La descrizione degli ebrei d’Europa si fonda sul terrorismo di un esercito contro inermi di ogni età e sesso. L’invasione della Polonia, settembre 1939, è accompagnata da annunci radio dei tedeschi in polacco che invitano la popolazione a nulla temere da loro. “Ma l’ebreo”, grida di colpo la radio, “l’ebreo deve tremare.”
Erri De Luca
IL LIBRO
Rinchiuso nel campo di internamento, il poeta ebreo polacco Itzhak Katzenelson nell’autunno del 1943 inizia a scrivere il Canto. Lo seppellirà dentro tre bottiglie tra le radici di una quercia, dietro il filo spinato del campo di Vittel, in Francia. Il manoscritto verrà ritrovato grazie alle indicazioni fornite dalla sopravvissuta Miriam Novitch e pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1945. Questa edizione è a cura di Erri De Luca che del libro dice: “Ho imparato lo yiddish per arrivare al Canto. […] Traduco il Canto perché è il canto dei canti, il vertice in poesia dell’esperienza della distruzione. […] Nel Canto c’è la vita feroce che vuole resistere con parole proprie e sceglie per resistenza la poesia”.
DALLA QUARTA DI COPERTINA
“Non gridare al cielo, ti dà retta come la terra, mucchio di letame” Rinchiuso in un campo di internamento, nell’autunno del 1943 il poeta ebreo polacco Itzhak Katzenelson inizia a scrivere il Canto. Lo seppellirà dentro tre bottiglie in mezzo alle radici di una quercia, dietro il filo spinato del campo di Vittel, in Francia. Poco dopo, insieme al figlio, verrà trasferito a Drancy e da lì mandato direttamente alle camere a gas di Auschwitz (la moglie fu invece uccisa a Treblinka, con gli altri due figli). Il manoscritto sarà ritrovato dopo la guerra grazie alle indicazioni fornite dalla sua amica sopravvissuta Miriam Novitch, e quindi pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1945. Il Canto del popolo yiddish messo a morte è il vertice letterario scritto dall’interno sulla distruzione di un popolo di Europa. Le parole di Itzhak Katzenelson testimoniano il dramma e le sofferenze di un popolo intero. Tremende, documentano pienamente la crudeltà subita. E rimandano al contempo alle responsabilità storiche e morali dell’uomo.
1.
CANTA
Canta, prendi l’arpa nella tua mano vuota, svuotata e lieve,
sulle sue corde magre getta le tue dita dure,
come cuori in pena, l’ultimo dei canti,
canto degli ultimi yidn sul suolo d’Europa.
Come faccio a cantare? Come aprire la bocca
se sono rimasto io solo solamente?
Mi moglie, i miei due cuccioli, orrendo
un orrore mi scuote, piangere, da lontano sento piangere.
Canta, canta, solleva in alto la tua voce di pena e di rovina.
Cerca, cercalo lassù da qualche parte, se ancora ci sta.
E cantagli, canta per lui l’ultimo canto dell’ultimo degli yidin,
vissuto, morto, non sepolto e nient’altro.
Come faccio a cantare? Come posso levare la testa?
Mia moglie portata via, il mio Bentzi e Yomele,
piccolino,
non li ho più e non mi lasciano mai.
Ombre scure dei miei luminosi, ombre gelate e cieche.
Canta, canta un’ultima volta ancora sulla terra, getta
la testa indietro, rovescia gli occhi pesanti su di lui
e canta per l’ultima volta, suona per lui sull’arpa.
Non ce n’è più di yidn. Messi a morte
non ce ne sono più.
[…]

Itzhak Katzenelson
Itzhak Katzenelson nacque nel 1886 in Bielorussia, ma presto si trasferì con la famiglia a Lodz, in Polonia, dove aprì una scuola e si dedicò alla Letteratura, scrivendo sia in yiddish, sia in ebraico. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Varsavia, dove assisté all’agonia del ghetto. Nel 1943 la moglie e i suoi due figli minori furono uccisi. Lui, insieme al figlio maggiore, fu portato a Vittel, in Francia. Qui scrisse Il canto del popolo Yiddish messo a morte. Il 29 aprile 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove fu subito eliminato.