Davide Rondoni: La poesia come volontà e rappresentazione
di Antonietta Gnerre
Il mondo come volontà e rappresentazione è una celebre opera del filosofo Arthur Schophenauer. Ho preso a prestito le sue parole per rendere al meglio l’opera poetica e la fervida attività di divulgazione della “parola” da parte di un grande poeta della modernità, Davide Rondoni.
D. La poesia esprime sentimenti e realtà che rappresentano la visione del mondo e la sensibilità di chi scrive. Chi è autore di poesia si sente un po’ al centro dell’universo delle parole, come un cosmonauta nello spazio. Secondo te, in poesia, esistono modelli da seguire?
R. Ma io non sono schopenhaueriano! Ma shakespeariano, e dantesco, e cervantesco, e baconiano, nel senso del pittore, e postpasoliniano. O forse sono un grado zero della poesia, dove non c’è etichetta ( mi han dato di tutto, soprattutto certi pirla che lavorano di definizioni e di etichette e vorrebbero sapere cosa è la poesia). Il mondo mi attrae e ferisce proprio perché non è volontà e rappresentazione di nessuno, tantomeno mia, ma sorpresa, ferita, strada per tutti. E la parola poetica, quando è autentica, immagina e inventa nel senso di trovare qualcosa che c’è nel reale, nel vivente. E ne viene sopraffatta e rigenerata morendo. Ci sono più cose in cielo e in terra che nella tua filosofia, avvisava Shakespeare.
D. La poesia oggi in quale direzione sta andando?
R. La poesia non va in una direzione. Ma in tutte, sempre, perché gli uomini e le donne cercano in tutte le direzioni il senso, la gioia, il vero. E questo strano dono del poetare cava fuori la voce al viaggio, al naufragio, alle scoperte di tanti, offerti a tutti… Basta guardarsi intorno. E vedi la poesia andare in tutte le direzioni. Certo ci sono cavalli di razza, capre, cani, esserini simpatici, topacci, cigni che in realtà sono gallinacci, e altri un po’ sgorbi, ma tutta questa poesia che si fa, che si cerca di offrire e che cerca dentro le parole il sapore e il sapere del vivere – pur dentro le più patetiche vanità – è la mappa profonda del viaggio umano.
D. Si parla spesso di crollo della parola scritta in favore di una comunicazione visiva, fatta di immagini e di icone. C’è un punto nodale laddove la scrittura incontra il mondo visivo?
R. Non mi pare ci sia questo crollo. Semmai c’è un cambio di supporti e di modi di trasmissione, ma vedo semmai una invasione delle parole. Delle chiacchiere, il più delle volte. In questo la poesia ha il compito di essere un linguaggio non coatto, non nascente dalla mera, ipersollecitata volontà d’espressione, che spesso vediamo dilagare e rarefare in arabeschi di nullità, o in show patetici della solitudine, ma esercitare il proprio radar, la propria durissima arte sulle questioni essenziali del vivente, cercando acquisti, prede, cibo per il cuore e per la mente. Se per mondo visivo intendi i modi di creare immagini che l’uomo di oggi ha, credo che i punti di incontro siano infiniti. E lo si vede nelle migliori forme di arte. Del resto già nelle Annunciazioni di Beato Angelico c’erano quelle parole in letterine d’oro e scritte al contrario per significare l’incontro tra l’angelo e il “sì” di Maria…Il nodo sta nel fatto che l’essere umano indaga e comprende la sua esistenza per immagini, per ritmo e per parole, e mai, mai può farlo, senza l’una o l’altro di questi elementi.
D. Si leggono poesie ai reading e in TV. Si tratta di un medesimo linguaggio o di linguaggi differenti?
R. La poesia non è un linguaggio. Ma sono parole “accese” o come diceva un testo antico, “in hac verbi copula stupet omnis regula”. La poesia è un incontro, una “copula”, incontro amoroso e fertile di parole in cui tutte le regole “stupiscono”. Non si annullano, ma si stupiscono! Una regola stupita…E dunque questo evento di parole ( la poesia è un evento, non un discorsetto complicato o arguto…) può accadere ovunque, in ogni luogo. Ma il teatro, o la TV, ecco sì, queste cose sono, hanno un linguaggio. A cui la poesia non oppone il proprio, e nemmeno deve adeguarlo, semplicemente perché non ce l’ha! È il non linguaggio, e la tensione della parola che attraversa tutti i luoghi, quelli con un proprio linguaggio, non solo i media o i teatri, ma anche la trincea, il lager, il letto disfatto d’amanti, o d’ospedale. E quei posti del cuore o della mente dove il linguaggio non ci sarebbe, se non fosse la poesia, il suo belato o il suo grido, a darne un segno. Voce completamente umana, in mezzo a linguaggi spesso disumanizzati, per violenza o per pudore. Quello che Rilke diceva quando vedeva che “si tace di noi”. La poesia non tace di noi. Rifiutandosi proprio d’esser linguaggio codificabile, pur se da letterati e professorini, ed essendo tensione propriamente, anteriormente umana, e umana anche futuramente.
