Giovanna Rosadini: “Unità di risveglio”

Anticipazioni, Poesia. Giovanna Rosadini, “Unita` di risveglio”

Partendo da una drammatica vicenda personale Giovanna Rosadini approda al suo secondo libro di poesie, “Unità di risveglio” in corso di pubblicazione con la casa editrice Einaudi. Si tratta di un’opera di straordinaria sintesi attorno al tema del risveglio, nel suo significato più profondo. “Il mio corpo è diventato/ un altro./ Non sa più/ chi era. / Si perde tutte/ le risposte, /mi lascia / senza scampo. / Uno scafandro ottuso/ sul fondo del mare.”

(Da: “Unità di risveglio”, Einaudi)

 

Il risveglio che la Rosadini rievoca fin dalla prima poesia rinvia a un’esperienza profondissima. L’autrice chiama, fin dai primissimi versi, con voce chiara e lucida e nello “scriversi” sempre piu` consapevole, costringe il lettore a percorrere lo stesso cammino, pieno di dolore, fino a una nuova dimensione esistenziale: “La notte mi scivola incontro,/ risale le membra fino a buio completo:/ ed è un conforto che allenta ogni residuo /del giorno, un pozzo che annega/ ogni tentato ritorno di questa luce/ che tutto cancella, di questa nuova/ interezza fatta di avanzi, residui/ che l’anima incolla, assenze/ che nulla controlla.// E sono fuori/ dal rintocco,/ implacabile, di tutte le lancette/ inciampate nella corsa del mondo.” (da: “Unita` di risveglio”, Einaudi)

“Unita` di risveglio” arriva subito dopo “Il sistema limbico” (Atelier, 2008) libro-esordio. Quando l’ha scritto la Rosadini era lontanissima dall’immaginare cosa le sarebbe accaduto, eppure alcune poesie risuonavano gia` allora come una premonizione, un avvertimento: “Il silenzio pullula di voci/ premono sulle membrane/ scoppieranno come piccole bolle/ disegneranno di ischemie/ la polpa del cervello, vuoti/ a mai rendere, aborti/ procurati, prossimi/ buchi neri nello spazio curvo/ che il pensiero non assolve.” (da: “Il sistema limbico”, Atelier, 2008)

In effetti la stessa Rosadini ammette: “Anche ‘Il sistema limbico’ è la storia di un risveglio, in senso emotivo-creativo, e` la storia di un ritorno di consapevolezza riguardo alla pratica della scrittura e al recupero di una dimensione vitale ed emotiva tenuta ‘sotto’ fino a quel momento. E infatti, ne “Il sistema limbico” la Rosadini ci preparava al ‘suo’ risveglio scrivendo in una delle sue piu` riuscite poesie: “Uno stallo prelude al precipizio/ niente piu` motori a sostenere l`aria/ andati i propulsori che tenevano il volo// nell’istante che precede la caduta/ lo sguardo alla foresta di parole/ che tende le braccia, da sotto.” (da: “Il sistema limbico”, Atelier, 2008)

E cosi` nei due libri la Rosadini svela una voce poetica esemplare (e inconscia) che si abbandona a una ‘visione larghissima’ che non ha denominazione, de-finizione proprio perche` immensa.

