Dylan Thomas, “Do not go gentle into that good night”

Dylan Thomas

Non andartene remissivo in quella buona notte,
i vecchi dovrebbero bruciare e impazzire al sipario del giorno;
infuriati, infuriati contro la luce che muore.

Benché i saggi sappiano che alla fine anche la tenebra è giusta
poiché le parole non scatenarono temporali
non se ne vanno remissivi in quella buona notte.

I giusti, dall’ultimo segno, piangendo il miracolo
delle loro fragili membra che danzano in una verde baia
s’infuriano, s’infuriano contro la luce che muore.

I gretti che ghermirono il sole e nel volo cantarono il sole
e troppo tardi s’accorsero d’averlo piegato
non se ne vanno remissivi in quella buona notte.

Gli stremati e ormai prossimi alla morte che con cieca vista
intuirono che occhi spenti potevano splendere
come meteore e sostare nella gioia
s’infuriano, s’infuriano contro la luce che muore.

E tu, padre mio, che sei lì sull’altare triste, ti prego,
maledicimi, benedicimi con le tue lacrime di tempesta.
Non andartene remissivo in quella buona notte
Infuriati, infuriati, contro la luce che muore.

Traduzione di Giovanni Ibello Continua a leggere

“Olimpia, tragedia del passaggio”

Uno dei pastelli di Giulia Napoleone realizzato per l’edizione francese di OLIMPIA, uscito in Francia con la traduzione di Angèle Paoli (Al Manar, giugno  2019)

Breve commento di Luigia Sorrentino

Ci sono libri che entrano nella tua vita e, per diverse ragioni,  non vogliono più uscirne. Olimpia, (Interlinea, 2013, 2019) è per me uno di quei libri. Fa fatica a sparire dalla mia vita. Le traduzioni in tedesco di “Iperione, la caduta” che qui presento in anteprima assoluta ai miei lettori, sono di Bettina Gabbe. Sono  nate dalla necessità  di mettere in scena “Olimpia, tragedia del passaggio“, drammaturgia di Luigia Sorrentino.

Ringrazio Jacob Blakesley, (lui sa perché) e Alessandro Bellasio.

Iperione, la caduta

nulla può crescere e nulla
può così perdutamente dissolversi
come l’uomo.

(F. Hölderlin, Iperione)

 

LA LETTURA IN TEDESCO DI SEBASTIAN REIN

 

Coro 1

tutto stava su di lei
e lei sosteneva tutto quel peso
e il peso erano i suoi figli
creature che non erano ancora
venute al mondo
lei stava lì sotto e dentro

questa pena l’attraversava ancora
quando venne meno qualcosa

le acque la accolsero

e quando si avvicinò alla costa
della piccola isola ancora tutti
portava nel suo grembo

Hyperion, der Fall

Es kann nichts wachsen
und nichts so tief vergehen,
wie der Mensch.

(F. Hölderlin, Hyperion)

Chor 1

alles lag auf ihr
und sie trug all das Gewicht
und das Gewicht waren ihre Kinder
Kreaturen, die noch nicht
auf die Welt gekommen waren
sie lag da, darunter und darinnen

dies Leid durchfloss sie von Neuem
ils immer etwas schwand

die Wasser umschlossen sie

und beim Nahen der Küste
der kleinen Insel trug sie alle
im Schoß

Coro 2

c’è una notte arcaica in ognuno di noi
c’è una notte dalla quale veniamo
una notte piena di stupore
quella perduta identità dei feriti
si popola di volti,
quell’abbraccio mortale

in un tempo sospeso tra mente e cuore
mai la notte fu così stellata

gettati in mare ingoiarono acqua
e pietre, e strisciarono sulla sabbia
e furono in totale discordia
ebbero passi pesanti
e sparirono, sottoterra

il cenno si dissolve
da sé cade il fragile umano
frutto effimero, del mortale Continua a leggere

Paul Celan, poesia, esistenza e verità

Paul Celan

COMMENTO E TRADUZIONE DI ALESSANDRO BELLASIO

Tesa, lampeggiante, cesellata fino all´estremo e di volta in volta incandescente o raggelata, ipnotica o allarmante, quella di Paul Celan (1920 – 1970) è una poesia che accade in uno spazio mitico, turbato da uno spettro di luce siderale, dove tutto appare come attraverso la propria filigrana ontologica, in forma di emblema e di cifra.
Della vasta produzione di uno dei più grandi lirici del novecento, proponiamo alcuni brevi, folgoranti testi attinti da raccolte diverse, ma nei quali comune e decisiva è la ricerca sul senso della parola e sull’indissolubile intreccio tra poesia, esistenza e verità.

(Traduzioni di Alessandro Bellasio)

Mit wechselndem Schlüssel
schließt du das Haus auf, darin
der Schnee der Verschwiegenen treibt.
Je nach dem Blut, das dir quillt
aus Aug oder Mund oder Ohr,
wechselt dein Schlüssel.

Wechselt dein Schlüssel, wechselt das Wort,
das treiben darf mit den Flocken.
Je nach dem Wind, der dich fortstößt,
ballt um das Wort sich der Schnee.

Con alterna chiave
tu apri la casa dove
vortica la neve delle cose taciute.
A seconda che il sangue ti sgorghi
da occhio o da bocca o da orecchio,
cambia la tua chiave.

Cambia la tua chiave, cambia la parola,
cui è concesso vorticare tra i fiocchi.
A seconda del vento che via ti sospinge
intorno alla parola si fa più fitta la neve.

