GENERAZIONE DEGLI ANNI 80
Noé Albergati, Daniele Bernardi, Yari Bernasconi, Andrea Bianchetti, Margherita Coldesina, Laura Di Corcia, Lia Galli, Andrea Grassi, Fabio Jermini, Jonathan Lupi, Mercure Martini, Marko Miladinovic, Pietro Montorfani, Carlotta Silini.
Immagine di copertina: Shendra Stucki
*
Dalla prefazione di Debora Giampani
Quando mi è stato chiesto di curarne la prefazione, subito mi sono interessata al perché di questa antologia. Ben consapevole che un’ennesima raccolta non potesse aiutare un mercato frammentario e asfittico come quello della poesia nella Svizzera italiana, Andrea Bianchetti mi ha risposto mettendo in luce la volontà di unire gli sforzi di un gruppo di poeti che, più o meno in sordina, portava avanti una passione condivisa a dispetto di condizioni decisamente poco incoraggianti […]. L’idea era infatti nata un po’ per caso durante una chiacchierata tra Andrea e Virgilio Berardocco, studioso, critico, oggi dottorando all’Accademia di Mendrisio, Jonathan Lupi, biologo, Fabio Jermini, oggi dottorando in letteratura italiana a Ginevra e Lia Galli, docente di italiano nelle scuole superiori, in seguito ad una giornata dedicata alla letteratura. Durante questo incontro il gruppo si era subito reso conto che a compattarlo non era soltanto la passione per la poesia, bensì anche una questione anagrafica: erano nati tuti negli anni Ottanta. Di lì all’idea di riunire le loro voci in un’antologia che, oltre agli autori presenti alla chiacchierata, ne comprendesse altri della stessa generazione, il passo fu breve.
[…] i denominatori comuni saltano spontaneamente all’occhio e, lungi dal voler schematizzare la produzione letteraria di poeti che hanno lavorato e lavorano autonomamente, è tuttavia un piacere, per il lettore, notarli. A cominciare dal paesaggio. Una terra di sinuosità e contrasti come quella della Svizzera italiana non può lasciare il poeta indifferente. Non sarà dunque una rarità incontrare, nelle prossime pagine, montagne, laghi, fiumi, piccoli animali che albergano silenziosi nella natura che veglia sulle case, una natura che si fa tanto dominante quanto più si riflette su un semplice dato percentuale: oltre il cinquanta per cento della superficie della Svizzera italiana è ricoperta da boschi. La famigliarità con cui i poeti si approcciano ad un paesaggio naturale così imponente è dimostrata inoltre dalla precisione, dalla minuziosa sensibilità con la quale lo richiamano. Ci sono “foglie che il lago si passa tra le dita” in Carlotta Silini, “il ghézz / più tozzo più spavaldo / dell’umile cugina” di Andrea Grassi, la “metamorfosi di un cigno di metallo” di Fabio Jermini, un fico che pende “sotto il peso / languido delle api” in Jonathan Lupi, il “viola del malvone / mezzo spezzato dalla pioggia” in Mercure Martini, …
Non solo la natura, però, colpisce il loro sguardo. Figlia di un processo di ammodernamento che con tanta velocità ha sconvolto il paesaggio della sua infanzia (ricordo ancora, io, classe Ottantasei, le greggi di pecore a Pregassona bassa), la generazione degli anni Ottanta è cresciuta assieme alla capillare urbanizzazione della Svizzera italiana. Non senza notarne le stridenti caratteristiche. E così, accanto al languore delle pagine più naturalistiche, ci sono “L’urlio del binario che si sfolla”, prostitute “con le unghie grigie”, banchieri “in completo nero”, in uno sguardo complessivo che non è unitario (per carità!) e che tuttavia, nel decifrare lo stigma di una società che così repentinamente ha cambiato volto, mostra uno dei possibili retroscena di una scrittura poetica che condivide unicamente le coordinate spazio-temporali.
