Mark Strand, Una passeggiata (da mezzogiorno a mezzanotte)

Luca Sossella ha appena pubblicato un video di 55 minuti su Mark Strand, uno dei maggiori poeti viventi di cui vi viene qui sotto proposto un breve stralcio.
Il video “Una passeggiata” (da mezzogiorno a mezzanotte) di Mark Strand con Damiano Abeni, tenta di aprire un varco fra il sacro e profano, fra esterno e interno. In mezzo al caotico appiattimento del quotidiano, nell’anestesia generale di una città-pretesto (in questo caso, Roma) la voce del poeta  trasmette la poesia . I testi vengono detti nel ritmo del quotidiano: dal poeta (sempre in anticipo) e dal traduttore (sempre in ritardo). Insieme entrano nei luoghi rappresentati da sei vie d’uscita: la piazza, le rovine, la porta, la scala, la stazione e il giardino. Come nella tradizione la voce (sacra) tende al quotidiano e al simbolico, un quotidiano sofferto come una preghiera dell’interiorità, una consapevole resa all’impossibilità di dire se stessi.

Niente ti dirà
dove sei.
Ogni attimo è un posto
dove non sei mai stato.
.
di Mark Strand
Da: “Il futuro non è più quello di una volta” Minimum Fax Editore
 
Mark Strand è nato a Summerside (Prince Edward Island) in Canada e vive a New York. Insegna alla Columbia University. E’ uno dei poeti più importanti sulla scena internazionale. Ha pubblicato dodici libri di poesie. Con Blizzard of One nel 1998 ha vinto il Premo Pulitzer.


“Ehi, Mark! Scusa il ritardo, scusa il ritardo…”
Un video di Alessandra Maiarelli e Luca Sossella, una produzione Medi@evo 

www.lucasossellaeditore.it

http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2011/01/mark_luigia.flv

Arianna Gasbarro, ‘Alice in gabbia’

Arianna Gasbarro, pubblica il suo romanzo d’esordio, ‘Alice in gabbia’  Miraggi Edizioni (euro 12,00). La vita di Alice è apparentemente perfetta: 28 anni, un lavoro a tempo indeterminato e un fidanzato che ama, ricambiata. Non le resta che cercare casa e fare dei figli, guadagnandosi il paradiso terrestre di una vita normale. Eppure di perfetto non c’è nulla. Il surreale sarcasmo di Alice fa scoprire al lettore situazioni che suo malgrado conosce fin troppo bene, nascoste dietro la maschera della normalità di un’ordinaria giornata in ufficio. Il badge che scandisce malignamente il tempo. La routine del ritmo aziendale che diventa ossessione. Le manie degli impiegati, a un passo dalla psicosi. La sindrome antisociale dell’open-space. Le figure clownesche dei capufficio, tronfi della loro incompetenza. I giorni che invece di allargarsi in un presente vivo si spengono con monotonia uno sull’altro. Le pause – caffè, sigaretta – sono le uniche boccate di sollievo. Finché Alice non scopre la pausa-papera! Osservando da dietro la recinzione dell’azienda i pennuti che vivono liberi nel loro stagno, ad Alice si rivela una nuova filosofia di vita, una possibilità di salvezza, di liberazione…

                                                                                                       Intervista di Luigia Sorrentino
                                                                                                       Roma, 22 gennaio 2011

