Walter Mauro, La letteratura è un cortile

La letteratura è un cortile di Walter Mauro, Giulio Perrone Editore (Roma, 2011).

<<Questo libro è il cortile dove finalmente raduna tutti gli amici di una Vita. Anche, soprattutto quelli che adesso gli mancano. Poeti con le tasche colme di fogli, scrittori. Calvino armato di forbici, Moravia e la sua impazienza, Pasolini spericolato, Sciascia taciturno. Rafael Alberti ripensa a García Lorca, Carlo Levi chiede notizie di Neruda, Montale lascia in eredità un cappotto, Marquez ha paura di volare. Gli entusiasmi e le sconfitte; la musica, tantissima musica – la partitura di un’esistenza irripetibile che è un lungo tratto di storia del ‘900. Percorsa a ritroso con il passo allegro, mai nostalgico, “da marinaio appena sceso dalla nave che ha circumnavigato il mondo”.>>

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Addio a Luigi Di Ruscio, il poeta della condizione operaia

E’ morto stanotte a Oslo il poeta Luigi Di Ruscio, aveva 81 anni. Molto amato da Franco Fortini, Paolo Volponi e Salvatore Quasimodo, che lo definì “uomo d’avanguardia nel senso positivo, cioè della fede nell’attualità e per la violenza del discorso”. Era nato a Fermo nel 1930 ma era emigrato in Norvegia nel 1957. Il suo ultimo libro uscito in Italia La neve nera di Oslo, è stato pubblicato nel 2010 da Ediesse. Di Ruscio, che per quarant’anni ha lavorato a Oslo in una fabbrica metallurgica, ha pubblicato la sua prima raccolta di versi, Non possiamo abituarci a morire, con prefazione di Franco Fortini, nei primi anni Cinquanta. E sarà Salvatore Quasimodo a presentare, nel 1966, la sua seconda raccolta, Le streghe s’arrotano le dentiere. In quegli anni le sue poesie entrano anche nelle più importanti antologie tra cui proprio Poesia italiana del dopoguerra di Quasimodo. Tra i suoi libri di poesia anche: Istruzioni per l’uso della repressione con presentazione di Giancarlo Majorino, uscita nel 1980 per Savelli, ‘Firmum’ (peQuod 1999), L’ultima raccolta, con prefazione di Francesco Leonetti (Manni 2002) e le Poesie Operaie, con prefazione di Massimo Raffaeli, pubblicate nel 2007 da Ediesse 2007. E’ autore anche di testi di narrativa, fra cui: Palmiro (Baldini&Castoldi, 1996), L’Allucinazione (Cattedrale, 2008) e Cristi polverizzati con la prefazione di Andrea Cortellessa (Le Lettere 2009).

Raffaelli parla di Di Ruscio come di “una splendida eccezione, una assoluta singolarità, nel panorama della poesia italiana del secondo Novecento. Non un poeta-operaio come pure e sbrigativamente si è detto tante volte, quasi si trattasse di sommare il sostantivo all’aggettivo, o viceversa, ma un poeta capace di introiettare/metabolizzare/rielaborare la condizione operaia alla stregua della condizione umana tout court”.

la speranza andava mostrata subito
inutile tenerla nascosta per paura che venisse derubata
sostenerla con versi blasfemi o sferici
e alla fine delle composizioni
come sbattendo il coperchio
di una cassa da morto
per chiudere tutto

 

http://www.nazioneindiana.com/2010/06/09/intervista-a-di-ruscio/

La traduzione di poesia, Nicola D’Ugo

Inauguriamo una nuova sezione del blog Poesia“La traduzione di poesia”. 

Iniziamo con Nicola D’Ugo poeta, narratore, saggista, comparatista e traduttore.  Dottore di ricerca in Letterature di lingua inglese alla Sapienza. È stato fondatore e redattore del quadrimestrale di studi culturali Praz! (1993-1997) e redattore del mensile Notizie in… Controluce (1999-2001). Ha scritto numerosi saggi e curato monografie per libri e diverse testate giornalistiche ed accademiche. Ha tradotto per Arnoldo Mondadori Editore, Edizioni Empirìa e Semar Editore. È autore, con Alberto Mesina, dell’unica traduzione integrale del poema Altazor o il viaggio in paracadute di Vicente Huidobro, pubblicato da Semar.

Nicola D’Ugo ci propone due poesie «Il mio cuore» e «Come lei» , di Frank O’Hara e Anne Sexton.

<<Le poesie qui proposte, «Il mio cuore» e «Come lei»sono state scritte da due dei poeti che hanno esercitato una grande influenza sulla poesia americana, Frank O’Hara e Anne Sexton. Entrambi si caratterizzano per l’intimità cui invitano il lettore, e benché quest’approccio sia ritenuto tipico della poesia lirica, esso non lo è affatto. Nei brani che ho desiderato tradurre non è a tema l’universalità dell’uomo, né essi toccano questioni che cerchino di raffigurare l’uomo contemporaneo nella sua interezza. Se in essi ci si riflette, specchiandosi, ci si ritrova nei panni singolarissimi (e non per questo unici) degli autori che li hanno scritti. Un tale approccio lirico non ha neppure di mira farsi testimone di un’epoca, vissuta attraverso gli occhi del poeta. Nella loro diversità, O’Hara e Sexton si rivolgono al lettore parlando di se stessi, di ciò che sentono, nel minuto fugace e talvolta onnicomprensivo della loro carnalità esistenziale.