“Unita` di risveglio” racconta una storia vera. Ne vuole parlare?
Ci provo, anche se, a distanza di quattro anni, ciò mi costa ancora una enorme fatica. Il 28 maggio 2005, a seguito di un banale cateterismo tubarico all’orecchio sinistro, sarebbe a dire un’ insufflazione, sono finita in coma. Non ero mai stata sottoposta, prima, a questo tipo di pratica; ma eravamo (con la mia famiglia, Paolo e i nostri due ragazzi, Matteo e Bianca) alla vigilia della partenza per una lunga vacanza negli Usa, che avrebbe previsto diverse tappe, con punto d’arrivo nelle isole Hawaii, dall’altra parte del mondo. Dunque, siccome accusavo un risentimento fastidioso, pensai di mettermi al riparo da possibili guai più grossi recandomi allo studio del mio otorino di fiducia, un medico genovese che mi seguiva sin dall’ infanzia. Quel sabato mattina (era una tiepida giornata primaverile) partii in auto da Milano insieme a mia figlia, che aveva allora nove anni; saremmo dovute rientrare l’indomani, dopo una serata in riviera coi nonni… Certo non potevo immaginare che avrei rivisto casa mia solo l’autunno seguente, e Paolo e Matteo dopo mesi… L’ultimo ricordo preciso è la telefonata di mio marito appena arrivate a Genova, poi tutto si sfilaccia… Un arresto cardiorespiratorio da riflesso vasovagale dovuto all’intervento mi ha precipitato nel buio… Mi sono risvegliata che era già estate piena, alla clinica S. Anna di Crotone, un centro d’eccellenza dove ho fatto i primi sei mesi di riabilitazione… Non riuscivo a muovere la parte sinistra del corpo, ero completamente disorientata spaziotemporalmente, e ho dovuto reimparare, come un bambino piccolo e con uno sforzo indicibile, a fare tutte quelle cose che prima erano normali automatismi quotidiani: respirare e mangiare da sola, camminare, abbottonarmi un vestito, allacciarmi le scarpe, tenere una penna o uno strumento (un bicchiere, un paio di forbici, ecc.) in mano, e, in generale, riabituarmi al mondo esterno e ai suoi ritmi, che all’inizio mi davano le vertigini. Oggi, se posso dire di aver recuperato tutto dal punto di vista cognitivo, devo purtroppo convivere con una forma di disabilità permanente; ho perso infatti l’uso della mano sinistra, e certo non riesco e riuscirò più a svolgere le attività motorie di un tempo, come correre, andare in bicicletta, sciare, ballare o suonare il piano. Posso dire ora di aver trovato un nuovo equilibrio, anche se ho pagato un prezzo molto alto, e insieme a me tutti i miei familiari, la cui vita è cambiata radicalmente. Unità di risveglio è il diario-racconto in versi, fra speranze e paure, del mio ritorno alla vita a seguito di quest’esperienza… Di come io abbia cercato di trasformare lo choc per quanto mi è successo, e per la mia nuova condizione, in un nuovo punto di partenza… Ribaltando la rabbia e il lutto per la perdita in punti di forza… Entrando a far parte di un mondo, quello della malattia, della sofferenza, dell’insufficienza fisica, che prima mi era totalmente sconosciuto… Un mondo sorprendentemente giovane, ricco di umanità ed empatia… Trovando finalmente il coraggio, io che scrivo da sempre, di legittimarmi compiutamente questa parte di me stessa, dopo una vita vissuta all’insegna dei ruoli di servizio (sorella maggiore, madre, editor per altri autori…).

C’e’ un filo rosso che conduce e mette in comunicazione i suoi due libri, “Il sistema limbico” e “Unità di risveglio”. Che tipo di relazione è?
Infatti, è proprio così… Anche Il sistema limbico è la cronaca di un risveglio, non in senso letterale, ma metaforico… E qui mi ricollego a quanto ho appena finito di dire: mi ci è voluto molto tempo, per arrivare a una piena consapevolezza di quello che volevo veramente da me stessa e dalla vita. Io sono sempre stata “quella che scriveva bene”, l’appassionata di libri e letteratura, la protagonista di lunghi scambi epistolari con una rete di amici e sodali sparsa per l’Italia ed il mondo… ho ancora i cassetti pieni dei taccuini riempiti di versi e appunti e pagine diaristiche per anni e anni… Ma questa mia urgenza, o necessità (perché di questo si è sempre trattato) non ha mai trovato sbocco in una pratica riconosciuta; ho sempre avuto, rispetto a ciò, un percorso di approssimazione tangenziale, senza mai riuscire a toccare veramente il punto… Superati i trent’anni, il disagio che questo tipo di scissione mi provocava si è fatto tale da spingermi ad un percorso di analisi, e a una pausa di riflessione rispetto alle direttrici della mia vita di allora… Mi sono presa una lunga vacanza e sono volata a New York dalla mia più vecchia amica, compagna di scuola a Genova da ragazzine e poi naturalizzata americana, oggi psichiatra… Tutto questo mi ha permesso di guardare a me stessa da una distanza critica, e aiutato a mettere a fuoco le cose che da vicino non riuscivo a vedere… E a liberarmi, innanzitutto mentalmente, da una gabbia di sovrastrutture… “Quando arrivai a New York, in poche ore New York fece ciò che fa sempre alla gente: risvegliò le possibilità”, ha scritto Philip Roth nel suo ultimo romanzo; così è stato anche per me, mi ha rimessa in moto, emotivamente e creativamente. Credo che la mia scrittura abbia bisogno di fisicità, e questa spesso nasce da una relazione intensa con i luoghi che abito, da una sorta di scambio umorale con ciò che i sensi (dunque la mente) percepiscono del posto dove mi trovo… Così è stato anche per “Unità di risveglio”. La natura selvaggia della Calabria, prima osservata dalle finestre della clinica e poi, nel periodo di day-hospital che ha concluso il mio soggiorno, esperita direttamente, ha avuto una enorme influenza, anche su un mio pieno recupero del senso e gusto delle cose e della vita.
Tornando, per concludere, al “Sistema limbico”, si tratta, com’è noto, della parte più ancestrale del cervello, il substrato anatomico dove si sviluppano gli istinti primordiali; per estensione, si potrebbe semplificando dire che la realtà prettamente psicanalitica dell’inconscio ha come sede la componente limbica… Una definizione perfetta, per la genesi della mia poetica e scrittura!