Arianna, quanti anni hai?
“Ho appena compiuto trent’anni”.
Mi sembra di averti conosciuto ieri, e invece era l’anno 1996 se non sbaglio… Allora eri una liceale. Amavi moltissimo i classici greci e latini. Sorprendente per l’età che avevi. E poi, non a caso, un giorno, mi è arrivato il tuo primo libro, “Alice in gabbia” …
Come nasce questo lavoro?
Alice in Gabbia è nato circa un anno fa, in un momento molto particolare della mia vita: avevo appena deciso di lasciare il lavoro per dedicarmi finalmente alla scrittura. Mi ero resa conto che le due cose non potevano coesistere e ho deciso di provarci, semplicemente perché non potevo farne a meno, perché per me era troppo importante.
In realtà in quel momento stavo lavorando a un’altra storia, ma i pensieri di Alice premevano per uscire fuori, per dar voce a un aspetto della nostra società contemporanea che avevo avuto modo di vivere in prima persona nel corso degli ultimi anni. Sapevo che prima o poi quelle considerazioni e quella rabbia per un mondo del lavoro che per troppi aspetti a me non piaceva avrebbero iniziato a svanire, allora ho messo da parte l’altro progetto e in pochi mesi è nato questo libro.
Quando hai capito che da grande volevi diventare una scrittrice?
“Credo di averlo sempre saputo, sin da quando a sedici anni leggevo fino a notte fonda i classici latini, ma anche Calvino e Oscar Wilde. Però ho trovato il coraggio e la forza di farlo solo alla vigilia dei trent’anni, quando in un certo senso mi sono detta: o ora o mai più.”
Come vivi oggi? Lavori o ti dedichi 24 ore al giorno alla scrittura?
Da un anno a questa parte mi dedico interamente alla scrittura, sia come scrittrice che come traduttrice. Sono due attività che convivono bene insieme, tradurre romanzi dall’inglese all’italiano è una palestra linguistica che mi appassiona, anche se richiede molto tempo ed energia.”
Quanto c’è di te in Alice?
“Devo ammettere che il personaggio di Alice ha delle solide basi autobiografiche e che se non avessi vissuto in prima persona l’esperienza di un lavoro full-time a tempo indeterminato non avrei mai potuto spiegare le dinamiche psicologiche che si creano in quella sorta di gabbia di cristallo. L’esilarante ossessione per il badge, l’ansia per una quotidianità sempre uguale giorno dopo giorno per quarant’anni, il bisogno di evasione in un mondo immaginario popolato di demonietti, clown sanguinanti e papere che filosofeggiano.
La storia che racconti è molto interessante. In un’epoca in cui si parla molto dei problemi dei giovani legati all’occupazione, al lavoro che non c’è, arrivi tu e capovolgi il punto di vista: parli infatti di quelli che il lavoro ce l’hanno ma che non ce la fanno a tenerselo…
“Credo che la disoccupazione consenta di chiudere gli occhi su un altro grave problema legato al mondo del lavoro, di cui però nessuno parla.
Alice non riesce a tenersi il lavoro perché, a parte lo stipendio a fine mese, non ha nessun altro stimolo. Avrebbe una gran voglia di crescere, di continuare la propria formazione all’interno dell’azienda, ma per il suo capo lei non è altro che un moderno Charlot, inchiodato alla scrivania e pronto a svolgere le proprie mansioni, categoricamente di routine.
Ciò spalanca le porte all’enorme disagio di non trovare un senso per la propria quotidianità, ma anche all’inquietante consapevolezza che un contratto a tempo indeterminato con un’azienda privata è una sicurezza illusoria. L’azienda potrebbe fallire e Alice si ritroverebbe sul mercato del lavoro senza un’adeguata formazione, senza aggiornamenti, senza la possibilità di riciclarsi con dignità.
Il capovolgimento dunque è solo apparente. Il messaggio politico è che ai giovani bisognerebbe garantire un Paese che non sia precario, un Paese competitivo e desideroso di crescere, un mercato del lavoro fluido e vitale, non l’illusione di un contratto che in fin dei conti non garantisce affatto un futuro sicuro.”
Quand’è che il ritmo aziendale per coloro che lavorano a tempo indeterminato può diventare un’ossessione?
“È una questione molto personale, alcuni accettano quel ritmo di buon grado, mentre ad altri invece va stretto e difficilmente potranno liberarsi di un senso d’oppressione e ribellione latente.
Credo che uno dei fattori scatenanti sia l’utilizzo improprio del badge da parte dell’azienda, quando per un minuto di ritardo al lavoratore ne vengono addebitati dodici di punizione. Questa cosa genera un’ansia che cresce di giorno in giorno e va a sommarsi alla routine delle pause-sigaretta, pause-pranzo, pause-caffè che ogni giorno si ripetono con un ritmo sempre identico, fino a far pulsare la quotidianità di un battito che se per alcuni può essere in qualche maniera rassicurante, per altri sembra un tango strangolante che si protrarrà fino alla pensione.
È come immaginarsi di tornare a scuola, ogni giorno con la campanella alla stessa ora, l’ora di religione il sabato, i compiti il pomeriggio e l’interrogazione il giorno dopo. Per tutta la vita. Mai un diploma, una conclusione: la vita che scorre via in un ritmo estraneo dettato dall’alto.”
