Vi popongo oggi le poesie di Francesco Dalessandro, che vive a Roma ma è nato a Cagnano Amiterno in provincia dell’Aquila nel 1948. “L’amore ci riempie le tasche di mine, dice un poeta.” Lo scrive Dalessandro nella postfazione al suo ultimo libro Aprile degli anni (Punto a Capo Edizioni, 2010, € 11,00). Il poeta a cui fa riferimento l’autore (come lui stesso precisa nella nota) è Cristina Annino. Poi Dalessandro prosegue: “E non intende l’amore fatuo, ma quel sentimento ossessivo, assoluto che ghermisce la vita e la consegna di frequente alla sventura e alla morte. I poeti amano teneramente, tenacemente quella sventura (perché chi non muore dell’amore nemmeno ne è vissuto).” Continua a leggere
Category Archives: NELLO SCAFFALE
Video, Derek Walcott legge ‘Archipelagoes’
«La poesia di Walcott è adamitica nel senso che lui e il suo mondo sono usciti dal paradiso – lui, per aver assaggiato il frutto della conoscenza; il suo mondo, per ragioni storiche e politiche. “Ah, bravo terzo mondo!” esclama Walcott in un’altra poesia, e in questa esclamazione c’è molto di più che semplice angoscia o esasperazione. E’ una chiosa del linguaggio di fronte a un fallimento – non solo locale, ben più che locale – del coraggio e dell’immaginazione; è una risposta semantica all’insensata e traboccante realtà, epica nel suo squallore.» di Iosif Bodskij
Nella foto, Derek Walcott e Luigia Sorrentino
17 marzo 2011
Accademia Americana di Roma Continua a leggere
Andrea Ponso, I ferri del mestiere
Lo Specchio Mondadori dedica un nuovo spazio ai giovani poeti emergenti pubblicando quattro delle voci più giovani della poesia contemporanea: Fabrizio Bernini, con L’apprendimento elementare, Carlo Carabba con Canti dell’abbandono, Alberto Pellegatta con L’ombra della salute e Andrea Ponso con I ferri del mestiere.
Dopo Fabrizio Bernini, Carlo Carabba e Alberto Pellegatta oggi è la volta di Andrea Ponso.
Nella poesia di Andrea Ponso c’è un incessante, ossessivo desiderio di poter riassaporare una dimensione umana di creaturalità inerme e ruvida, riportata a galla dai ferri di un ormai indefinibile mestiere, in un tempo in cui la pratica assidua, umile e insieme nobile, appunto, del mestiere, è solo ormai un’inesistenza o un anacronistico residuo. Ponso, compone nei suoi versi una tessitura aspra e profonda, tende ad attraversare un arduo paesaggio di vita strozzata e dolente senza abbandonare l’idea guida di una vitale speranza che conduca al ritrovato respiro di una realtà tornata finalmente semplice nella quiete della sua salvezza naturale. Continua a leggere
La traduzione di poesia, René Char-Vittorio Sereni
L’antologia ‘Due rive ci vogliono’ , Donzelli Editore, 2011, pubblica per la prima volta quarantasette poesie del grande poeta francese René Char (1907-1988) nelle traduzioni di Vittorio Sereni (1913-1983) i cui originali si trovano presso l’Archivio «Vittorio Sereni» della Biblioteca comunale di Luino.
Le poesie sono introdotte dal testo del discorso – anch’esso inedito – ‘Il mio lavoro su Char’, pronunciato da Sereni nel 1976 quando gli fu conferito il Premio Monselice per la traduzione.
Completano il volume una nota di Pier Vincenzo Mengaldo e una postfazione di Elisa Donzelli che ha anche curato l’apparato critico con la collaborazione di Barbara Colli, responsabile dell’Archivio «Vittorio Sereni» di Luino.
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Margaret Atwood, L’anno del diluvio
Nicola D’Ugo, poeta, narratore, saggista, comparatista e traduttore ci propone per La traduzione di poesia una sua recensione a L’anno del diluvio di Margaret Atwood Ponte alle Grazie, Milano 2010. Traduzione di Guido Calza. 480 pp. EUR 19,60 Prima edizione originale: The Year of the Flood. London: Bloomsbury, 2009. 434 pp. £ 18,99.
Nicola D’Ugo (nella foto) dottore di ricerca in Letterature di lingua inglese all’Università La Sapienza di Roma, nella sua originale lettura definisce L’anno del diluvio di Margaret Atwood “un delizioso romanzo dal sapore di fiaba” che “stabilisce un carattere d’onnicomprensività unitaria tra passato e futuro. Ma anziché poggiare il mito di fondazione d’una cultura su un’epoca idealmente remota e non consequenziale al divenire storico la colloca in un futuro parimenti sdrucciolevole e storicamente solo eventuale, che ha fin troppe caratteristiche in comune col degrado della nostra contemporaneità.”