Il dramma entra nella sua vita e quindi, anche nella sua poesia, a pieno titolo… Allora, cos’è per lei la poesia? E qual è, per lei, il rapporto tra poesia e ispirazione?
Chiarisco subito che, per me, non esiste nessuna sovrapposizione fra dramma e poesia; è vero però che la mia scrittura nasce sempre dal vissuto, dalle mie vicende di vita: la storia familiare, le mie relazioni e i miei legami, cioè il continuo scambio e interazione e arricchimento che me ne derivano, i miei percorsi di evoluzione e di crescita, che siano quelli di studio, i viaggi fatti, le esperienze professionali… Le cose che ho scelto e costruito, deciso di portare avanti, e quelle che mi sono, semplicemente, capitate, per quella casualità imprevedibile che governa la vita; mi viene in mente la scena iniziale di Match Point di Woody Allen, la voce fuori campo che commenta le evoluzioni di una pallina da tennis di qua e di là dalla rete: “Che cosa conta di più nella vita, aver talento o aver fortuna?”. Fino a quattro anni fa non avrei esitato a rispondere: il primo. Oggi, dopo aver oltrepassato il confine privilegiato che mi ha garantito per quarant’anni, non ne sono più così sicura: la mia visione del mondo, un tempo improntata a un determinismo moderatamente ottimistico, è cambiata. Nel senso che è mutata, profondamente, la consapevolezza che deriva dall’aver toccato con mano certe possibilità: esser passati attraverso un’esperienza di morte modifica la percezione interna della realtà, e anche quella di noi stessi… La malattia ci restituisce, e questo vale soprattutto per noi sprovveduti occidentali, figli della cultura del benessere, il senso del limite… Con questo non voglio dire di aver ceduto a tentazioni nichiliste, o di esser diventata un’inguaribile pessimista, pur se seriamente segnata e provata. Continuo a pensare alla vita, sia pure laicamente, come a un dono inestimabile, di cui possiamo beneficiare in piena consapevolezza, facendo tesoro della sua ricchezza e complessità; per questo, mi sento più vicina a quegli autori che, pur non sottraendosi a una visione lucida dell’esistenza umana, non rinunciano ad affrontarne con coraggio tutte le implicazioni, ne celebrano il mistero (“il solo, intimo bersaglio della poesia”, come ha scritto l’amico Marco Merlin nell’ultimo editoriale di Atelier), e sostanziano la loro scrittura degli umori e dei sapori di ciò che attraversano, o da cui sono attraversati… Penso ad esempio a un grande Maestro purtroppo scomparso, Raffaello Baldini, con cui ho avuto il piacere di lavorare e che mi ha gratificato della sua amicizia…
Ha scritto Louise Bourgeois, un’artista che amo molto: “Never depart from the truth even though it seems banal at first. In painting truth is nature. All movements painted by Picasso have been seen and felt; he is never theatrical”. Anche io, mutatis mutandis, la vedo così…

