Poesie assetate d’aria

COMMENTO DI ALBERTO FRACCACRETA

Quanto mai attuale risuona oggi l’interrogativo di Hölderlin, «perché i poeti in tempo di povertà?». La risposta suona identica a quella di allora, e ce la ricorda Heidegger: «Il linguaggio è la casa dell’essere» e la poesia è il recinto di terra dove si innalza questa casa: nei tempi di povertà i poeti ci riportano al fondamento dell’essere. È allora un’iniziativa lodevole dare la parola alle impressioni di chi modella la lingua di giorno in giorno, come fosse un manufatto prezioso e fragile, sempre sul filo dell’estinzione, e quindi un “oggetto” (almeno secondo Pessoa e Caproni) da trattare con estrema delicatezza.

L’idea di un’antologia di liriche ai tempi del Covid-19, Dal sottovuoto. Poesie assettate d’aria (a cura di Matteo Bianchi, Samuele Editore), sfida la possibilità di confrontarsi con l’effettuale, con l’hic et nunc, richiamando un ampio gruppo di poeti a redigere il diario dell’emergenza: tema di assoluta verticalità poetica — la vera poesia è sempre in emergenza —, il rapporto tra versi e libertà conferisce alla scrittura la nobilissima preoccupazione per le individualità minacciate non soltanto dal nemico invisibile, ma anche dalla prigione interiore, dallo spleen, dallo scacco esistenziale, dalle recrudescenze del solipsismo globalizzato, dal lutto. Come sottolinea il curatore, questa antologia «mette nero su bianco la volontà di confrontarsi sul tema dell’isolamento, di una quarantena tanto improvvisa quanto obbligata. L’idea è scaturita dalle sparute riflessioni trapelate sul web, ovvero dalla necessità sommersa di molti intellettuali di liberare un vuoto interiore che una volta confinato rimbombava con maggiore violenza».

Gli stilemi che si susseguono nel volume sono molteplici e per nulla ovvi, e il coro polifonico che si innalza trascende l’occasione per entrare nel tic spitzeriano dell’«allusione mascherata», del «lapsus» — com’è detto in una poesia di Alberto Bertoni —, in virtù del quale le modalità dell’esistere transitano dalle semplici occorrenze quotidiane fino ai grandi temi della vita e della morte. Rapidi cambi di prospettiva («E poi ad un tratto quel pallino chiaro/ The Earth/ La Terra vista dal cortile del vicino», Franco Buffoni), serrati confronti con la teoria del piacere di Leopardi («Leopardi, che pure aveva ragione,/ non ha considerato che il piacere/ duraturo ci avrebbe come specie destinati d’emblée all’estinzione», Gian Mario Villalta), dicotomie e consonanze di amore e dolore («intimo amore sprofondato/ e funesto», Luigia Sorrentino): ogni singolo componimento dei 35 poeti scelti a raccontare l’inaudito è pensato per sciogliere i nodi della solitudine e mantenere intatta l’umanità schiacciata da virus e attacchi alla coscienza, spersonalizzazioni e feroci antagonismi sociali, certi tuttavia che l’oscuro lavoro della poesia coinciderà sempre di più con uno scampo di salvezza irrinunciabile.

Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria 
a cura di Matteo Bianchi, Samuele Editore, pp. 145, € 6,99

con testi di Alessandro Agostinelli, Erminio Alberti, Lucianna Argentino, Franco Arminio, Alberto Bertoni, Maria Borio, Franco Buffoni, Anna Maria Carpi, Valentina Colonna, Flaminia Cruciani, Maurizio Cucchi, Francesco Forlani, Tiziano Fratus, Giovanna Frene, Tommaso Giartosio, Fabrizio Lombardo, Franca Mancinelli, Gerardo Masuccio, Stella N’Djoku, Roberto Pazzi, Umberto Piersanti, Giancarlo Pontiggia, Rossella Pretto, Eleonora Rimolo, Valentino Ronchi, Federico Rossignoli, Paolo Ruffilli, Anna Ruotolo, Gabriella Sica, Stefano Simoncelli, Tiziano Scarpa, Luigia Sorrentino, Mary Barbara Tolusso, Mariagiorgia Ulbar, Gian Mario Villalta