Attraverso il sarcasmo la tua protagonista svela profonde verità che mostrano l’altra faccia della medaglia, di cui mai nessuno parla, “il lavoro schiavo”, il lavoro che non rende liberi, bensì schiavi e che colpisce determinate fasce di lavoratori…
“Ho vissuto in prima persona questa realtà, quindi, come ti dicevo, certamente il libro parte dalla mia esperienza personale. Però è stato fondamentale vedere il modo in cui i miei colleghi reagivano agli stessi cappi che a me sembravano strangolanti.
La cosa più interessante è stato notare uno squilibrio totale tra la dedizione dei lavoratori, che effettivamente rinunciano alle proprie pause, al tempo per la propria vita privata e i propri figli senza poi di fatto ottenere alcun riconoscimento, e dall’altra parte l’atteggiamento strafottente di una classe dirigente che non solo spesso è incompetente, ma che pure pretende dai lavoratori sacrifici che i manager invece non hanno alcuna intenzione di fare.
Sembra un servilismo servo/padrone, sovrano/suddito. Un esempio lampante è quando un’azienda non concede ai dipendenti un giorno di chiusura in occasione di un ponte, ma poi tutti i manager se ne vanno in vacanza. È assurdo e alla lunga, secondo me, pericolosissimo.”
A un certo punto Alice però scopre la pausa-papera…che le cambia la vita… perché proprio la papera?
“La papera rappresenta la totale armonia con la propria natura. È uno di quegli animali che capita di osservare nei parchi e sui quali non ci si sofferma molto, se non per domandarsi che senso abbia la loro esistenza. La papera vive, galleggia, nuota, mangia il pane, si gode la propria semplice esistenza di papera.
L’uomo non riesce a vivere in quel modo, è a disagio con la propria natura primordiale quindi infarcisce la propria quotidianità di problemi e occupazioni totalmente superficiali, per poi lamentare di non avere il tempo per godersi la vita.
Ma proprio osservando le papere, Alice si rende conto a un certo punto che la sua quotidianità è totalmente priva di senso rispetto a quella di una sciocca papera galleggiante.”
In realtà il messaggio che viene fuori dal tuo romanzo è chiaro e inequivocabile. E’ un’esortazione rivolta a tutti gli esseri umani: “riprendetevi la vostra vita! Godetevi la vita, bene unico ed irripetibile”…
Va bene… ma come si vive senza lavoro?
“Il punto non è lasciare il lavoro e vivere senza, ma ritrovare un senso in quello che si fa. Alice non è un elogio dell’ozio, ma anzi quanto di più lontano ci possa essere dal concetto attuale di bamboccioni e simili. Il messaggio è quello di fermarsi un attimo, osservare i binari sui quali viaggiano le nostre vite, rendersi conto che spesso non sono stati costruiti da noi ma imposti dall’alto e a quel punto cercare un senso alla nostra quotidianità, che per noi, solo e unicamente per noi, abbia valore.
Poi si può tornare sui binari, purché si abbia una consapevolezza concreta e tangibile di ciò che si sta facendo.
Riprendersi la propria vita vuol dire anche solo lottare perché l’azienda non chiuda ogni anno ad agosto e i dipendenti possano scegliere di andare in vacanza dove e quando vogliono. Almeno quello, almeno la libertà di poter disporre del proprio tempo libero.”
Cosa pensi degli scrittori contemporanei? Li leggi, o non ti interessano?
“Generalmente preferisco leggere i classici, ammesso che titoli di trent’anni fa possano considerarsi tali. Leggo poco i contemporanei, in genere quelli consigliati da amici che hanno la mia stessa sensibilità letteraria.
Adoro andare in libreria a comprare i libri, non compro quasi mai su internet, però c’è così tanto chiasso negli scaffali di contemporanea che solitamente poi mi oriento su testi completamente diversi, ad esempio di cinema.”
I tuoi ‘mostri sacri’… i tuoi scrittori preferiti, chi sono ?
“Wilde, Calvino, Nabokov, Svevo, Henry Miller, Kureishi, Kundera. E senza dubbio Woody Allen, che considero un vero e proprio autore e del quale condivido lo sguardo sarcastico e catastrofista sul senso dell’esistenza dell’uomo.”
In quanto scrittrice, quali sono gli obiettivi che ti prefiggi?
“Per il momento solo continuare a scrivere, mettere su carta le visioni surreali che si affollano nella mia mente e dare voce al momento storico che stiamo vivendo, perché in futuro possano comprenderci (e perdonarci).”
A chi dedichi il tuo “Alice in gabbia”? Chi dovrebbe assolutamente leggerlo?
“Vorrei che lo leggessero i ragazzi all’ultimo anno di scuola perché potrebbe dargli il coraggio di puntare sui loro sogni, anche se si sentiranno dire che ‘è impossibile’.
Vorrei che lo leggessero i manager, dell’industria e dello stato, per ritrovare la dignità della propria posizione e guardare con occhi diversi, più attenti e preoccupati, gli individui demotivati alle loro dipendenze.
Io l’ho scritto per i miei genitori, perché potessero comprendere e accettare la scelta che ho fatto un anno fa e che, senza il supporto della filosofia della papera, non poteva sembrare che folle.”