(24 marzo 2009)

per Paolo
L’ultimo ricordo è la tua voce,
prima che tutto si confonda
e poi sbiadisca, in controluce;
dopo c’è stato un volo nella notte,
un tuffo dentro l’acqua più profonda,
lo scivolare netto dove l’ombra inghiotte
l’aria, e l’onda è un vortice che spiomba…
Mentre ogni cosa rimbomba per voi
che rimanete, a custodire il corpo inerme
chiuso nel silenzio e nell’assenza,
ormai slacciato da ogni appartenenza…

da: “Unita` di risveglio” di Giovanna Rosadini

Luciano Ragozzino e Roberto Dossi: l’incisore e il poeta

Luciano Ragozzino e Roberto Dossi, li incontriamo nella ex Gelateria di Via Guinizelli, 14, a Milano. Ci mostrano il luogo dove hanno collocato il vecchio torchio tipografico rimesso in funzione per realizzare piccoli capolavori editoriali: ‘Il Ragazzo Innocuo” e i ‘Quaderni di Orfeo’ .

La macchina è collocata nei locali dove negli anni Quaranta vi era un`antica fabbrica di gelati, in un edificio a fianco della casa dove vive Luciano Ragozzino con la sua famiglia. Il macchinario, tecnicamente un tirabozze manuale, svizzero, di marca Fag, e’ stato utilizzato dai tipografi fino agli anni Sessanta per stampare le bozze dei libri prima di passarle alla stampa automatica.

Luciano Ragozzino, biologo-incisore-editore e Roberto Dossi, poeta-editore, sono, ai giorni d’oggi, ciò che furono nel Quattrocento Aldus Manucius (Aldo Manuzio) ritenuto il maggiore tipografo del suo tempo e il primo editore in senso moderno, e Giambattista (Giovanni Battista) Bodoni che operò, invece, nel Settecento, anche lui incisore, tipografo e stampatore italiano.
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Alberto Casadei: “Poesia e Ispirazione”

Alberto Casadei nel suo saggio “Poesia e Ispirazione” (Luca Sossella Editore, 2009) indaga l’enigma originario dell’ispirazione. Quali sono i processi mentali che sono all’origine della poesia?

Alberto Casadei, compie un originalissimo percorso fra mito letterario e neuroscienze. Il discorso sull’ispirazione diviene, nel suo saggio, un ragionamento sulle connessioni tra linguaggio e attivita` psichica. ‘La poesia diventa – come lo stesso Casadei afferma – uno scarto del pensiero, necessario e urgente in quanto capace di rendere concepibile un’alternativa al reale’.

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Umberto Piersanti: il poeta della memoria

“Oggi, se ci fate caso, non ‘è un solo fiordaliso nei campi di grano. Ne ho trovati pochi sulle Cesane, in un campetto vicino a una casa e mi hanno dato il senso di un tempo antico… Attraverso i fiordalisi ho ricordato la mia infanzia e la casa nel fosso, che è alla base della mia poesia. Mi sono anche immaginato che la luce della stella che vediamo oggi in realtà ‘è partita’ qualche migliaio o milione di anni fa. Ecco, la luce di quella stella è come la luce dei miei bei campi, che fissa per sempre in cielo e tra gli alberi della terra, i protagonisti di questa mia antica vita.”

Il video dell’intervista

Piersanti, parliamo di questo suo libro: “L’albero delle nebbie”, uno dei suoi più riusciti. Di quale albero si tratta?

“L’albero delle nebbie è lo scotano un arbusto che viene dai Balcani e ha attecchito solamente nella provincia di Pesaro-Urbino.  Il suo colore rosso acceso è così forte che buca anche la nebbia. Metaforicamente anche la poesia che riesce a bucare le nebbie della vita.”

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Valerio Magrelli: Il confine della percezione

Valerio Magrelli, nato a Roma nel 1957, è uno dei poeti più originali dell’ultima generazione. Fin dalla sua prima raccolta ‘Ora serrata retinae’, Magrelli si manifesta come una delle voci più raffinate della poesia italiana contemporanea. Partendo dalla ricerca della visione esatta – ‘dal confine della percezione’ – ma anche dalla visione deformata e deformante della realtà, il poeta raggiunge l’umoralità, l’ironia, che, anche nel vivere quotidiano, accende la riflessione filosofica, politica e civile. Magrelli, che insegna letteratura francese all’Università di Pisa, lo abbiamo incontrato a Fabriano, in occasione della prima edizione di Poiesis, il Festival di poesia curato da Francesca Merloni. ‘Nature e venature’, la sua seconda raccolta di versi, ha vinto il Premio Viareggio 1987.