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La divisione della gioia

In un’atmosfera di erotismo conturbante, sospesa tra le note dissonanti dei “Joy Division” e la metafisica silenziosa dei quadri di Hopper, “La divisione della gioia” si sviluppa come un poema d’amore di lacerante intensità e bellezza, in cui voci maschili e femminili si richiamano, si scontrano, si cancellano, si confondono. Un dialogo incessante, in cui si alternano tenerezza e abbandono, rapimento e paura della perdita, e che si dirama come il delta del fiume su cui i personaggi si muovono, si lasciano, si ritrovano, tra sfondi naturali e paesaggi post-industriali che ricordano il “Deserto rosso” di Antonioni. Dialogo teatrale o racconto in versi? A qualunque luogo appartenga, questo libro batte e ribatte senza sosta, con un ritmo fermo e implacabile, la materia dei giorni, la storia di uno e l’ansia di tutti, il canto che silenziosamente accompagna la divisione del dolore e della gioia.

“La divisione della gioia” di Italo Testa, Transeuropa Edizioni 2010 (euro 9,50)

Qui ho appreso la luce sciolta sugli scafi al mattino
il buio incandescente e l’anima buia dei rami,

qui ho imparato a dissipare gli occhi, la bocca, il fiato,
a calarmi all’alba dentro un vestito di brina

qui ho svegliato sui fossi le canne inanimate nel bianco
la frontalità ignara dei pioppi eretti come ceri,

qui ho imparato a distinguere nel manto uniforme del giorno
l’intonaco di case insaponate nella nebbia,

qui ho perduto nell’acqua il tuo pegno raschiato dal cuore
e in un pomeriggio ignaro ho confuso i corpi e i volti,

qui ho consumato gli occhi sul volto lucente del mondo,
qui sull’argine alto mi sono inumato nel freddo.

Daniela Attanasio, Il ritorno all’isola

“Il ritorno all’isola” di Daniela Attanasio, Nino Aragno Editore, 2010 (10 euro).  

<<“Il ritorno all’isola” è un libro sulla dignità del vivere ricercando e sperimentando la bellezza. Questa parola, che si pronuncia con sempre maggiore difficoltà come fosse una debolezza o un modo fatuo di osservare la realtà, è stata censurata, per vizio estetizzante, dalla dittatura della contemporaneità.  Io però sono refrattaria a ogni censura così come a ogni definizione – idealismo, realismo, orfismo… – e dentro la contemporaneità ci sto stretta. “La contemporaneità non è tutto il mio tempo” diceva Marina Cvetaeva -che di cose illuminanti ne ha dette e scritte molte. Invece bellezza è una parola che va pronunciata, urlata; è un bene della vita, una risorsa rigenerante di cui non si può fare a meno perché quando scarseggia, la quantità mancante viene riempita di volgarità e violenza -con tutto quello che ne consegue in campo sociale, economico, etico. In questo libro c’è l’amore perché c’è la vita, ed è il motore di questo sperimentare la bellezza, quello che fa accendere qualche scintilla senza la quale “è impossibile la vita, tutta un’intera vita”, come riporto ad apertura del libro. Ne “Il Ritorno all’isola” racconto questo andare verso e tornare alla bellezza in luoghi e tempi diversi. Non solo l’isola e la natura, ma la città nel suo degrado urbano contiene bellezza, quella della diversità delle razze, della luce improvvisa che illumina un particolare, di un sorriso sulla faccia di un barbone che ti dice grazie, del germoglio su un alberello di hibiscus, innaffiato dai gas di scarico, che malgrado tutto vive. “L’acqua della poesia scorre su cose sporche e /zone d’amore come sui rauchi rumori /di questa piazza/ sulle sue solitudini di razza”, è scritto in una poesia della raccolta.

Potrei parlarvi di altre cose, del tempo che non muore ma che riversa vita vissuta nel presente producendo nuovo linguaggio e nuova poesia -e questo in fondo è il senso dei versi : “Niente s’è spezzato. Nata. E sono ancora dentro quella nostalgia di vita che è una nascita”.
Non c’è frattura fra passato e presente, il tempo non si spezza: quanto è accaduto neppure la morte lo può ammazzare e la bellezza passata ci rimane addosso, il tempo la fa tracimare e la riconsegna al presente .
Potrei parlarvi dell’isola, come grumo di terra dai confini stretti dentro un orizzonte di mare sconfinato -come fosse la parola di un poema, la pagina di un libro…
Ci sono delle prose-poesie a fine raccolta che si sono presentate da sole, memorie che non sono andata a cercare, manifestano quanto c’è d’imprevedibile nella linearità di un racconto, quel fatto o quella storia che pure non essendo miei mi hanno segnato e spostato dalla mia solitudine. Perché non siamo soli al mondo ed è importante e commovente lasciarsi contagiare da altre solitudini e da altre intelligenze. E infatti a questo punto, nel libro c’è uno scarto, un dire in terza persona, la presenza di una voce esterna che è forse la coscienza di Amelia Rosselli, la parte sana del suo cervello malato.>>
di Daniela Attanasio

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