Sergio D’Amaro, “Il ponte di Heidelberg”

Sergio D’Amaro

COMMENTO DI ALBERTO FRACCACRETA

 

Il ponte di Heidelberg di Sergio D’Amaro uscì in prima edizione nel 1990. Riappare oggi nell’elegante traduzione americana di Cosma Siani, scorciata di qualche componimento. Ambientata in Germania, la silloge consta di trenta poesie-lettere (quarantanove in origine) rivolte a un fantomatico Friedrich, complice di un itinerario filosofico-esistenziale che l’io lirico elegge a principium essendi muovendosi, come il protagonista delle Notti bianche, nello spazio trasognato di un’«età vergine». La lirica ‘dialogica’ — per utilizzare una terminologia bachtiniana — di D’Amaro rivela una Spannung espressiva fatta di nominalismo acceso (molti gli autori citati), di un linguaggio aperto a prestiti e soluzioni ironiche («my sweet home, my sweet love/ mea capsa, mea maxima capsa»), di un magistero letterario da impartire all’amico. Magistero che funziona come estremo testamento, dono, volontà, varco in cui l’elemento liquido che compone l’umano (la parola ‘acqua’ è il semantema fondamentale del libro) produce al contempo la condanna e lo scampo del destino (la necessità montaliana e il ‘miracolo’): «Vado così senza passato verso le acque del fiume/ e guardo attentamente i riflessi di ogni singola onda./ Da essa può trasparire/ il sintomo di un attimo eterno/ o l’insensata corsa degli orologi all’ultima foce». Il ponte di Heidelberg, in questa versione riveduta, presenta ancora un dettame ricco e un piglio tonale tra i più interessanti della poesia fin de siècle.

ESTRATTI

Da The Bridge of Heidelberg

 

16

 

Ti mando un pacco di traduzioni

da Rousseau e Stendhal.
Capirai il perché della spedizione

a lettura ultimata.

Non chiedere perciò anticipi sull’anima degli autori

e sulla verità irrefutabile di quei testi.
Citerai certo Agostino
e non importa se cadrai in questa tentazione.

L’importante è riflettere

sulle linee parallele della vita
sulla certezza della nascita
e su come uscire dopo la festa dalla folla. Continua a leggere

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“Nell’aria del mattino”, Giulia Napoleone e Elio Pecora

C O M U N I C A T O     S T A M P A

Mercoledì 10 novembre 2021, alle ore 17.30, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea presentazione del libro d’artista Nell’aria del mattino (frammenti di un prologo), poesie di Elio Pecora e pastelli originali di Giulia Napoleone, nuova pubblicazione in trentacinque esemplari delle Edizioni del Bulino, corrispondenti ad altrettanti pezzi unici.

In uno scritto dello scorso anno Elio Pecora ha fatto una vera e propria dichiarazione di poetica: “Può la poesia sgominare ogni regola, ogni attesa. La vorresti altera, sommessa e ti si mostra accesa, eccessiva. La pratico e la frequento dalla prima adolescenza, anzi dalle scuole elementari quando andavo alla cattedra e ripetevo a memoria rime avvolgenti e versetti che chiamavano Dio e l’universo. M’è accaduto di trovarla nei primi poemi e dentro libretti consunti. L’ho vista sontuosa e lacera, spietata e tenera. E sempre al di là delle frasi, dei suoni, delle parole in cui pareva rinchiusa: invece ne usciva per dire altro, per accennare a un mistero, per valicare il niente e provarsi viva e presente. Ho imparato, ma con così poca consapevolezza, che poteva apparire laddove il buio era più fitto e fosse cancellata ogni ragione. Di quanti lacci e pretese e attese bisognava liberarsi anche solo per scorgerla?”

Giulia Napoleone, a sua volta, ha scritto: “Un aspetto non occasionale del mio lavoro è da sempre l’esecuzione di libri. Ne ho realizzati con incisioni, a tiratura limitata, con linguaggio ridotto al dialogo fra due estremi, bianco- nero, luce-ombra. Ma la mia vera passione è stata da sempre l’esecuzione materiale di libri manoscritti, con varietà di formato e soggetti, di cui curo testi, immagini, frontespizio, colophon e copertine e a cui dedico un tempo considerevole.

La predilezione dell’esemplare unico scandisce i miei tempi di lavoro e l’esecuzione di tanti manoscritti, quelli stessi che oggi sono all’Istituto Centrale della Grafica di Roma o alla Biblioteca Cantonale di Lugano, mi ha consentito di progredire e ha permesso al pensiero di prendere forma, perché ha messo a posto dentro di me desideri e sentimenti”. Continua a leggere

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Gabriella Musetti, da “Un buon uso della vita”

Gabriella Musetti

le storie sono all’inizio
tutte uguali
nasci da un ventre aperto
dal buio vedi la luce
ma subito la storia cambia
secondo il luogo lo status
il modo e l’accoglienza
non c’è una regola prescritta
uguale a tutti
ognuno trova a caso la sua stanza
chi bene – felice lui o lei – chi
con dolore

***

è morta questa mattina è morta
ma non si è accorta di morire
rideva come una bambina
su un prato in primavera
rideva anche di sera (e pure di mattina)
– s’è messa in salvo – qualcuno dice
volata via sopra una rondine
un po’ di soppiatto un po’ per avveduta
consolazione – la scelta unica rimasta
quasi sicura

***

era morta con la luna storta
era morta sopra un cuscino estraneo
di un vicino fuori della sua casa
come faceva a spiegare
a chi gliel’avesse chiesto
che era uscita in giardino
solo a fumare una sigaretta
scavalcata la finestra s’era trovata
nella casa buia decisa
a seguire il suo destino?