Video dell’intervista

Iniziamo questa conversazione con una domanda, apparentemente banale, che nel suo caso per me è davvero necessaria: che cos’è la poesia per Valerio Magrelli?
E’ un lavoro con il linguaggio. Dentro questa officina si versa, come se fosse un lavoro di fusione, ogni tipo di metallo: pensieri, immagini, piaceri, sensazioni, piacevoli o sgradevoli. La poesia oscilla dalla lirica amorosa fino all’invettiva, alla denuncia. Ma l’importante è sapere che il punto di arrivo è sulla pagina ed è completamente costituito dalla disposizione delle parole.

La sua prima opera di poesia: ‘Ora serrata retinae’ ha rivelato da subito, fin dagli inizi degli anni Ottanta, la sua cifra. Una poesia concentrata, rivolta alle intermittenze della mente, ma anche dinamica.
Le poesie di ‘Ora serrata retinae’ contenevano molti temi. Le avevo scritte a partire dal 1975, quando ero ancora uno studente e in parte erano anche diari… Avevano un margine anche molto effusivo… Ecco, però sentii il bisogno di ricondurle sotto una cifra più fredda, quasi da catagolazione scientifica, per questo andai a ricercare nei dizionari di anatomia addirittura i termini che avessero a che fare con la percezione, con l’occhio. ‘Ora serrata retinae’ è un termine che designa la parte, il margine frastagliato della pupilla, quindi mi interessava, e potremmo tradurlo, come ‘confine della percezione’.
Potrei dire, dunque, che la poesia è l’area di accesso alla percezione del reale.

‘Ora serrata retinae’ ma anche ‘Nature e venature. Due libri caratterizzati da una scrittura che ha a che vedere con la razionalità e, soprattutto, con “l’uso del cervello”.
Sempre nella direzione che dicevo prima: il ricorso a linee guida, al tentativo di inquadrare razionalmente la riflessione, la presenza di materiali che, almeno da parte mia, erano sempre avvertiti come troppo incandescenti e caotici.
Piu’ che un ritorno all’ordine è un ricorso all’ordine nel tentativo di governare una materia altrimenti bruta e brutale.

Una poesia razionale, secondo lei, non rischia di essere un po’ fredda?
Freddo o caldo non sono essenziali alla riuscita di un testo. Parlerei invece, di mimetismo. Ci sono dei testi che assecondano l’oggetto che descrivono, ad esempio una paura, una pulsione, e che lo imitano, letteralmente. Altri testi, viceversa, che lo analizzano. L’oggetto è lo stesso, però visto da due angolature diverse.
In questo caso per me un maestro, soprattutto all’inizio, è stato un poeta francese, Francis Ponge, che non a caso ha intitolato uno dei suoi libri ‘Le parti pris de choses’ (‘Il partito preso delle cose’). In lui c’è la volontà di descrivere il reale, di contenerlo, ma il senso della sua operazione sta proprio nella spinta contro un’altra spinta, perchè è un reale vivo e tutt’altro che razionale. Una razionalità che è una sorta di rete che cerca di limitare le pressioni altrimenti laceranti.

Dopo i primi due suoi libri si è aperta una seconda fase che l’ ha condotta verso un nuovo genere poetico, come il poemetto-filastrocca sulla paternità, dal verso più disteso, piano, più vicino alla prosa che alla poesia.  La seconda fase, caratterizzata quindi da una nuova ricerca stilistica, è partita da ‘Esercizi di tiptologia’, ‘Didascalie per la letture di un giornale’, ‘Nel condominio della carne’, fino a ‘Terranera’. Perchè questa virata, questo cambiamento di stile nella scrittura?
Ogni libro è un’avventura nuova. Ogni libro nasce proprio come allontanamento dal percorso precedente e dunque non c’è nulla di programmato, anzi… Credo che questo sia il motore della scrittura: la possibilità di perdersi, di ritrovarsi, in territori nuovi. Quindi soprattutto in “Didascalie per la letture di un giornale” c’era un intento correttivo direi, era un’ironia correttiva perchè io parlerei quasi di poesia civile. Almeno nelle mie intenzioni si trattava di questo. Spesso era talmente forte la denuncia che il sarcasmo, diciamo, interveniva per equilibrare questa deriva.