[…] Come per la tematica, anche la questione della forma non ha rappresentato un vincolo per l’inclusione delle voci qui rappresentate. I poeti non sono infatti coesi dal punto di vista formale, anche se, ancora una volta, l’operazione di antologizzarli mette in rilievo una dualità che sarebbe forse sfuggita altrimenti. Sarebbe certo un discorso ampio, in questa sede tuttavia se ne farà cenno solo quanto basta per notare che gli autori sembrano essere suddivisi in due categorie: i formalisti e i non formalisti. Le differenze sono così accentuate che si potrebbe azzardare un’osservazione circa la – presunta o meno – permeabilità di questi autori a qualsivoglia programma di poetica. […] Lo scenario si presenta comunque molto eterogeneo: si va da luminosi esempi di poesia rigorosamente formale quale quella di Pietro Montorfani o Fabio Jermini, alle quartine quasi “rappate” di Mercure Martini, agli scorci abbacinanti di Yari Bernasconi, fino ai versi senza fiato di Marko Miladinovic. Un’antologia, in questo senso, divide invece di unire: ma, di nuovo, l’avvicinamento delle singole voci da lei messo in atto a potercelo suggerire. […]
*
Selezione di testi:
Noé Albergati
PASSEGGIATA IN GIARDINO
a F.
Forse ricordava vecchie passeggiate,
antiche campagne, vecchi pomeriggi al sole,
oppure i raggi che scaldavano la pietra
chiamavano al tepore la sua pelle,
o forse, ammiccanti alle finestre,
le piante variopinte e tremolanti
le rendevano odiosi gli immobili
tavoli di legno sul parquet lucido.
Quando passeggiava in giardino
non camminava molto, fino alla strada,
ma quei pochi metri percorsi
erano una continua scoperta,
un’incessante meraviglia.
Ad ogni passo una nuova pianta
so rot grün oder gelb
und der blaue Himmel
attirava la sua attenzione,
il suo sguardo limpido ne ammirava
la semplice e serena presenza,
sul suo viso un sorriso di fanciulla innocente.
Poi, dopo una decina di wunderbar,
rientrava nella casa anziani
già smarrita e dimentica di tutto.
*
Daniele Bernardi
Cantavano forte gli uccelli, quel giorno.
Come un mattino matto, sdraiato a letto,
guardavo gli occhi del soffitto
e mi si disfavano le ossa nelle lacrime –
non c’era rondine, insetto o tasso
che attraversasse col suo muso basso
la pianura grigia, di fronte al palazzone.
Eppure ogni animale era in attesa.
Nella stanza accanto, respiravano gli angeli
con voce strozzata. La cassa della pioggia
rumoreggiava battuta dalle dita. Era sera
quella mattina. Il rumore delle bestie
dentro al cielo di vetro
era fragore di scroscio senza risacca –
uscimmo presto, con gli occhi pesti
che ancora conservavano nel bulbo
il riflesso del tuo corpo sulla zattera.
Ti mettemmo adagio dentro una piroga
di tronco di tiglio (quello stesso tiglio
che tu prendevi a pugni quando eri in forze
e staccavi con le nocche
tocchi di corteccia per vedere il morso
sotto la scorza – dentro al canile
cigolava ancora la memoria dei guantoni
appesi al muro d’ombra della stanza).
Sei partito sull’acqua con un bavaglio sugli occhi.
Avevi un quadernetto tra le dita incrociate.
«Staccate il drago dal telaio», disse una ragazza
mentre ricoprivamo di neve il tuo riposo.
«Il guerriero ha combattuto», disse tuo fratello
appoggiato al muro. «Il drago gli ha dato la pace»,
aggiunse, senza muovere le ciglia.
Mi ha strangolato un albero che gridava il nome
scritto sopra il barattolo di cera. Mi ha colpito in faccia
il tuo capo muto, mentre dicevi «no»
scosso dai vetturini che sistemavano le foglie
dentro le aiuole del tuo giardino vuoto.
Era giugno in quel giorno senza fiori.
Venivano incontro a noi, sulla strada dei cancelli,
tutti quelli che ti avevano visto vivo.
*
Yari Bernasconi
PICCOLA CRONACA DI UNA PASSEGGIATA
Un’anziana si ferma sulle scale, tra la luce opaca
di un neon. Mi saluta ansimando.
Finché mi reggo in piedi, io sto qui. Non ho nessuno.