Bioblibliografia
Arianna Gasbarro è nata a Roma nel 1980. Appassionata da sempre di letteratura, ha tentato di condurre un’esistenza normale, ma dopo tre anni di clausura in un ufficio ha deciso di stracciare il suo contratto a tempo indeterminato per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Attualmente vive tra le colline del Chianti, dove persevera nella sua attività di scribacchina sommersa da libri e dizionari.
Alice in gabbia è il suo primo romanzo (nonché la dimostrazione che tutto è possibile).

www.miraggiedizioni.it

Arte e Poesia, Marine Duboscq

Marine Duboscq
Intervista di Luigia Sorrentino

Da una necessità del colore prende avvio la ricerca di Marine Duboscq, in cui l’atto pittorico si declina al plurale attraverso una serie di momenti che percorrono il tempo e lo spazio per esplorare la durata. (…) La sua è un’avventura che parte dal rapporto che si istituisce fra l’artista e il colore in quanto materiale, da quel “duetto” su cui Dubuffet, nelle Notes pour les fins lettrés, si è soffermato con illuminanti riflessioni: Occorre lasciar prodursi e apparire tutti i casi che sono propri del materiale impiegato: l’olio che vuol colare, il pennello insufficientemente intinto di colore che lascia soltanto una traccia imprecisa, il segno che cade a lato del luogo preciso in cui l’artista avrebbe voluto tracciarlo, il tratto che trema o che, invece d’essere verticale, si piega nel senso della scrittura, il tratto che s’annuncia pesante e s’assottiglia poi perché il pennello perde la carica di colore, ecc. Impedire a tutti questi casi di prodursi toglierebbe all’opera ogni vitalità.
(da “La durata del colore”, testo critico in catalogo di Lara Conte) Continua a leggere

Carlo Bordini, ‘Costruttori di vulcani’

‘Costruttori di vulcani’ pubblicato da Luca Sossella Editore (euro 20)  contiene tutte le poesie di Carlo Bordini. Le poesie di una vita. Le raccolte infatti, vanno dal 1975 al 2010. Ciò nonostante, non si tratta di una semplice rassegna. I libri non sono riportati dal primo all’ultimo seguendo un ordine cronologico di stampa, ma secondo un altro ordine, che potremmo definire come fa l’autore, ‘musicale’.  

Una scrittura ‘sottilmente feroce’ quella di Bordini. In essa si riconoscono i dintorni dell’eccesso di pensiero e il portato della solitudine psichica.

Poeta narrativo dal passo stilistico crudo e micidiale, gli viene riconosciuta la forza di un ‘razionalismo onirico’ (Paolo Febbraro) e di un ‘dormiveglia vigile’ (Filippo La Porta).  