Qual è il suo rapporto con il pubblico?
Io appartengo ad una generazione che ha cominciato prima con readings poetici e poi a comporre, a pubblicare. Quindi da sempre si può dire ho letto poesie. All’inizio con timore… No… anche alla fine con timore, perchè anche dal quel punto di vista non cambia nulla… Diciamo che c’è un rapporto con la parola detta molto stretto, molto profondo… Parlo per tutti quelli della mia generazione, anzi, a partire dalla mia generazione. E dunque l’incontro con il pubblico nelle letture, ha soprattutto il senso di un collaudo. Io ho sempre molto viva questa impressione. Spesso mi è capitato di cambiare testi dopo averli letti in pubblico.

In ‘Disturbi del sistema binario’ lei prova a comprendere la banalità del Male utilizzando un famoso test percettivo basato sull’ambiguità dell’immagine, l’individuo anatra-lepre. E allora: qual è la parola doppia, binaria, in questo libro?
Tutto il libro è organizzato su due versanti. In questo testo addirittura metto a contrasto la riflessione di carattere pubblico, politico, con quella di carattere familiare e privato. E poi in fondo al libro c’è un poemetto, una specie di dialogo, di trattatello, sul tema della doppiezza, della doppiezza psicologica, della doppiezza direi proprio antropologica. Quindi è un libro molto costruito rispetto agli altri e che funziona in qualche misura come una lente di ingrandimento per mettere a fuoco questo elemento sfuggente per antonomasia. L’appendice finale ha come tema l’ambiguità. E’ stato anche difficile cercare di trattarla in forma poetica e, potrebbe essere per certi versi, anche un saggio.

Lei in questo libro affronta il tema dell’ ambiguità del doppio, di un’epoca ambigua, che oscilla tra illusione e la vulnerabilità. E, lo fa mettendo dentro anche il suo privato, la sua vita domestica… perchè questa necessità di confrontarsi con il familiare?
Arriverei a dire che non esiste materiale che non provenga da li’. Quello è l’unico giacimento possibile, solo che è un giacimento in cui si mescolano molte cose. Addirittura nella prima parte, quella dedicata alla poesia diciamo così politica, c’è un testo in cui parlo della bomba atomica però vista attraverso il dialogo di due bambini e questi bambini sono i miei figli. Quindi il tema stesso per eccellenza che infesta il dibattito dal dopoguerra in poi in realtà arriva filtrato dallo schermo familiare. Dopodichè può venire in primo piano l’argomento dei profughi della Bosnia su cui ho lavorato a lungo per una pagina, e altrove, viceversa, il rapporto diretto con una persona della famiglia. E’ quasi impossibile separare le due cose. E’ come quando guardiamo la televisione: noi assistiamo alle tragedie più spaventose però seduti sul divanetto magari accanto al nostro gruppo familiare.

Valerio Magrelli poeta cerca dei poeti. Chi sono questi poeti?
Sono i poeti che ci vengono dalla tradizione. Questa è una delle cose più importanti, cioè tenere acceso il nostro rapporto con il passato perchè si tratta di poeti vivi. Ogni poeta della tradizione rinasce dalla lettura che viene fatta da un contemporaneo. Una settimana fa mi è capitato di finire di leggere Lucrezio. Per me è fondamentale tenere aperto questo canale con la tradizione proprio perchè non lo sento come uno spazio morto, ma al contrario, proprio come un elemento attivo e vivissimo. D’altra parte poi ci sono i contemporanei. Ci troviamo qui, a Fabriano, a una lettura pubblica e sto per leggere tra poco con Roberto Mussapi e Claudio Damiani che sono due poeti che conosco da anni. Oggi pomeriggio leggerà Valentino Zeichen e tanti altri. Quindi, è una cosa complanare. Bisogna sia tener presente questa verticalità del rapporto con il passato, sia altrettanto indispensabile, lo dico soprattutto per chi comincia a scrivere, la conoscenza della propria epoca.

