Una monografia su Matteo Bonsante

 

 

ESTRATTO 

L’analisi dell’opera letteraria di Matteo Bonsante ci consegna, volendo trarne delle considerazioni generali, un grande affresco storico-letterario che abbraccia, a ben vedere, il periodo di tempo che va dagli anni Ottanta del XX secolo alla prima decade del XXI. Volendo usare un’immagine rappresentativa di questo lungo processo artistico, si può dire che l’opera bonsantiana ci appare come un lieve panno su cui si adagiano, in un’ottica di corrispondenze, i piani differenti che compongono la realtà: raziocinio e intuizione, libertà e determinismo, al di qua e al di là – tutto si compenetra in una trama esistenziale sempre volta alla ricerca effettiva e mai soltanto abbozzata di una chiave di volta che possa, in definitiva, suggerire all’individuo (poeta o lettore, poco importa) non solo una riflessione estetica ed etica sulla vita, ma soprattutto una pratica dell’esistere e dell’essere al mondo.

A partire dalla prima opera, Bilico, e attraverso una progressiva acquisizione dei rapporti di interconnessione tra le diverse compagini della realtà – noumeno e fenomeno –, si può affermare che Bonsante abbia cercato di fornire alla sua poesia un materiale sempre vivo e magmatico col quale riscoprire, attimo dopo attimo, una genuinità del vivere in apparenza irraggiungibile. ‹‹A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino››, ha affermato Picasso in riferimento alla sua personale e costante ricerca della semplicità della linea – di una forma, cioè, che potesse riassorbirsi in sé stessa senza retorica e senza ostentazione mostrando, per l’appunto, quella genuinità geometrica di cui è composta la realtà. Specularmente, non sarebbe affatto un errore comparare questa stessa ricerca picassiana a quella di Matteo Bonsante, un poeta che sin dagli esordi ha cercato di scavalcare la parola in quanto forma artificiale spesso incapace di comunicare l’essenziale a vantaggio di una melodia, di una carica immaginifica che tenta il finito e l’infinito per potersi ri-trovare in uno spazio fuori da ogni tempo e da ogni condizionalità fisica, riassorbendosi e raggiungendo così l’essenziale e il genuino che è, poi, il vero obiettivo della sua ricerca. Continua a leggere

Francesca Serragnoli, “La quasi notte”

Francesca Serragnoli

Quando ero bambina
aprivo la finestra
sporgevo
volevo essere la rosa di qualcuno.

Nell’incavo dell’occhio l’acqua
intingi il dito, dicevano
portalo alla fronte
il triciclo della croce.

Un giorno da questa finestra
cadrà la mia vita
un tonfo lieve di palpebre
la bocca aperta
come alla prima comunione.

***

Nessuno mi vuole come madre
mi guardano e non parlano
con occhi celesti o marroni
battono le mani sulle ginocchia
e corrono scalzi
negli ingressi luminosi.

***

Vivrò ai margini di quel sorriso di neonato
come i signori che dormono in terra
con la vita tutta lì
poco più alta di un fiore

quel sorriso alato
poserà e alzerà la sua farfalla
come sotto al pesco
un’ombra matura
allungandosi
stacca la sua morte

il soffio nero del vento nel fogliame
doloroso delle mie viscere.*

*Gli ultimi due versi sono di Christophe Manon

Continua a leggere

Antonella Sbuelz, “Chiedi a ogni goccia il mare”

Antonella Sbuelz

ONDE DI SUONO

Amavi ogni singola parola, ma
di un amore poco corrisposto.
Erano ponti minati i ponti
I punti fra sillabe e suoni, fra suoni e nomi
detti tutti interi.
La tua voce zoppicava in mezzo ai denti
spingendo fuori desideri muti, moncherini
di pensieri mutilati. Però non ti arrendevi.
Ritentavi. Radunavi risorse di fiato, indossavi
la tua dignità in una muta dolorosa.
Staccavi dalla sua buccia d’aria
la polpa del senso di ogni cosa. Ma
il tuo cuore ignorava la balbuzie,
e la matita quando disegnava
dava vita a ogni onda del suono:
versi di uccelli, nitriti dei cavalli, il rombo
di un’auto o un aeroplano.
E personaggi
dalla bocca muta.
Tacevano, ma dandosi la mano.

 

LA PAROLA TORNARE

Ma torneremo, dicevi
la parola era fragile. Tremava.
E forse rivedervi te bambina:
il vento si gonfiava in onde e nubi, i passi
dei profughi in fila
erano lenta conquista nella conquista
di un domani astratto
che prometteva la normalità.
È facile vederti anche da qui: calzette
bianche, scarpe impolverate,
le dita che tormentano,
una crosta sopra un ginocchio sbucciato.
La sovversione dell’infanzia
sta nel cucciolo che hai regalato
senza volerlo regalare: il suo miagolio
ti ha inseguito fino a farsi miagolio
di bora e mare.

Torneremo, dicevi. Torneremo.