***

lei (invece) era morta di notte
tra le botte della sera e quelle del mattino
s’era sottratta all’impeto
alla colpa perfino alla desolazione
e la solitudine che la penetrava
non dava godimento alcuno

***

era morta mentre sedeva in classe
prima della lezione d’italiano
s’era spenta come una lampada
accasciata sullo sterno senza un sospiro
senza avvedersene
e anche i giovani entranti
la guardavano appena
come dormiente Continua a leggere

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Odisseas Elitis, Poesie

Odisseas Elitis

Elena

Uccisa con la prima goccia della pioggia l’estate
Madide le parole un tempo madri a chiaro d’astri
Parole tutte destinate solo a Te!
Dove mai tenderemo le mani ora che il tempo non ci calcola più
Dove mai getteremo gli occhi oramai che le remote linee
hanno fatto naufragio nelle nubi
Ora che le tue palpebre sopra i nostri paesi sono chiuse
E siamo – come invasi dalla nebbia – soli
Soli assediati dalle tue sembianze morte.

Con la fronte sul vetro vegliamo il nuovo cruccio
Non è la morte che ci abbatterà se ci sei Tu
Se un vento altrove c’è che tutta intera ti vivrà
Ti vestirà da presso come la speranza nostra ti veste da lontano
Se altrove c’è
Una pianura verde di là dal tuo sorriso fino al sole
E gli confida che c’incontreremo ancora
Non è la morte che fronteggeremo no
Ma così breve goccia della pioggia d’autunno
Un sentimento torbido
L’odore della terra infradiciata nelle anime nostre che s’allontanano via via

Se non è la tua mano nella nostra
Se non è il sangue nostro nelle vene dei tuoi sogni O la luce nel cielo immacolato
E dentro noi la musica segreta – malinconica
Pellegrina di tutto ciò che ci tiene al mondo ancora
È quest’umido vento l’ora dell’autunno il distacco
L’amaro appoggio del cubito al ricordo
Che spunta quando già la notte sta per scinderci dal chiaro
Di là dalla finestra quadra
Che guarda sull’angoscia e nulla vede
Perché s’è fatta musica segreta vampa al focolare bàttito
dell’orologio grande alla parete
Perché s’è già cangiata
In poesia – verso su verso – in suono parallelo a pioggia lacrime parole
Altre parole eppure anch’esse destinate solo a Te!

*

La Passione

Salmo II

Lingua mi diedero greca,
povera casa sui lidi d’Omero.
La lingua mi fu l’unica cura sui lidi d’Omero.
Ivi la perca e il sarago
ventosi verbi
verdi correnti nell’azzurro
e ciò che vidi accendersi nei visceri
spugne, meduse
con le prime parole di Sirene
conchiglie rosa con le prime strie di nero.
La lingua mi fu l’unica cura con le prime strie di nero.
Ivi cotogne, melagrane
e bruni iddii, cugini e zii
l’olio che si vuotava nelle botti immense
aliti dalla correntìa fragranti
di giunco e di lentischio
di ginestra e di zenzero
coi primi zirli dei fringuelli;
salmodie dolci con i primi Gloria Patri.
La lingua mi fu l’unica cura con i primi Gloria Patri!
Ivi palme ed allori
l’incenso vaporante
benedicente spade e carabine.
Sul terreno – un ammanto di vigneti –
nidore, brindisi di uova
Cristo è risorto
coi primi botti degli spari greci.
Mistici amori con l’incipit dell’Inno.
La lingua mi fu l’unica cura con l’incipit dell’Inno!

Odisseas Elitis, Poesie, a cura di Filippomaria Pontani, traduzioni di Filippo Maria Pontani, Filippomaria Pontani e Nicola Crocetti, Crocetti/Feltrinelli.

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Carlo Carabba, da “La prima parte”

Carlo Carabba


a mio padre

Prenderò forse un giorno questo treno
su cui, da molto tempo,
non sarò più salito. Sempre
lo stesso viaggio, i monti da una parte
di là il mare. Non mi starai aspettando
a Pietrasanta dove ti vedevo
dallo scompartimento che fumavi.
Di solito però il treno era un altro
dalla stazione a casa
la camminata breve, il carico
leggero. Era Firenze
e i muri così grigi, e i tetti così chiusi
e l’Arno aperto. Sono in ritardo mangio
Il pranzo riscaldato chiacchieriamo,
e ogni parola tace
più di quanto non dice
costretta nello sforzo di coprire
la cadenza romana
che a Roma, spesso, accentuo,
la domenica guardiamo la partita
la vedo, normalmente,
sdraiato sul mio letto o sul divano
senza di te, lontano.
Il desiderio di essere a tua immagine
e somiglianza
l’amore, a volte l’odio la paura
d’esserti figlio sotto condizioni
riceverò il tuo affetto solamente
se ti sarò piaciuto.
Per te, forse, lo stesso.
Mi venivi a trovare da bambino:
era il giorno del primo dei ricordi,
siamo andati allo zoo, ridevi
e mi sporgevi verso
La vasca degli orsi polari –
qualcuno ci ha fatto una foto.
Con te portavi doni
giochi pupazzi e qualche scatto d’ira
che più tardi ho imitato. Noi a Firenze
ancora e adesso è notte, la cucina
la scopa a nove carte, tradizione
di famiglia giocasti
col nonno che ho conosciuto appena
la notte prima dell’operazione.
Parli della tua vita, va il mio sguardo
sulla tovaglia a quadri azzurri
e bianchi, ascolto la tua voce
che mi racconta storie, padre a figlio.

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