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E si ritrae, intanto, la città,
in qualche buco dell’etere, ventosa
che ci risucchia, e non ci lascia andare,
vaghiamo
tra i bachi della mente, altri bachi che s’intrudono
nella compagine del mondo,
sono io, davvero io, quello
che cammina tra i pioppi, altissimi, che oscillano
in un garbino leggero, e niente che si muova
intorno, solo una strana
vocìa tra il sogno e il tempo
di allora, o di prima, e sempre
questo silenzio immusonito che sciaborda
è il tuo vento, città, nuovissimo e altero,
immoto sopra i pianori di City Life, guardo
la mia, la nostra, non vostra solo,
vita che s’inoltra in asfalti solitari,
qui, a un metro
dal nostro spavento: non così alta
la nostra mente, che non tremi,
non così alta, dico, a mezza voce,
e non uno che consuoni,
o risponda.

Giancarlo Pontiggia

 

 

In questo piatto orizzonte post umano
di vuote identità estroflesse, di intimità
svendute alla quotidiana narrazione
oscena, difendo quel poco l’abitudine
anonima, domestica, come il pensiero
assorto di Zoe che si assopisce
e poi balza d’elastico incanto immutato
verso un apice reale, un apice
realmente immaginario nella sua fisica
normalità.

Maurizio Cucchi

 

 

Ora siete ripartiti tutti senza rancore a testa china
per tornare alle grandi metropoli, ai suoni stridenti
della civiltà che avanza e non cede all’abitudine.
Un anno a calcolare la distanza prolungata dello strappo:
alchimia cara a chi resta. Basterebbe un colpo netto
per tranciare la carne e questi tessuti non avrebbero
più nessuna cura di te: oggi il tempo non cala dall’alto,
non è un colpo di bastone al collo, le madri invecchiano.
Se riaprirai le finestre dopo il lieve inverno vedrai il bucato
già asciutto da mesi, i bambini che non sono cresciuti
e ancora chiedono pane con le stesse prime parole.
Le tenere pagine bianche di una neve mai vista
oggi raccontano un’età intera in quattro macchie:
não te ligo mais.

Eleonora Rimolo

 

 

In un sonno lunghissimo, mentre il silenzio intorno
alla zona rossa si allarga, ho sognato di essere un delfino
che risaliva il Rio delle Amazzoni, entrava in una vena
segreta e alla bocca del Tevere tornava, affondava, apriva
le onde nell’Hudson, nel Reno roteava. La sorgente
del Tamigi e la baia di Wellington erano affluenti,
di corso in corso la forza del mare si allenava,
il Fiume Giallo riscaldava la Neva, e su zattere di pino
i morti scomparivano, nudi, e sentivo freddo ma c’erano
le stelle, perché nello spazio bruciano ma non riscaldano,
e potevo toccarle senza morire. Ho sognato tanti corpi,
i codici, i caratteri, la logica del profitto ancora impressi
nelle rughe. Poi c’era una cosa più lontana, una scintilla,
un lampo, un sogno lucido: il cambiamento? Il delfino salta
molto più del perimetro di una zattera, ogni secondo.

Maria Borio

 

 

è quasi finita la luce.
da questo vaso di vetro e cemento sporgiamo il capo come fiori
recisi dalla nascita.
*
tra i rami dei polmoni
si sono posati i corvi. È ferma l’aria. Nessun battito
che li richiami via.
*
sgorga dagli occhi acqua benedetta cercando te, la tua frattura
per attraversare il mondo.
*
per ogni morto porterai una luce nel buio del corpo
e dei suoi firmamenti.

Franca Mancinelli

 

 

dal vetro vede la strada
una lingua lucida
limacciosa
spalancata negli occhi

ha fame di notte

l’odore della pioggia senza peso
ha investito il corpo nascosto
l’odore viene dal basso

la suola delle scarpe
non ha consumato
la sconosciuta
profondità del vedere

Luigia Sorrentino

 

 

Quando cessa il fischio che viene giù dal cielo, usciamo tutti dal pertugio stretto scavato sotto la filanda. Gli aeroplani volano ormai distanti. E tutti ci abbracciamo, sentiamo l’aria fatta di nuovo chiara.
Oggi non c’è un fischio che cessa e quando passi lungo la pista ciclabile dagli altri ti difendi e ti discosti e l’abbraccio è un pericolo, da tutti devi stare distante. L’aria rimane scura, più non brilla il favagello sotto la luce: il sole è tutto giallo e tutto nero. E tu sei solo come non sei mai stato.

Umberto Piersanti

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