Anna Elisabetta Raffin, i migranti della Val Rosandra

Senza Corpo è un progetto fotografico di Anna Elisabetta Raffin sul fenomeno migratorio lungo la rotta balcanica..

Anna Elisabetta Raffin, da sempre interessata al tema dei migranti, ha voluto realizzare un progetto artistico fotografico intitolato – Senza Corpo– con l’intento di attirare l’attenzione sul problema e anche per aiutare l’associazione Linea d’Ombra di Trieste  con la quale è in contatto, associazione di volontariato che fa un lavoro improbo, invisibile ai più. È andata in un bosco della val Rosandra, dove appunto arrivano i migranti dalla rotta balcanica e ha raccolto vestiti e oggetti lasciati da questi prima di entrare in città (si cambiano per non essere riconosciuti). Li ha poi portati a casa e fotografati secondo l’ottica del progetto: prodotti di consumo in un sito dall’apparenza di un e-commerce, con relativo pulsante d’acquisto.

La contrapposizione tra il mondo asettico del consumismo e la realtà tragica di queste persone vuole mettere in evidenza le contraddizioni di una società che vive in una bolla di benessere, professando grandi valori e diritti, i quali hanno, però, una resistenza morale solo fino ai confini del paese.

“L’assenza del corpo non è solo un richiamo al corpo umano che ha indossato quegli abiti (…) ma è soprattutto un’allusione al corpo privato di valore umano, di diritti e di ruolo sociale.

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Il sogno di vivere di Mario Benedetti

L’ultima foto di Mario Benedetti postata sul suo profilo di facebook, nell’estate 2014

di Fabrizio Fantoni

Sta solo fermo nella tosse.
Un po’ prende le mani e le mette sul comodino
per bere il bicchiere di acqua comprata,
come tanti prati guardati senza dire niente,
tante cose fatte in tutti i giorni.
Intorno ha una cassettiera con lo specchio,
due sedie scure, un armadio, l’incandescenza minuscola di una stufa.
Dei centrini, la stampa di una natività con il rametto di ulivo,
un taccuino, dei pantaloni, delle cose sue.
Davanti il cielo che è venuto insieme a lui,
gli alberi che sono venuti insieme a lui. Forse una ghiaia di giochi
e dei morti, che sono silenzio, un solo grande silenzio, un silenzio di tutto.
A volte l’acqua del Cornappo era una saliva più molle,
un respiro che scivolava sui sassi.
A volte tutto era l’uccellino del freddo disegnato sul libro di lettura
vicino a una poesia scritta in grande da imparare a memoria.
A volte niente, venire di qua a prendere il pezzo di cioccolato
e la tosse, quella maniera della luce di far tremare le cose,
gli andirivieni, il pavimento stordito dallo stare male.

La prima impressione che offre questa poesia Per mio padre, tratta da Umana gloria (Mondadori, 2004) è di sfogliare un vecchio album di fotografie, lasciato abbandonato da qualche parte , e poi ritrovato.

I paesaggi, le case, gli interni delle stanze dove si consuma l’intimità familiare, gli oggetti della vita quotidiana, si dispiegano sulla pagina  come su una scena, convocati dal poeta in una dimensione fuori del tempo e del reale e si fanno, nello spazio della poesia, “fiaba” intesa come dimensione della bellezza sul punto di scomparire, della grazia per un attimo intravista e poi persa, proprio come le apparizioni trascoloranti che popolano le storie.

Si racconta che il faraone Micerino, essendo condannato dagli dèi a vivere una vita breve, decidesse di illuminare con migliaia di fiaccole i suoi palazzi e i suoi giardini in modo da trasformare le notti in giorno ed avere la percezione di vivere più a lungo.

Questa è la metafora più bella del poeta perché, del resto, cosa fa il poeta se non cercare di trattenere, quanto più possibile, quel poco che gli è dato di vivere?

Mario Benedetti, di certo, va in questa direzione,  ponendosi, tuttavia, ad una “distanza”dalle cose – la distanza propria del sopravvissuto, di chi può narrare ciò che è stato prima del naufragio- che gli permette di  imprimere all’oggetto della sua rievocazione un carattere simbolico che si fa specchio di un paesaggio metafisico interiore in cui l’essere umano appare costantemente sul punto di dissolversi:

“solo qui sono, nel tempo mostrato, per disperdermi” Continua a leggere

Matteo Basilé & Corrado Sassi

Matteo Basilé

Doppia personale fotografica degli artisti Matteo Basilé e Corrado Sassi, “Other Places”, che inaugurerà a Napoli il 18 maggio 2017, alle ore 19, negli spazi di Intragallery, Via Cavallerizza a Chiaia 57, con la presenza degli artisti.

Il titolo scelto per la mostra, “Other  Places”, invita lo spettatore verso luoghi altri, evocando visioni di realtà immaginate.

Entrambi gli artisti si esprimono attraverso la fotografia; Basilé progetta accuratamente la sua visione, prevedendo con esattezza gli elementi che restituiranno il suo racconto, mentre Sassi ha un approccio più istintivo: fotogrammi da lui raccolti in velocità, vengono poi sovrapposti, per creare una suo ideale luogo altro. Continua a leggere