Mauro Marino, poesie

Mauro Marino / credits ph. Roberto Pagliara

Le cose nuove 2018

A P.P.P.

Due angeli a governare, ali tenere, sottili
di un volo leggero e veloce.
Un altro, inerpicato, imbianca,
carezza di calce un muro.
Nella piazzetta la pioggia taglia,
l’andatura piegata di una vecchia
rallenta l’urgenza del mondo.

Nessuno osa parola.

San Leonardo ha una piccola chiesa
nei vicoli di Galatone
con fiori di plastica e tovaglia da cucina
e Santa Lucia alluminio, a far confine con la strada.

È così qui, niente è nobile
niente è artificioso. Spontaneo sì, un po’ folle.
La macchina porta via ferraglie,
carica carica del Tempo
e i pozzi crescono illusi ormai di farci bere prima
d’affrontar le scale.

Una architettura antica, utile a chissà quale identità.
Non sappiamo più cos’è stato. Non sappiamo più!

Se, se tu potessi scorgerci adesso
sapere che aspettiamo.
Questo silenzio ubriaca, non trova voci e senso.

Tu, sapiente custode, col tuo allarme
fa sì che questa vena d’acqua torni di nuovo viva
e bere potremmo.
Dissetarci.
Che miracoli tu! Riempi!
Torna… Non puoi? Torna…

Prepotente, feroce, rinasci
basti tu, col tuo profumo, a farci puri
nella nostra nuova rabbia a puntellare
lo scrostato intonaco
dell’edificio sognato e mai sorto.

“Qualcosa (già sai! l’avevi detto!) è venuto
ha fatto allargare l’abisso tra corpo e storia,
ci ha indebolito,
inaridito, ha riaperto le ferite…”.

Tarda, oh! quanto, a trovar terra,
il seme della Passione.

*** *** ***

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Laura Di Corcia, da “Diorama”

Laura Di Corcia

La borragine porta coraggio
l’ha scritto Jarman
io gli credo.

Il Medioevo è tutto nel Nord:
dalle campagne germogliano
le città, i borghesi stringono patti
e mani, si formano piani
i contadini stringono le cinture
e ammassano in un angolo buio
la speranza, la fede, i figli
continuano a credere nella terra
ascoltano solo la polvere.

Le città germogliano
bucano il tempo
dimenticano le chimere
ammassano nelle campagne
le paure.

I contadini rimangono a lato
la storia continua e li sfiora
loro pregano in ginocchio
sul ruvido
di fronte alla passiflora.

*

Il romanico aveva ragione:
si piegava sul vento
lo proteggeva

rifiutava il guizzo
metteva in esilio Dioniso
le screziature con cui irretiva il tempo.

Il romanico calava nella notte
la accarezzava con mano calda
ma ora non è più tempo:

la storia si nutre di memoria
l’ora il qui scappano
la corsa ha preso il sopravvento.

Non è più tempo di cose tonde.

*

All’incrocio fra il Tigri e l’Eufrate
una donna di argilla
mescolava il tempo.

Accanto a lei cadevano
foglie accatastate
pere, mele, milioni di libri.

Tutto si depositava
in silenzio, nel vuoto
si decomponeva subito dopo.

In mezzo alle gambe
appassivano le ultime stelle
fiorivano i predatori.

Laura Di Corcia, Diorama, prefazione di Filippo Tuena, Tlon, 2021 Continua a leggere

Mario Laghi Pasini, da “Album del venti”

Mario Laghi Pasini

ATTIMI

Mi aveva incantato il suo biancore
stagliato alto nell’azzurro
col sole netto dell’inverno
e il blu verde del mare.

Erano stagioni sapevo
di un breve vivere
prima di una misera fine
per una ferita o soltanto

per l’appesantirsi delle ali
nel distaccarsi ogni volta
della magica cedevolezza
dell’infinità su cui osava sostare.