Che cos’è per lei la poesia lirica? Esiste ancora l’io lirico?
Si, io trovo che esista, e esisterà in forme sempre più strane e forse inconcepibili per noi oggi. Esisterà dopo i trapianti di cuore, dopo i trapianti di ossa, dopo i trapianti di cervello, magari dopo l’ampliamento della memoria che si fa oggi con il computer che verrà applicato all’uomo. Il problema è che siamo in un periodo in cui l’identità è mutante ed aperta ad ogni tipo di metamorfosi. Quindi il lirismo secondo me continuerà a svilupparsi, anche se in forme inimmaginabili.

Che cos’è per lei l’identità?
E’ la domanda l’identità. L’unica cosa che ci può certificare è questo rovello, questo interrogativo. Tanto più in un periodo come quello di questi anni che ha visto per esempio, l’esplosione dell’ingegneria genetica. Sono momenti di trapasso, veramente di transizione che però ci fanno capire quanto prezioso possa essere questo tempo.

Lei ha sperimentato molto anche la traduzione. E l’ha sperimentata con grandissimi poeti come Mallarmè, Verlaine, Valery, Debussy. Che cosa vuol dire per un poeta tradurre un altro poeta?
Questo è un discorso davvero immenso… Tra l’altro io ho diretto una collana di traduzione a cui tengo molto… Direi soltanto come ha affermato uno studioso con parole che io condivido totalmente che la traduzione è l’operazione più complessa che esista nell’universo perchè ci obbliga a scontrarci con il rapporto tra il linguaggio e pensiero. Chi esercita la traduzione, a certi livelli, ovviamente, ma forse anche quando si tratta di portare in italiano le istruzioni per l’uso di un elettrodomestico si trova a che fare con i principi che governano l’essenza stessa del linguaggio.

La mattina, quando si sveglia, qual è la prima cosa che fa?
E’ pensare che posso prendere solo un caffè al giorno e quindi decidere quando.

Davvero? E perchè?
Sono condannato all’insonnia! (Fabriano, 2008) 

 

Poesie di Valerio Magrelli

da Ora serrata retinae (Feltrinelli 1980)

 Rima palpebralis

Molto sottrae il sonno alla vita.
L’opera sospinta al margine del giorno
Scivola lenta nel silenzio.
La mente sottratta a se stessa
Si ricopre di palpebre.
E il sonno si allarga nel sonno
Come un secondo corpo intollerabile.

 

da Nature e venature (Mondadori 1987)

 La forma della casa

I.
In una camera
c’è la fontana
dove perpetuamente
scorre l’acqua.
Sorgente di clausura
abitacolo freddo
lacustre
sede settentrionale.

 

Amori

Ogni volto fotografato
È un’immagine bellica,
il punto di tangenza
tra l’aereo nemico e la nave
nell’attimo che precede l’esplosione.
Fermo nell’istantanea,
nel contatto flagrante tra due sguardi
immacolato, ripreso
mentre le fiamme covano già
nella fusoliera crescendo
dentro i suoi tratti, vive
soltanto il tempo necessario
a compiere la missione del ricordo.


Link esterni:
Il Porto di Toledo Biennale e Festival della traduzione

Il 29 gennaio 2009 l’Università di Napoli “L’Orientale”, nella sala conferenze dell’Hotel Royal di Napoli, presenta e inaugura il progetto Biennale E.S.T., “Europa Spazio di Traduzione – Incontri Internazionali e Festival della Traduzione”.

La conferenza stampa sarà accompagnata da una tavola rotonda sul tema “Vivere e scrivere tra le lingue”. L’incontro, moderato da Valentina Di Rosa, raccoglierà attorno al tavolo alcuni tra i più importanti scrittori-traduttori italiani: Antonella Anedda, Franco Buffoni, Laura Bocci, Lisa Ginzburg, Gabriele Frasca, Helena Janeczeck, Marco Ottaiano, Silvio Perrella.

Il Festival della traduzione si svolgerà a Napoli dal 22 al 29 novembre 2010. Momento culminante di un progetto biennale itinerante, sarà un evento di rilievo internazionale ma anche un modo per proporre la traduzione (nel suo senso più generale, tra musica, teatro, cinema, fumetto e letteratura).