Mia figlia, qualche volta, mi telefona e poi parliamo.
*
Di fronte al chiosco c’è un caffè polveroso,
dove si mangia e si beve per poco. Un uomo
si rivolge a un altro uomo. Voce alta, occhi spenti.
Lavoro anche di sabato, ultimamente. Non mi pesa.
E poi sono con gli altri, siamo insieme.
Anch’io lavoro tanto, ma è un periodo così.
*
Andrea Bianchetti
GEFILTE FISH
A Oliver Sacks
Quando è morta ho preso la macchina
e sono andato via.
Mi fermavo nei bar e non bevevo.
Un uomo mi ha parlato della guerra
mentre un ruvido triangolo di torta
alle ciliegie si ingarbugliava
nella mia gola.
Non mi andava la torta.
Ho lasciato qualche moneta
sul tavolo e sono uscito.
Fuori faceva freddo.
Mi sono chiuso nella giacca.
Mi sono acceso una sigaretta.
L’uomo mi è venuto dietro.
Mi ha parlato del figlio. Dell’HIV.
«Anche da piccolo si vestiva
da donna, ma pensavo fosse
una cosa passeggera sa, così».
Ha respirato e abbiamo guardato
……………
*
Margherita Coldesina
Ho buchi come ombrelloni
Dico sempre che mi piace entrarci
Poi lì lì mi pianto per terra e rovino le unghie per non andare
Ho buchi al cervello
Ho un formaggio al cervello
Una specialità
Io dico che mi hanno sparato al cervello
Ho stomaci per ogni anno passato da sola
E ti dico che no, non è un bambino
Ho freddo e non sufficienti coperte
Ti dico che non scaldano queste coperte
*
Laura Di Corcia
Eppure l’unica via di scampo ce la dà la gelatina
un po’ meno del ghiaccio, un po’ più dell’acqua:
ed è questo il difficile, permanere
in una forma che il mondo rifiuta, sclerotizzato
fra evaporazioni e sublimazioni,
su pause di ritmo che sono questo e tendono a quello.
La materia, se la ascolti, te lo dice
che la gelatina esiste solo in cucina,
che l’io tende a fermarsi su una rigidità,
perché ha paura del risucchio
(lo teme, l’inferno: lo brama – sono le sirene dell’abisso, il pianto antico che da sempre ci appartiene come un noi ma riflesso
– vapore bianco – come un noi ma vagante).
Il divenire è una legge crudele:
quanto sarebbe meglio potersi fermare su uno stato!
crocifiggerlo a dovere,
proteggerlo nella propria bocca calda di bosco.
E invece tutto diventa cancrena,
se si fissa: allora va via, scappa, corre
smania di voglia di vivere
……………..
*
Lia Galli
da Chelsea Hotel
Stanza n. 888
E se verrà la morte a cancellare tutto
a cosa saranno serviti i tuoi gomiti
bruciati dal linoleum, l’abrasione
violenta e continua, ripetuta
della nostra pelle mai stata splendida?
Questo ripetersi “andiamo avanti”
anche se scalzi, anche se nudi,
anche se san Sebastiano aveva meno frecce
nel petto
di te, di me, di noi,
anche se le stelle comete son tornate a essere braci,
braci ardenti, tizzoni e nient’altro.
E tu mi chiedi di risponderti
ma io non ho parole nuove
ti posso solo stringere per non sentire la paura
posso solo indicarti la ginestra, ancora lei
lei che ha scelto, coraggiosa,
di resistere anche senza motivi.
*
Andrea Grassi
IN GIARDINO
Il ramarro che più non guizza
agonizza bevendo l’aria
con la sua gola azzurra.
Sembrano due vecchi
amici che prendono il sole:
la presa mortale una
tenera pacca sulla spalla,
un sospiro nostalgico
il rantolo. Ma che ne sai
tu di questa lucertola
d’alto rango che sbuca
pure nel venticinquesimo dell’Inferno?
Per te resta solamente un ghézz
più tozzo più spavaldo
dell’umile cugina
che perde troppo presto
la coda e snellisce nei muri.
Una facile preda.