E finalmente ieri sei tornata.
Ti abbiamo riportata di nascosto.
Se non profuga, di nuovo clandestina. Sopra
il tuo angolo d’Istria soffiava un vento gentile.
Il golfo pungeva di luce.
Sei scivolata in acqua con dolcezza:
un brivido di polveri leggere
dentro la sera che rabbrividiva.
E si è fermata la mano
che torturava il ginocchio.
La fila ha ripreso a marciare
verso un’idea di domani.
Il tuo gatto ha ripreso a miagolare.
Oltre il buio
che ci scopriva nudi,
si aprivano nuovi ritorni
nella parola tornare. Continua a leggere

A dieci anni dalla scomparsa di Zanzotto, due nuovi volumi sul poeta di Pieve di Soligo

Andrea Zanzotto

Nel centenario della nascita e a dieci dalla scomparsa di Andrea Zanzotto Mondadori pubblica due volumi sul grande poeta di Pieve di Soligo: Andrea Zanzotto, ERRATICI disperse e altre poesie (1937-2011) a cura di Francesco Carbognin e Andrea Zanzotto, TRADUZIONI TRAPIANTI IMITAZIONI a cura di Giuseppe Sandrini.

Il primo volume a cura di Carbognin, propone una serie di poesie di Andrea Zanzotto pubblicate in varie sedi tra il 1937 e il 2011 ma mai confluite nei suoi libri, testimonianze fedeli della vivacità e dell’operosità della sua officina poetica.

“L’esplorazione dell’archivio privato in cui il poeta spesso teneva traccia o a volte copia delle sue pubblicazioni occasionali, assieme alla esplorazione sistematica di annate di quotidiani e riviste, ha infatti consentito di espanderne il corpus di un centinaio di poesie, da quelle adolescenziali risalenti agli anni del liceo (1937-38), improntate a un sostanziale pascolismo psicologico, ai versi di impostazione civile (1946) legati agli eventi della Resistenza. Se le poesie successive delineano l’evolversi dell’esperienza poetica zanzottiana fino a quel primo acuminato vertice toccato da Vocativo , quelle degli anni Sessanta ne dilatano l’orizzonte del sapere e del dire tra classicismo, caustica ironia e inclinazione sperimentale, proiettandosi verso i grandi esiti di “La Beltà”. Ed eccoci poi alle prime e già mature ricognizioni in versi sul dialetto (precedenti l’edizione del poemetto “Filò” e la composizione dei testi per il “Casanova” di Federico Fellini), fino alle prove quanto mai varie degli ultimi decenni, quando il soggetto lirico zanzottiano «si diffrange identificandosi con gli enti minimali del paesaggio», o con gli indizi del suo «”accadere” nella pagina, esitante tra silenzi e “promesse” di senso».”

(Francesco Carbognin)

Il secondo volume, a cura di Giuseppe Sandrini penetra il vastissimo orizzonte culturale di Andrea Zanzotto, entrano grandi figure di epoche e letterature diverse, rispetto alle quali, fin dalla giovinezza, il poeta si impegna in un confronto attivo, in un lavoro di traduzione che preferisce definire “imitazione”. Si tratta, per usare un’altra sua efficace espressione, di “fantasie di avvicinamento”, di cui questo volume ci offre un nuovo e imprescindibile percorso, che parte dai primi abbozzi, condotti su testi di Hölderlin, Rimbaud e García Lorca, e include anche una ventina di versioni del tutto inedite, predisposte per un quaderno di traduzioni che non si realizzò. Continua a leggere

Rachel Bluwstein (1890-1931)

Da “Poesie” di Rachel Bluwstein, a cura di Sara Ferrari, Interno Poesia 2021

La prima antologia italiana interamente dedicata alla poetessa Rachel Bluwstein (1890-1931), nota al pubblico come Rachel, simbolo mai scalfito dal tempo del movimento pioneristico ebraico e madre fondatrice della tradizione poetica israeliana al femminile. Benché Rachel sia considerata una delle poetesse “nazionali” d’Israele, spesso nel corso dei decenni la sua opera è stata relegata a un ruolo minoritario, se non, addirittura, fraintesa. Soltanto di recente la critica ha saputo restituirle la giusta collocazione all’interno del canone poetico, mostrando l’intento rivoluzionario della sua scrittura. L’amore deluso, la nostalgia, la solitudine sono parte integrante dell’universo poetico di Rachel. Tuttavia, accanto a questo, troviamo una donna risoluta, consapevole della propria realtà, passionale e, soprattutto, dotata di un progetto poetico molto preciso.

Nella mia grande solitudine

Nella mia grande solitudine, una solitudine di animale ferito
ora dopo ora io giaccio. In silenzio.
La mia vigna l’ha spogliata il destino e non un solo rampollo è rimasto.
Ma il cuore, ormai vinto, ha perdonato.
Se davvero sono questi i miei ultimi giorni
voglio esser calma,
perché l’amarezza non intorbidi il quieto blu
del cielo, mio compagno di sempre.

*

Nelle notti senza sonno

Com’è fiacco il cuore nelle notti senza sonno,
nelle notti senza sonno com’è grave il giogo!
Stenderò allora la mano per recidere il filo,
per recidere il filo e finire?

Ma al mattino la luce, con la sua ala pura,
bussa silenziosa alla finestra della mia stanza.
Non stenderò la mano per recidere il filo.
Ancora un poco, cuore mio! Ancora un poco!

*

Espressione

Io conosco detti eleganti in abbondanza,
frasi fiorite a non finire
che camminano leziose,
lo sguardo arrogante.

Ma amo l’espressione pura come un neonato
e modesta come la polvere.
Conosco innumerevoli parole,
per questo io taccio.

Saprà il tuo orecchio cogliere, anche dal silenzio,
il mio umile parlare?
Saprai proteggerlo come un amico, un fratello,
come una madre in seno? Continua a leggere