
El sarà vera fors quell ch’el dis lu,
che Milan l’è on paes che mett ingossa,
che l’aria l’è malsana, umeda, grossa,
e che nun Milanes semm turlurù.
Impunemanch però el mè sur Monsù
hin tredes ann che osservi d’ona cossa,
che quand lor sciori pienten chì in ista fossa
quij benedetti verz no i spinten pù.
Per ressolv alla mej sta question,
Monsù ch’el scusa, ma no poss de men
che pregall a addattass a on paragon.
On asen mantegnuu semper de stobbia,
s’el riva a mangià biava e fava e fen
el tira giò scalzad fina in la grobbia.
Carlo Porta Continua a leggere

Fino alla visita inaspettata di uno strano personaggio che ha le piume e l’aspetto di un corvo. Un corvo dotato di un feroce senso dell’umorismo, un po’ baby-sitter, un po’ terapeuta, ma soprattutto amico. Un corvo che potrebbe aiutarli a venire a patti con la sofferenza e a dare un senso a un evento terribile. Sogno o realtà? Quello che è certo è che i ricordi feriscono, ma a poco a poco leniscono anche. E giorno dopo giorno il tempo ricomincia a scorrere.

«Sono venuta a confessare un delitto». È una creatura docile e gentile a proferire questa frase terrificante. Si chiama María, ha la fissità di una statua e negli occhi una luce ardente, la stessa dell’isola da cui proviene. L’agente di polizia che in Questura redige la confessione, pur intuendone la pericolosa ambiguità, resta ammaliato e desidera immediatamente conoscere ogni cosa di lei – forse perché, a volte, orientarsi nella vita di una donna significa per un uomo avvicinarsi con ostinazione a se stesso. Fra l’aspirazione al divino e la condanna di avere un corpo, María racconta la sua storia. E rievoca quando rinunciò a tutto per andare a vivere con quello che sarebbe diventato suo marito e insieme il suo carceriere: le loro notti di amore accanito e la vergogna del giorno dopo, la gabbia della gelosia e il miracolo della libertà che non si compie mai. Ammette di essere finita nel labirinto di una passione tanto ineluttabile quanto assassina. Adesso sta scappando, alla ricerca del suo unico figlio.