Il poeta estone Igor’ Kotjuch

Igor’ Kotjuch

Poesia e Covid-19

di Igor’ Kotjuch

они обсуждают сериалы
они советуют что почитать
они выкладывают снимки ужина с вином
они спорят о политике
они воплощают в жизни картины художников
они поддерживают флешмоб «портрет в ч/б цвете»

сидят по квартирам
почти никуда не ходят
карантин

а мы думаем

что будет, когда у них кончатся деньги
что будет, когда кончится инерция прошлой жизни

что тогда будут обсуждать
что тогда будут советовать
что тогда будут выкладывать
о чем тогда будут спорить
что тогда будут воплощать
какие флешмобы тогда будут поддерживать

мы не знаем, как долго это продлится
мы не думали заводить себе столько питомцев

discutono delle serie tv
consigliano che cosa leggere
pubblicano foto della cena col vino
discutono di politica
incarnano nella vita i quadri degli artisti
sostengono il flashmob “ritratto in bianco e nero”

stanno negli appartamenti
non vanno quasi da nessuna parte
la quarantena

e noi pensiamo

che cosa accadrà, quando loro finiranno i soldi
che cosa accadrà, quando finirà l’inerzia della vita passata

di che cosa discuteranno allora
che cosa consiglieranno allora
che cosa posteranno allora
di che discuteranno allora
che cosa incarneranno
quali flashmob sosterranno allora

non sappiamo quanto a lungo durerà
non pensavamo di trovare tanti allievi Continua a leggere

Simoncelli, cinque poesie

Stefano Simoncelli, ph. di Daniele Ferroni

COMMENTO DI MATTEO BIANCHI

Dallo sfondo sfocato sono le forsizie a occupare lo sguardo del lettore con i loro fiori di un giallo intenso, ovvero le riserve del presente. Le piante in questione che simboleggiano l’anticipazione di qualcosa, la sua venuta fuori contesto, separano lo spazio vitale del custode dalla casa in disfacimento a cui bada, quasi fosse la carcassa di un passato irreparabile, insolvibile. In un momento tanto incerto e drammatico che impone un severo isolamento, il poeta si nasconde dietro il vissuto di qualcun altro proprio per non rinnegare il suo e metterlo a fuoco. L’io lirico non trova un senso alla memoria che sbiadisce, così la dimora fatiscente svuotata dalle boutade gravose del tempo riecheggia la Villa chiusa di Corrado Govoni, che circondata da una siepe pativa la stessa «solitudine forzata», la stessa ruggine, ma che aspettava la pace. D’altronde, Govoni era solito ricavarsi periodi di distacco totale dal brusio quotidiano per riconoscersi attraverso un ascolto più limpido di sé. Continua a leggere

“Ophélie” di Rimbaud nella traduzione di Diana Grange Fiori

Ophélie

I

Sur l’onde calme et noire où dorment les étoiles
La blanche Ophélie flotte comme un grand lys,
Flotte très lentement, couchée en ses longs voiles…
– On entend dans les bois lointains des hallalis.

Voici plus de mille ans que la triste Ophélie
Passe, fantôme blanc, sur le long fleuve noir.
Voici plus de mille ans que sa douce folie
Murmure sa romance à la brise du soir.

Le vent baise ses seins et déploie en corolle
Ses grands voiles bercés mollement par les eaux;
Les saules frissonnants pleurent sur son épaule,
Sur son grand front rêveur s’inclinent les roseaux.

Les nénuphars froissés soupirent autour d’elle;
Elle éveille parfois; dans un aune qui dort,
Quelque nid, d’où s’échappe un petit frisson d’aile:
– Un chant mystérieux tombe des astres d’or.

II

Ô pâle Ophélie! belle comme la neige!
Oui, tu mourus, enfant, par un fleuve emporté!
– C’est que les vents tombant des grands monts de Norwège
T’avaient parlé tout bas de l’âpre liberté;

C’est qu’un souffle, tordant ta grande chevelure,
À ton esprit rêveur portait d’étranges bruits;
Que ton cœur écoutait le chant de la Nature
Dans les plaintes de l’arbre et les soupirs des nuits;

C’est que la voix des mers folles, immense râle,
Brisait ton sein d’enfant, trop humain et trop doux;
C’est qu’un matin d’avril, un beau cavalier pâle,
Un pauvre fou, s’assit muet à tes genoux!