Intervista di Luigia Sorrentino

Bordini, chi sono i ‘costruttori di vulcani’?
Il titolo ‘I costruttori di vulcani’ può avere vari significati, ma io ne scelgo due: da un lato i costruttori di vulcani possono essere i poeti, che costruiscono vulcani di sentimenti, di sensazioni, di notizie; dall’altro lato possono essere gli stessi esseri umani che costruiscono il vulcano che li seppellirà.
Il titolo rimanda anche al collettivo, all’impegno civile, molto presente in tutta la sua opera…
Certo. Una parte della mia poesia potrebbe essere definita poesia civile, ma io preferirei non usare questa schematizzazione inutile, questa definizione, forse perché penso che la poesia dovrebbe essere sempre qualcosa di più dell’impegno, civile o non.
Il libro segue poi un percorso musicale. Tutte le sue precedenti raccolte poetiche tranne le ultime due, ‘Polvere’ e ‘Sasso’, sono state ‘rimontate’ seguendo questo movimento interno. Perchè proprio le ultime due sono rimaste al posto che avevano avuto nell’ordine cronologico di stampa? Forse perché sono le più vicine a lei nel tempo?
Ho costruito questo libro come se fosse un’opera nuova, che solo casualmente era formata da poesie già scritte. Quindi ho fatto un montaggio particolare che cambia l’ordine di pubblicazione delle poesie, anche se non lo sconvolge. Ho messo alla fine del libro ‘Strategia’, centodieci poesie d’amore scritte in tre notti, perché volevo finire il mio libro con un grido. Alcune poesie di ‘Poesie leggere’ le ho spostate alla fine per dare loro il significato, di una conclusione, come ‘Spiegazione di me stesso’. Ho privilegiato toni drammatici, e ho eliminato un paio di poesie che mi piacevano ma non si adattavano al tono che volevo dare al libro. Ho corretto e migliorato alcune poesie. Ho usato come ‘sigla’ la poesia ‘Noi vi dobbiamo sembrare una strana categoria’ mettendola sia all’inizio che alla fine del libro.
Insomma, come dobbiamo leggere quest’opera rispetto al suo passato di poeta? Quale cambiamento deve fare il suo lettore abituale? Tra essi includo anche me, naturalmente…
Non lo so, e vorrei saperlo proprio dai miei lettori. Non c’è niente di intenzionale nella mia scrittura. Io non scrivo, sono scritto.
La poesia ‘Corteo’ viene ripresa molte volte durante la riscrittura di ‘Costruttori di vulcani’, una poesia che ricorre più volte, non a caso, dice molto della poesia e della lingua di Carlo Bordini. Perchè proprio questa poesia, ritorna, ripetuta più volte, come un mantra?
Non si tratta di una poesia ripetuta tre volte, ma di tre poesie che hanno lo stesso titolo, e il cui tema comune è il corteo. Amo la ripetizione e la reiterazione. Amo scrivere varie poesie con lo stesso testo, amo scrivere poesie identiche tra loro tranne qualche variante che ritengo importantissima. Amo ripetere.
Paolo Febbraro alla presentazione alla Casa delle letterature di Roma ha definito ‘femminile’ la sua poesia. Riprendendo le parole di Febbraro le chiedo: ‘E’ vero che il presente per lei è la perdita dell’essere donna?’ E’ vero – come ha detto Febbraro – che questo libro è un inno alla ‘trapassabilità dell’esistenza’? Un esistere tra ‘realtà e sogno’?
Credo che quello che ha detto Paolo Febbraro sia giusto. Altre persone hanno sottolineato un carattere “femminile” della mia poesia: ad esempio Loredana Magazzeni. Quanto all’esistere tra realtà e sogno, è il fondamento della mia esistenza…
Un altro scrittore, Beppe Sebaste,  sempre a proposito di ‘Costruttori di vulcani’ ha scritto: ‘L’opera di Carlo Bordini è una di quelle più alte di questi decenni, di una bellezza e di un’autenticità spesso accecanti. La sua è una tra le poche opere di poesia che si leggono misteriosamente come un romanzo, cioè con suspence o passione.’ E’ così che dobbiamo leggere questa tua nuova raccolta contenente tutte le tue poesie ? Come un romanzo?
La mia intenzione non era quella di scrivere un romanzo, ma piuttosto di creare un flusso musicale, un flusso vitale. Credo che fosse a questo che si riferiva Beppe quando parlava di passione e di suspence.
Emanuele Trevi, invece, ha detto sempre a proposito di questa opera che tutte le volte che si fa una raccolta di ‘tutte le poesie’, si fa un’operazione autobiografica. Secondo Trevi ‘l’opera di un poeta è più potente di un’auto-confessione, perchè il linguaggio della poesia è obliquo… Il rapporto che il poeta ha con il proprio io, ha detto Trevi, è quello della ‘latenza’… Condivide questa interpretazione?
Non conosco il termine ‘latenza’ dal punto di vista psicanalitico, e credo che Trevi lo abbia usato in questo senso. Però credo che Trevi abbia ragione. L’elemento autobiografico è importante, ma l’opera d’arte non è una semplice confessione. Qualunque artista, anche se parte da se stesso, esprime una realtà che non può essere, in quanto arte, esclusivamente sua. Il linguaggio della poesia è obliquo perché entra anche nella coscienza degli altri. In questo si differenzia dalla pagina di un diario; e in questo senso non può che essere ‘obliquo’.
Insomma, definirebbe ‘Costruttori di vulcani’ come un’opera autobiografica? Il libro che avrebbe voluto raggiungere nel tempo?
Non so mai quello che vorrò fare nel mio futuro. Non so neanche quello che voglio fare nel presente. Ma soprattutto non considero questo libro come un punto di arrivo, la fine di un percorso.
Il libro si suddivide in sezioni, la prima è ‘Poesie leggere’. L’ultima è ‘Effimere’ quasi a voler  sancire l’inutilità dell’arte. Quale è il tema che introduce la sua opera? La leggerezza, ma non il disimpegno..
‘Poesie leggere’ appartiene a una fase della mia scrittura; a un certo punto ho sentito la necessità di liberarmi da una retorica che veniva dall’ideologia; la leggerezza, la concisione, l’icasticità erano la cura che mi sono proposto, e di qui la brevità e, diciamo, l’allusività di Poesie leggere.
L’ultima sezione è intitolata “effimere” perché poteva essere la traccia del nuovo, di una prossima raccolta; ma era tutto volutamente provvisorio, e di qui il titolo di ‘effimere’.
Quanto all’utilità o l’inutilità dell’arte, l’arte è inutile e nello stesso tempo è sommamente utile. Anche la bellezza è inutile ed è nello stesso tempo infinitamente, spaventosamente, immensamente indispensabile…
In mezzo ci sono le raccolte ‘Mangiare’, ‘Polvere’, ‘Frammenti di un’antologia’, ‘Sasso’ e ‘Strategia’. Temi e significati. Diverse poesie si ripetono poi, nel libro, con leggere varianti, come ‘Stasi’ e ‘Corteo’.  Perché?
Nelle mie intenzioni la ripetizione di temi, di poesie, con o senza leggere o anche importanti varianti (nel libro ci sono due versioni di ‘Polvere’) ha appunto la funzione di creare un flusso musicale, che può anche essere interpretato o definito come un flusso narrativo. Io però preferisco usare il termine ‘flusso musicale’ perché il mio punto di riferimento è la musica. La musica prende un tema e lo ripete variandolo; tutta la musica; e in questo senso è molto, molto, molto simile alla vita.

