Cees Nooteboom, “L’occhio del monaco”

Cees Nooteboom at Cologne, 2011/Cees Nooteboom a Colonia, 2011

Tredici, numero della nebbia,
lo smarrire direzione, la strada
per l’edificio abbandonato,
il luogo della danza,

tenersi per mano, poi sedere
a lungo e aspettare, cos’è la sera,
di chi è il corvo, di chi è la tartaruga,
il fuoco in lontananza?

Non rispondere è sempre una risposta,
la carpa diventa poi una balena,
il piccolo diventa grande
e accudisce il piccolo

finché morte non sopravviene.

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Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943


Nel pomeriggio di lunedì 28 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, la famiglia Debenedetti e la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma organizzano un incontro dedicato al racconto 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti, che descrive la tragica storia della deportazione di migliaia di ebrei dal ghetto di Roma. L’incontro sarà quindi l’occasione per discutere di uno dei più importanti critici letterari italiani del Novecento ma anche un modo per ricordare una delle pagine più terribili della nostra storia più recente. Durante l’incontro verranno esposte alcune prime edizioni di 16 ottobre 1943, tra cui l’esemplare postillato da Elsa Morante. Infatti il libro di Debenedetti fu una fonte primaria per la scrittura del romanzo La Storia. Continua a leggere

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Maurizio Cucchi, “Sindrome del distacco e tregua”

Maurizio Cucchi, per gentile concessione dell’autore

Sono qui, vicino al ponticello delle sirenette
e guardo curioso il laghetto nel parco. Eccomi
così tornato alle notizie della materia più impalpabile
che ospita e alimenta un pullulare sparso
che rassomiglia a noi, microrganismi
senza volto sociali.

Da Sindrome del distacco e tregua, di Maurizio Cucchi, Mondadori 2019

 

Dalla quarta di copertina  

Accanto all’affabilità e alla pastosità porosa del mondo com’è, si accentua in questa nuova raccolta di Maurizio Cucchi un predicato di frugalità: abito mentale dell’io, ma soprattutto medium per umanizzare la realtà. Sindrome del distacco e tregua si suddivide in otto parti, prive di trama lineare, ove conta «l’insistere virtuale sulla scena / la rapsodia sparsa e sempre minuziosa / delle circostanze». Emblema di poetica implicita, tale sigla rimanda a una compattezza intonativa e di sguardo che si avvale – più che in passato – di modalità davvero sperimentali di scrittura e d’espressione: alla polifonia e drammaturgia metrico-prosodiche di cui Cucchi è maestro si aggiungono qui stacchi in prosa tutti funzionali, oltre a due fotografie pienamente empatiche a un libro magnifico, struggente, necessario. Cronotopo è l’atlante (fisico e interiore), che permette di trascorrere dall’ucraina Pryp’jat’ (a tre Km da Černobyl’) a una Nizza amata e frequentata e alla natìa Milano, messa in emblema dalla centralità del Cenacolo di Leonardo fino ai margini delle sue banlieue, ripercorse attraverso la memoria di un libro in prosa per Cucchi fondamentale come La traversata di Milano (2007): omaggio ai mèntori della sua formazione , Sereni e Raboni. Il tempo di Sindrome del distacco e tregua è invece quello vertiginoso che salda insieme le epoche, dalla preistoria al Quattro e Seicento, fino ai brucianti fotogrammi del presente. Così può librarsi, questo Cucchi ispiratissimo, nella meraviglia aperta di una frugale quotidianità anonima.

Alberto Bertoni

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Il ritorno in Italia di Etel Adnan

Etel Adnan, 2014. Foto di Patrick Dandy. Per gentile concessione di White Cube.

La scrittrice libanese è una delle voci di maggiore intensità nel panorama internazionale

di Francesco Guazzo 

L’editore genovese San Marco dei Giustinani ha recentemente pubblicato nella splendida collana dei “Quaderni di poesia” la traduzione italiana di Night (Notte) di Etel Adnan (New York, Nightboat Books, 2016), una delle più recenti raccolte poetiche della scrittrice e artista di natali libanesi.

Adnan è forse ancora poco nota nel nostro paese, nonostante alcune opere siano state tradotte già da tempo nella nostra lingua: la piccola casa editrice Multimedia ha proposto a cavallo degli anni Duemila Nel cuore del cuore di un altro paese (che potremmo definire un insieme di frammenti poetici), la sintetica biografia Crescere per essere scrittrice in Libano e Viaggio al Monte Tamalpais, una sorta di percorso insieme fisico ed estetico sorretto da un inesauribile senso di meraviglia e una concezione rituale e quasi magica della natura. Jouvence ha invece pubblicato Ai confini della luna ed altri racconti (1995), mentre l’editore romano Semar ha dato alle stampe nel 2001 l’Apocalisse araba, forse il testo più universalmente noto di Adnan, con traduzione e presentazione di Toni Maraini.

Adnan però era comparsa ben prima nei nostri annali della stampa: già nel 1979 le Edizioni delle donne di Milano, di orientamento femminista, avevano infatti offerto la traduzione del romanzo Sitt Marie Rose. Continua a leggere

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Julian Zhara, da “Vera deve morire”

Julian Zhara

Nella lingua dei tuoi antenati
la parola amore se esiste è letteraria,
in mezzo ai campi si fa altro, in amore
è la patata che si squaglia, un raccolto
impazzito, è in amore un uomo che sbanda,
il bestiame che non obbedisce;
bastava allora il voerse ben.

Nella lingua dei miei antenati,
preti, ufficiali e mercanti,
l’amore viene versato altrove
e se avanza, all’amata – bisogna quindi, disporne;
e ridiamo di quanta zavorra e detriti
trascina dietro di sé la parola amore.

Nel sonno mi dici un po’ dopo, parli tanto
e che dico?, chi ti capisce, parli albanese
mos ikë, mos ikë, mentre ti blocchi
nel disegno del tappeto, të dua, pa ty
parli un tono più giù, tra un mese kam frikë
me kupton, po ti? Continuare così non ha senso,
se ieta eshte varrë, resto ancora qualche giorno
poi me thyenë kurrizin me këto fjalë, më shkatërronë,
non solo screzi, lo sappiamo, mos flitë më
ma ci sentivamo ancora, rastësishtë, gli auguri
magari mi vieni a trovare, magari è solo un sogno,
tra poco mi sveglio, jo, tani  je e lirë,
tra poco arriva il momento
di andare a dormire.

Julian Zhara, da “Vera deve morire”, Interlinea, 2018

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