vernice”, “Silarius”, “Gradiva”, “Libri Più” , “Quaderni Calabresi”, “Il Giornale di Calabria”e altre riviste. Stanno per uscire traduzioni parziali del libro “Il Giardino Medievale”, in francese.

Finalista per il premio “Gradiva –Ney-York” e “I Murazzi di Vernice”. Ha vinto il primo premio “Il Filo Rosso, Francesco Graziano” per la poesia inedita, sui temi del razzismo “Il Ciliegio Incendiato”, tradotta in francese per la rivista di Parigi “Les Cittadelles”.

 Raccolte di poesie edite  e inedite

L’Antica Delusione, Club degli autori, 1969

Vorrei nominare ancora la vita, inedito

Il Giardino Medievale, Polistampa 2012

Il Caso dell’Inquieto, pubbl. integrale in “Collettivo R”

Il Gabbiano Inattuale, pubbl. integrale in “Collettivo R”

Trovarsi in Afrantura, inedito

Per Essere soltanto labbra, inedito

Ancora mille altre lune, inedito

La fontana delle Rose, inedito

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