http://www.lucasossellaeditore.it/Catalogo/Mente/I-costruttori-di-vulcani-Bordini-Carlo

http://beppesebaste.blogspot.com/2010/07/i-costruttori-di-vulcani-di-carlo.html

Asta record per memorabilia poeti francesi

Una collezione di quasi 200 opere, fotografie, manoscritti e stampe intorno a tre figure emblematiche della poesia francese, Arthur Rimbaud, Paul Verlaine e Stephane Mallarmé, è stata venduta all’asta per 1,5 milioni di euro da Sotheby’s a Parigi. Ad essere proposti sono stati in tutto 180 lotti provenienti dalla biblioteca di Eric e Marie-Helene B., due collezionisti anonimi, che comprendono, tra l’altro, anche i contemporanei dei tre poeti, Oscar Wilde, Tristan Corbiere, Alfred Jarry o Villiers de L’Isle-Adam. Frutto di quarant’anni di collezionismo, precisa la casa d’aste, il fondo ha offerti pezzi scelti con grande cura: rilegature d’epoca, documenti autografi, manoscritti, fotografie originali e disegni.

Il prezzo più alto è stato pagato per un manoscritto autografo di Mallarmé, battuto a 96 mila e 750 euro.

La collezione attraversa anche la mitica storia d’amore tra Rimbaud e Verlaine con lettere e documenti che testimoniano le loro relazioni affettive. Venduta all’asta per 39 mila e 150 euro anche la lettera che  Oscar Wilde scrisse all’amante Alfred Douglas, lettera che il padre del giovane presentò al processo contro lo scrittore.

Tra i protagonisti della vendita ci sono anche pittori e musicisti con libri illustrati da Gustav Klimt, Edouard Manet, Maurice Denis, Pierre Bonnard o Paul Signac. Senza dimenticare l’unica lettera d’amore che il Doganiere Rousseau invierà alla futura moglie, accompagnata da una foto con dedica del pittore nel suo studio, stimata tra i 15 mila e i 20 mila euro. Gli amatori potranno anche scoprire un raro ritratto fotografico di Richard Wagner, scattato a Parigi prima di una sua rappresentazione.