(da Von Schwelle zu Schwelle, Di soglia in soglia, 1955)

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Adam Zagajewski, “Prova a cantare il mondo storpiato”

Adam Zagajewski

COMMENTO DI ALBERTO FRACCACRETA

Lirica originariamente concepita per descrivere la desolazione della provincia di Leopoli — città in cui Zagajewski è nato ma che ha rivisto soltanto dopo molti anni, durante un viaggio con suo padre —, ottenne un ampio riscontro di critica e di pubblico in America, l’indomani dell’attentato alle Twin Towers. Tradotta da Clare Cavanagh, uscì sul «New Yorker» pochi giorni dopo l’11 settembre. Secondo Valentina Parisi, Prova a cantare il mondo storpiato è «un punto di snodo tra la sua mitologia personale legata all’immagine remota di Leopoli […] e una disponibilità sempre crescente a misurarsi col mondo contemporaneo». In Zagajewski, infatti, i continui richiami alle dolcezze del ricordo si mescolano ai duri avvertimenti del presente, lasciando intravedere il valore implicitamente civile (in senso metafisico, dunque) della letteratura, quale emblema di una resistenza interiore, individuale contro il potere disgregatore delle cose. In queste settimane di emergenza, la poesia suona nuovamente come un invito alla speranza rivolto alternativamente a sé stessi e agli altri attraverso un “tu metaforico”: cantare il mondo storpiato significa non dimenticarsi degli attimi di estasi vissuti nei tempi di pienezza («Ricorda di giugno le lunghe giornate/ e le fragole, le gocce di vin rosé»). Anche nella sofferenza, quando le foglie roteano «sulle cicatrici della terra» e il tordo perde la sua «penna grigia», anche quando i profughi non sanno dove andare e i carnefici cantano vittoria, proprio in quegli istanti — nel momento in cui «tutto pare incarbonirsi», direbbe Montale — è ancora possibile ripensare al grande canto, all’amabilità dell’esistenza, alla «luce delicata» che si perde e «ritorna». La realtà mutilata è segno in negativo di una bellezza perduta alla quale siamo chiamati e destinati. Ancora una volta, anche nel dolore.

LEGGI QUI L’INTERVISTA A ADAM ZAGAJEWSKI REALIZZATA DA LUIGIA SORRENTINO IN OCCASIONE DEL CONFERIMENTO AL POETA DEL PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA CIVILE CITTA’ DI VERCELLI (OTTOBRE 2019)

Spróbuj opiewać okaleczony świat

Spróbuj opiewać okaleczony świat.
Pamiętaj o długich dniach czerwca
i o poziomkach, kroplach wina rosé.
O pokrzywach, które metodycznie zarastały
opuszczone domostwa wygnanych.
Musisz opiewać okaleczony świat.
Patrzyłeś na eleganckie jachty i okręty;
jeden z nich miał przed sobą długą podróż,
na inny czekała tylko słona nicość.
Widziałeś uchodźców, którzy szli donikąd,
słyszałeś oprawców, którzy radośnie śpiewali.
Powinieneś opiewać okaleczony świat.
Pamiętaj o chwilach, kiedy byliście razem
w białym pokoju i firanka poruszyła się.
Wróć myślą do koncertu, kiedy wybuchła muzyka.
Jesienią zbierałeś żołędzie w parku
a liście wirowały nad bliznami ziemi.
Opiewaj okaleczony świat
i szare piórko, zgubione przez drozda,
i delikatne światło, które błądzi i znika

Prova a cantare il mondo storpiato

Prova a cantare il mondo storpiato.
Ricorda di giugno le lunghe giornate
e le fragole, le gocce di vin rosé,
e le ortiche implacabili a coprire
le dimore lasciate dagli esuli.
Devi cantare questo mondo storpiato.
Hai visto navi e yacht eleganti
Alcuni dinanzi avevano un lungo viaggio,
ad attendere altri era solo il nulla salmastro.
Hai visto i profughi andare da nessuna parte,
hai sentito cantare di gioia i carnefici.
Dovresti cantare il mondo storpiato.
Ricorda quegli attimi in cui eravate insieme
e la tenda si mosse nella stanza bianca.
Torna col pensiero al concerto, quando esplose la musica.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie roteavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo storpiato
e la penna grigia perduta dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce
e ritorna.

(Traduzione di Valentina Parisi, in Adam Zagajewski, Prova a cantare il mondo storpiato, Interlinea 2019) Continua a leggere

Poesie scelte di Gillian Clarke

Gillian Clarke

Quince

I planted a quince for her, completing the ellipse
of fruiting trees – plum, apple, an apricot
grown from a stone – for its colour and grace.
But six weeks after her death, it’s not the bitterness
of quince that has me by the throat again,
but the acer tossing its red hair
under the running skies of May,
the tree whose leaves she untangled
with hands that untangled my hair.

Cotogno

Le piantai un cotogno, completando l’ellisse
di alberi da frutta – susino, melo, un albicocco
nato da un nocciolo – per il suo colore e la sua grazia.
Ma sei settimane dopo la sua morte, non è l’amaro
della cotogna che mi prende ancora alla gola,
ma l’acero che scuote la sua chioma rossa
sotto i rapidi cieli di maggio,
l’albero a cui lei districava le foglie
con mani che a me districavano i capelli. Continua a leggere