La testimonianza poetica di Benedetti

Si deve morire, e non sembra vero
Pitture nere su carta
, MARIO BENEDETTI


IL RICORDO DI MAURIZIO CUCCHI 

Avevo conosciuto i suoi versi, prima della persona, e ne avevo subito apprezzato il valore di una attenta, voluta ricerca di normalità autentica. Una parola, la sua, capace di registrare il sentimento quotidiano dell’esistere, la sua umile bellezza, di cui sapeva cogliere il senso tra esperienza diretta e presenze trasmesse nel tempo da una realtà locale, partendo da quella delle sue origini friulane, a cui non poteva non essere legato. Siamo poi diventati amici, abbiamo passato ore molto vive insieme, abbiamo lavorato insieme, anche, nel segno di una fiducia credo davvero reciproca e solida.

La cattiveria del destino aveva posto fine alla sua opera già molto prima, purtroppo, che alla sua stessa vita. E parlo di un’opera poetica che si era utilmente mossa nella necessità di un progetto interno che lo aveva portato da un dire d’ampio respiro, aperto nel suo svolgersi a un passo dalla prosa, a una scrittura resa decisamente scarna e a suo modo impervia. Fino a una sintesi in Tersa morte, di cui avremmo voluto poter conoscere gli ulteriori sviluppi.

La sua, da Il parco del Triglav al decisivo Umana gloria, dalle Pitture nere su carta all’ultimo libro, è stata la testimonianza poetica di un sensibilissimo coinvolgimento nella quotidianità dell’esserci pur nella costante vicinanza sinistra, e sempre percepita, del nulla che ci attende. Ma senza alcuna sottolineatura enfatica, bensì nella non facile consapevolezza che, nell’orizzonte totale delle cose, l’umana gravità della nostra angoscia è pur sempre irrilevante. Mario Benedetti è vissuto ben sapendolo, avendo ben presente l’ombra di questa porosissima condizione aleatoria. È stato un uomo sapiente, un vero poeta.

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