Ciel! Amour! Liberté! Quel rêve, ô pauvre Folle!
Tu te fondais à lui comme une neige au feu:
Tes grandes visions étranglaient ta parole
– Et l’Infini terrible effara ton œil bleu!

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Danilo Bramati, da “Chiaro enigma del mondo”

Danilo Bramati

Il mondo stabile non mi parla più.
Lingue oscure, le foglie.
Tengo la sigaretta
come ruotando una clessidra,
filo di brace e cenere
misurato nel silenzio.
E sale, sale quell’ala grigia
oltre il muretto scalcinato…

Pioppi, magnolie, platani,
siete il tempo che non torna,
il verdeoro che mi piaceva
è un groviglio senza cura.
E il giardiniere non risponde.
Solo l’albero di Giuda è identico
contro un cielo fluttuante.

Penso: così si spogliano le cose,
non uno schianto, o un lamento, ma il sibilo
della serpe acquattata
dietro la siepe delle rose
che a notte fonda morderà.

L’ultimo tiro. È tardi.
Seppellisco il mozzicone
fra i sassolini pieni di ombre.
Qualcosa striscia nell’erba fredda…
Si gela. Quasi quasi torno dentro. Continua a leggere

Kathika Naïr, poetessa e coreografa

Kathika Naïr

Habits: Remnants

Listen, let’s get this straight: it isn’t you I miss, not you at all.
Warm rain—its scent and smoky song are what I miss, not you at all.

Nor all that jazz – the moon, the stars, the wine, the flame – that you conjured
before our verses grew old. That was a promise, not you at all.

A sky, an earth, this air, the awning, your mouth, my tongue, the impress
of skin on skin—these I hold as love’s edifice, not you at all.

Last week at the laundrette I tripped; a block-printed quilt snagged the heart.
A new voice pulled away my feet from the abyss, not you at all.

Yes, I’ve grown to like pine seeds and salted caramel, to worship
Steve Reich. But, surely, that’s what they call osmosis, not you at all.

I swear I’d spring-cleaned you from the mind. So I feign, when I find
slivers of laughter, a cinnamon-coloured kiss, not you at all.

The past invades our present, still imperfect yet continuous;
becomes a mutant who sings from each interstice, not-you-at-all.

By the Pleiades, by the quicksilver moon, I renounce the heart’s
feints, I will drink from this harvest chalice—it’s all you, after all.

Abitudini: Resti

Ascolta, parliamo ora chiaramente: non sei tu a mancarmi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Pioggia tiepida — sono il suo odore ed il vapore della sua armonia a mancarmi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.

E neppure tutto quel jazz mi manca – la luna, le stelle, il vino, quella fiamma –
eri tu a chiamarli in causa
prima che fossero i nostri versi ad invecchiare. Era una promessa quella,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.

Un cielo, una terra, quest’aria, la tenda per il sole, la tua bocca,
la mia lingua, la traccia
pelle contro pelle — sono queste le cose che trattengo come un domicilio dell’amore,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.

La scorsa settimana, alla lavanderia a gettoni, sono inciampata; una trapunta a quadri
mi ha afferrato il cuore
era una voce nuova a togliermi davvero il piede dall’abisso,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.

Sì, ho imparato ad apprezzare i semi di pino ed anche il caramello con il sale,
ad adorare Steve Reich.
Ma di sicuro questo è quello che qualcuno chiama osmosi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.

Ti giuro: è con le pulizie di primavera che poi ti avrei voluto fuori dalla mente. Se trovo
qualche scheggia di risata, insomma,
o un bacio color cannella, faccio finta, è solo quello,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.

Il passato invade il nostro adesso, ancora così imperfetto:
ininterrotto;
è ormai un mutante che canta da ogni intercapedine,
non-tu-davvero-tu-non-c’entri-niente.

Dalle Pleiadi, da questa luna d’argento vivo, io rinuncio
alle finte
del cuore, berrò da questo frutto del raccolto—
—e, in fondo, sei soltanto tu, dopotutto. Continua a leggere