D. I luoghi, le cose, i suoni, i colori, le immagini che contraddistinguono la poesia come vanno raccontati in TV? Cosa è cambiato fondamentalmente. A quali stimoli del presente bisogna richiamarsi?
R. La TV deve fare la TV. E la poesia non diventa altro da se stessa, se compare in TV. È sempre voce, testo, ritmo. Se quel che si vuole presentare è la poesia e non la vanità di chi ne discorre, la poesia arriva anche in TV, come in un bar, o in lager. Arriva il suo dire, il suo ritmo. In TV si possono certo fare anche discorsi intelligenti sulla poesia, sugli autori, o documentari o ottimi servizi informativi a proposito di figure della poesia. O creare prodotti televisivi di forte impatto, introduttivi alla esperienza poetica. La TV dovrebbe fare di più, essendo l’arte e non la politica la cosa migliore dell’Italia. E ad esempio andrebbero evitate le operazioni di regime culturale come il Film di Martone su Leopardi, didascalico e contro-leopardiano.
D. Come è nato questo tuo interesse e cosa ne pensi della promozione attraverso i social network ?
R. A me interessa la poesia, non la TV. Se mi chiamano in TV ci vado, dico la mia, o propongo cose di poesia, così come le propongo nei teatri o per le strade o nei peggiori bar di Caracas, letteralmente. I social hanno un pregio: la rapidità e la facilità. E un difetto: la rapidità e la facilità. L’uso di tale difetto/ pregio è tanto più saggio e utile quanto più la persona che se lo trova tra le mani è più formata, meno vanitosa, più profonda. Di sicuro le chiacchiere di due poetini su Facebook non m’interessano e credo che interessino solo il loro giro di piccoli pettegoli. Se invece per misurarsi con un grande tema come quello della Natura, trovo spunti e materiali grazie alle segnalazioni che i social mi possono fornire, è ok. Avevo scommesso che avrei visto il declino e la fine ingloriosa di certi organi di stampa (penso a certi giornali banali e vanitosi) e va da sé che ormai è più facile diffondere un proprio scritto o un avviso attraverso i social che attraverso quei giornalùcoli.
D. L’attenzione dei critici e dei giornali pare che sia cambiata. In che modo si affronta la poesia?
R. Cambiata? No, ci sono critici bravi, come Lagazzi, Napoli, Quiriconi, Boitani, altri con cui vale la pena misurarsi come Piccini, la Benedetti, o certi acuti poeti lettori di poesia come Pontiggia e altri. Poi c’è una pletora di critici da dipartimento che usano la poesia per avere lo stipendio fisso, ma da cui raramente sento venire idee interessanti. Nei giornali si parla di poesia? A volte, ma non credo che influisca molto sulla vita e sull’opera dei poeti.
D. Quanto conta la poesia nella modernità e che intensità espressiva ha raggiunto?
R. La poesia non conta. Sconta. Sempre. Sconta la finta modernità in cui siamo, sconta la nostra tiepidezza. Sconta sempre. Il suo fine non è contare, come magari deve contare che so una idea politica o una filosofia. Esistono le poesie, più o meno forti e belle. E l’arte della poesia sconta sempre ( e meravigliosamente) il fatto che siamo uomini. Non è il tempo o l’epoca che fa raggiungere intensità alla poesia. Ci sono versi di Jacopone da Todi che per intensità spazzano via quasi tutta la poesia contemporanea.
D. Nella poesia sono ancora preponderanti i temi della malinconia e della fragilità dell’uomo?
R. Nella vita, e quindi nella poesia, sono preponderanti la malinconia e la fragilità. Insieme allo stupore e al desiderio della gioia, se si è vivi. Di che cos’altro vale la pena parlare, del gossip ?
D. A quali altri progetti stai lavorando?
R. Progetti non li faccio. Scrivo, stanno uscendo due grandi racconti, uno per ragazzi, e uno d’amore e di guerra con la storia di Francesco Baracca, aviatore della Grande Guerra. E poi monologhi teatrali in versi, come “Il corpo del musicista” con la prima viola della Scala, Danilo Rossi, ed è uscito da poco una edizione UTET dei sonetti di Shakespeare con mia introduzione. E scrivo poesie, e mi brucio e scrivo.
D. Quali sono i tuoi maestri di riferimento? Chi di questi consegneresti ai posteri? Le giovani generazioni sono pronte a recepire eventuali assists?
R. I ragazzi più intelligenti e più umili ( di cuore no. Necessariamente di carattere) chiedono sempre. E sono sempre i migliori. Quando invito a leggere Luzi, Testori, o Caproni o Les Murray o qualcosa del prof. Raimondi, o a misurarsi con Rilke o Ungaretti e non con le chiacchiere, restano impressionati. E confortati e sfidati.
Intervista grintosa, mai banale, nessuna concessione al ” già detto “Un antidoto a molta melensaggine che affligge, generalmente, sull’argomento.
Bella e interessante intervista sul verso e la direzione della poesia nell’ottica di una modernità e di una globalizzazione che ha cambiato anche le nostre radici. Davide Rondoni è un grande poeta e sa bene quanto la poesia sia connessa alla realtà e alle sue trasformazioni.
Monica