Mariapia Quintavalla, quattro poesie


QUINTAVALLAMaria Pia Quintavalla
, nasce a Parma, ma dal 1983 vive e lavora a Milano. Poetessa e narratrice, si occupa anche di critica letteraria e collabora con l’Università Statale di Milano.

Tra le sue opere di poesia: “Cantare semplice”, (Tam Tam Geiger, India-USA 1984); “Lettere giovani” (Campanotto Editore, Pasian di Prato 1990); “II Cantare” (Campanotto Editore, Pasian di Prato 1991); “Le Moradas” (Empiria, Roma 1996); “Estranea” (canzone) (Piero Manni, San Cesario di Lecce 2000); “Corpus solum” (Archivi del ‘900, Milano 2002); “Canzone, Una poesia” (Pulcinoelefante, Osnago 2002 e 2005); “Napoletana” (Copertine di M.me Webb, Domodossola 2003); “Le nubi sopra Parma” (Battei, Parma 2004); “Album feriale” (Rosellina Archinto, Milano 2005); “Selected poems” (Gradiva, New York 2008); “China. Breve storia di Gina tra città e pianura” (Edizioni Effigie, Milano 2010); “I Compianti” (Edizioni Effigie, Milano 2013).

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Pedro Serrano, “Torba”

 

pedro-serrano[1]Nota di Stefano Serri

Un mondo di pietra, che s’indurisce e poi si sbriciola, è il protagonista di Torba, quarta raccolta poetica di Pedro Serrano. Nell’universo dell’artista messicano la parola, il corpo e la storia si solidificano, diventando labirinto: il poeta non è che un fossile e anche le emozioni si fanno inorganiche. Ma la solidità minerale della realtà cede alla frattura e “la geometria rugosa della storia” si risolve in una fuga di frammenti non più correlabili tra loro. Anche il linguaggio risente di questa sfaldatura, così che l’unico collante rimasto in questa babele è l’accostamento di termini secondo un codice irrazionale, quasi surrealista, capace di generare immagini inattese (“una nappa di paura”, “un’amaca di dolore”). Dalla bocca del poeta, spalancata o ferita, gravata dalla “nomenclatura nella mandibola”, non emerge la gioia del canto, ma lo sforzo puntuale e la tensione del ridare un nome alle cose, come un nuovo Adamo. Il libro di Serrano, tradotto da Chiara De Luca, si configura come un’opera di pietra, a tratti grezza, a tratti cesellata, ma che si arrende al miracolo quotidiano del sole, “pietra miracolosa”, e alla vittoria del bianco: perché solo nella luce del mezzogiorno si realizza “il tremore azzurro del certo”. Continua a leggere

Giacomo Sandron, “Cossa Vustu che te diga”

 

sandron[1]Dalla prefazione di Fabio Franzin

“Te mancarà e man de me nona / i so grossi dei come gropi e duri / che te li ficava drento in senocioni / su la cuiera, col soriso tai oci” (Ti mancheranno le mani di mia nonna / le sue dita grosse come nodi e dure / che ti affondava dentro in ginocchio / nell’orto, col sorriso negli occhi). Sono fra i primi versi che accolgono il lettore di questa intensa raccolta poetica, in un testo, quello che si propone come una sorta di intro musicale, una dichiarazione d’amore e al contempo di odio rivolti al proprio paese, leitmotiv che percorrerà, come una crepa lunga, l’intero percorso che vede, passi e parola, snodarsi al suo interno. Poi, verso la fine della stessa, in una delle ultime sezioni, l’autore riprende humus ed enunciato, innestandovi però un senso di smarrimento, di lontanìa, per dirla alla Marin: “La rotta si perde anche coi piedi calcati per terra”. Nel testo successivo, l’autore aggiunge ancora, come per giustificare tale “stornità”: “Sarà che qua la terra sta / allo stesso livello dell’acqua”. Basterebbero questi tre brevi estratti per riassumere il background, il substrato in cui affondano le parole di Giacomo Sandron, e in virtù di una qualche loro misteriosa proprietà, risalgono poi a galleggiare. Un autore che giunge, finalmente, a consegnare alle stampe una raccolta organica che riassume oltre un decennio di ottime apparizioni sparse su plaquette, libretti artistici e artigianali, riviste cartacee e su web, e una costante presenza in readings e letture, performance e partecipazioni a poetry slam (di cui è uno degli interpreti più apprezzati). Continua a leggere

Il ritorno di Dario Bellezza

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Da oggi in libreria

Invettive e licenze apre questo volume che, per la prima volta, riunisce tutti gli otto libri pubblicati da Bellezza fino a Proclama sul fascino apparso nel 1996, pochi giorni dopo la scomparsa dell’autore.

Ai versi editi fa seguito un’appendice di testi dispersi, alcuni inediti, che vuole offrire uno stimolo per accostare nuovi lettori alla produzione di uno dei poeti più controversi e ricchi poeti di fine Novecento.

L’attenta e partecipe curatela di Roberto Deidier, che di Dario Bellezza fu amico, consente non solo di inquadrare ogni testo nel momento in cui fu scritto, ma anche e soprattutto di cogliere il senso di un itinerario poetico globale e coerente.

Dario Bellezza, “Tutte le poesie”, Oscar Mondadori 2015, a cura di Roberto Deidier, (20 euro).

 

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Marcella Graziosi, “Il gioco della campana”

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Nota di Marcella Graziosi

“Pubblicare il primo libro è per me una partenza che racchiude tanti precedenti passaggi attraverso il gioco della vita, compiuti con gioia, a volte con sofferenza ma sempre con l’impegno instancabile di quando da piccola giocavo al gioco della campana, o rayuela, per le strade di Buenos Aires.
Una memoria dei molti viaggi che mi hanno condotto ad essere ciò che sono; perché nulla vada perduto del bagaglio da portarmi dietro quando la vita chiamerà ancora e il mio cuore sarà pronto a seguirla verso nuovi spazi.”

Dall’introduzione al libro scritta dall’autrice

Il gioco della campana, la Rayela in argentino, ha rappresentato per me uno dei divertimenti preferiti quando a Buenos Aires, mia città natale, trascorrevo molte ore per strada a saltare sulle caselle disegnate dai bambini.

Lanciare il sasso e seguirlo nel quadrato dove andava a finire, raccoglierlo e poi tornare al punto di partenza senza cadere, saltando su un piede solo era, ogni volta, una sfida che metteva alla prova la nostra abilità.

Da allora molte volte ho lanciato il sasso nella rayuela della vita e raggiungerlo ha rappresentato una partenza, un viaggio, a volte felice, a volte fatale, a volte voluto, fuori e dentro di me.

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