È già il terzo questa settimana.
*
Fabio Jermini
BOSCHI E GIARDINI
Tutto quanto è profondo ama
maschera e indecenza, strategica difesa
di verità e passione.
Vagando sui sentieri,
niente erompe dalle cortecce, da rami
avviluppati, da ferrigne spelonche.
Di rado soltanto si giunge a una radura
e si dirada l’ombra.
A che serve appiccare un fuoco, se pure
annegano le rovine dei tratti amabili
in questa pozzanghera tossica?
Copriva la pioggia i rumori, il dolore?
Camminavi il giardino del reale,
tra mandorli e azalee, ma suonava
il clarino la tragedia, mentre dormivi
la testa sulla mia spalla.
«Erano pesanti le ali, nebulosa la vista»
«Bruciare era un piacere».
*
Jonathan Lupi
IMPRONTE
I.
Le corna del cervo non scappano più. Sono
appoggiate, impigliate in questo prato
che macchia come una voglia la collina
corrompendone le lacrime.
Sul corpo del cervo
depone il fucile il cacciatore. Con calma
svuota la carcassa
contorcendone lo scheletro.
La lingua del cervo
rivolta sopra il prato
convoglia il bramito della morte
all’altare dei lombrichi.
La sua salma nel crepuscolo
è una memoria boschereccia: indugia
l’impronta d’erba rotta e le budella
s’intrecciano nel sangue.
*
Mercure Martini
ALLEGRO, MA MAI TROPPO.
(Situations concrètes,
Conséquences épouvantables)
Dodici quartine dal settimo Quadernetto Nero
///
E se il tuo muro fosse la tua tela?
Un quadrato (o uno squarcio) sul tuo
nero? – E la tua camera l’anti-
camera del tuo pensiero?
///
Scrivevo prose alchemiche,
sonetti tantrici,
copiavo Rimbaud, Ezra e
il Cantico dei Cantici.
*
Marko Miladinovic
A MOLTI PESCI IN AVVENIRE
libera è una prostituta
se dipendente statale
il sogno di un animale
nella piazza intorno alla
fontana una civiltà di cui restano
soltanto gli schizzi d’acqua libertà
libertà che cos’è la libertà?
non l’autista ma l’automobile
il narratore no sì la pubblicità
di un’automobile in questo verso
io la metto in garage, libertà, libertà
chiede aiuto? i bambini giocano
liberi di giocare una farfalla
diventa bruco liberi gli uomini
di non essere uomini per obbedire
di essere capricciosi saltare in un abisso
con il paracadute liberi di cadere
senza sostegno vivere se non si vuole
volere non vivere la vita liberi
i pensatori di non smettere di pensare
libertà ti invoco per non finire
ora che ho cominciato libertà
*
Pietro Montorfani
NAVIGLI
Qui dove acque si dilatano placide
non si celebrano miti del Nord
(sirene del Baltico e della Vistola
dove fermano fondano città)
qui, costrette in canali troppo umani
sfiorano lente presepi sommersi,
stagnano nelle marcite, zampillano
senza tanta foga dai fontanili…
Le domeniche estive le sommuovono
braccia di canottieri in controluce,
ali di nuotatori-cormorano.
A ottobre lasciano gli argini piano
piano – passi veloci sopra il ponte
e in fondo al greto un cercatore d’oro.
*
Carlotta Silini
AL MERCANTE DI SABBIA (DALL’OSPEDALE PSICHIATRICO)
Ricorda di passare con la sabbia nelle tasche,
e gettala negli occhi agli spettri senza requie –
a chi ha te soltanto da supplicare al buio. Certo devi curarti
del sonno fatato dei bimbi, ma non saranno gli spettri
a pretendere il tuo oro. Apri l’ombrello nero
su teste vecchie d’insonnia, lascia che fango e melma
ci colino in bocca, nel naso: non servono sogni di luce
a volti cui manca la faccia. Ricorda di volare, la sera, sull’ospedale.
Accucciati ai piedi di letti intrisi di disperazione
e lancia sabbia bagnata su lacrime, corpi contratti:
dolce mercante del sonno, lascia dormire gli spettri.
WOW!