Ma lui ora passa lento e regale
sopra di me che lo fissavo
l’orecchi teso a cogliere
ogni grido possibile

o la sua eco riflessa
dalle muraglie del borgo
e per quei lunghi attimi
si era fermato il respiro

cancellata l’inquietudine
– il futuro indicibile?
tutto il tempo sfuggito
velocemente dalle mani? –
restava come appesa a quel volo
che già svaniva nell’azzurro
col sole netto dell’inverno
e il blu verde del mare

una tenera malinconia
a cullare volti sguardi
sorrisi vivi ormai solo
nei miei ricordi accartocciati.

Poi il ritorno del respiro
e dello sguardo a terra
e tiu che mi chiedevi: – A che pensi? -.
Con un silenzioso bacio risposi.


MILLENIUM FALCON

Foglie morte concime di domani
replicare l’invincibile impulso
lasciare la semplicità del nulla
da cui anche noi siamo fuggiti

deserti miseria moltitudini
forse segni della fine che viene
pochi noi toccati dal privilegio
di piangere il dolore degli altri

e ogni volta affrontare il senso
insensato di una nostra colpa
chi cercando una difesa che sia
chi ad aiutare e chi con le illusioni

per esempio lentamente scrivere
poche righe avare come queste
e poi salire sul Millennium Falcon
e via! per il sempre di un’ora. Continua a leggere

Marino Santalucia, “Norma L’altra me”

Marino Santalucia

Marino Santalucia racconta in “Norma L’altra me”, Edizioni progetto cultura 2020, lo sguardo di una donna nei diversi momenti della vita. Una poesia che si posa sullo sguardo femminile e poi sul se stesso maschile, poi su altre donne e uomini che si interrogano su ciò che vedono, su ciò che vivono.

IL NIDO

Non parlano i miei slanci
assalgono il silenzio impigliandosi
alle tue reticenze fanno il nido.

 

FOSSI STATA ALMENO UNA CORDA

Chi ha scolpito
labbra e viso
per cantare la mia poesia?
Fossi stata almeno una corda
avrei vibrato all’infinito.

 

IL BRUNO ODORE DELLA TERRA

Dentro me non manchi mai
non svanisci nell’aria,
ovunque spandi
il bruno odore della terra
e canti eterne piramidi.

 

SAREI UN ORTO BELLISSIMO

Potrei essere rinchiusa in uno spazio infinito
bellissimo come un orto incolto
senza rumori
tranne il seme che sboccia
o il vento che scompiglia. Continua a leggere

Alfonso Guida, da “Conversari”

Alfonso Guida

Notti gelide. Albe mute.
La breve confessione dell’oscurità, una pietra.
L’istante mostrato. La parola avanza: uomo, arc-en-ciel.
Il fumo si raduna intorno al tavolo. Che mi ripete a un’idea non veritiera di lutto. Accucciato nel nome. Il gelo. L’urgenza. Le ombrelle scurite del sambuco. Ai piedi un disordine bianco, lo spigolo, dei fotogrammi. Nel dettaglio di un eccidio, ha i sassi della tregua.

***

Qui, a novembre. Nel tuo volto gelato.
Nel colmo di un’estate. Il muratore
cerca la prima fonte, tra le grida.
Varcavo la durezza
dell’erba. Il tuo sguardo si è fatto opaco.
Trema una luce. L’infanzia sfregiata.
La stagione che vedo
nei tuoi occhi ha dispensato
una disputa di corvi, un giocarsi
l’autunno e l’inverno. Anche l’ombra pesa.

***

È crudele quest’autunno
perché allunga le agonie e tarda il sonno.
E sale dal muro l’odore viola
di vernaccia e il guizzo di un controluce
come fosse Pasqua e si festeggiassero
le capanne. I passeri beccano briciole.
I primi colori di ottobre sono
di un Corot che annuncia burrasca. Per noi
si tratta di passaggi
nel pensiero e nel sottostante. Lasci
che il muro sia il taglio e io il maestro di bricolage,
la civetta sapiente
di Minerva, il resto lo decide il porco mutare
dell’aria all’equinozio. C’è chi tace
restando inascoltato. Perché trovate ineducato
aprire la porta di un paese sconosciuto e sedersi
a mangiare con l’estraneo?

Alfonso Guida, tre poesie da Conversari (round midnight edizioni, 2021)

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