Piero Bigongiari (1914-1997)

Piero Bigongiari

Pescia-Lucca

Ho vissuto
nelle città più dolci della terra
come una rondine passeggera.
Lucca era
un nido difficile tra le vigne
impolverate in fondo a bianche strade,
donde sarebbe traboccata
con ali troppo folli
pe’ tuoi cieli molli, Toscana,
antica giovinezza.
Malcerta ebbrezza, malcerta infanzia
lungo le case di Lunata
sfiorate in tram accanto al guidatore,
la morte è questa
occhiata fissa ai tuoi cortili
che una dice sorpresa
facendosi solecchio dalla soglia :
è nata primavera,
sono tornate le rondini.

Piero Bigongiari, da Le Mura di Pistoia, Mondadori, 1989. Continua a leggere

Derek Walcott, da “Mappa di un nuovo mondo”

Derek Walcott

A wind is ruffling the tawny pelt
Of Africa. Kikuyu, quick as flies,
Batten upon the bloodstreams of the veldt.
Corposes are scattered through a paradise.
Only the worm, colonel of carrion, cries:
«Waste no conpassion on these separate dead!».
Statistics justify and scholars seize
The salients of colonial policy.
What is that to the white child hacked in bed?
To savages, expendable as Jews?

Threshed out by beaters, the long rushes break
In a white dust of ibises whose cries
Have wheeled since civilization’s dawn
From the parched river or beast-teeming plain.
The violence of best on beast is read
As natural law, but upright man
Seeks his divinity by inflicting pain.
Delirious as these worried beasts, his wars
Dance to the tightened carcass of a drum,
While he calls courage still that native dread
Of the white peace contracted by the dead.

Again brutish necessity wipes its hands
Upon the napkin of a dirty cause, again
A waste of our compassion, as with Spain,
The gorilla wrestles with the superman.
I who am poisoned with the blood of both,
Where shall I turn, divided to the vein?
I who have cursed
The drunken officer of British rule, how choose
Between this Africa and the English tongue I love?
Betray them both, or give back what they give?
How can I face such slaughter and be cool?
How can I turn from Africa and live?

Derek Walcott

Un vento scompiglia la fulva pelliccia
Dell’Africa. Kikuyu, veloci come mosche,
Si saziano ai fiumi di sangue del veld.
Cadaveri giacciono sparsi in un paradiso.
Solo il verme colonnello del carcame, grida:
«Non sprecate compassione su questi morti separati!».
Le statistiche giustificano e gli studiosi colgono
I fondamenti della politica coloniale.
Che senso ha questo per il bimbo bianco squartato
nel suo letto?
Per selvaggi sacrificabili come Ebrei? Continua a leggere

Giòrgos Sefèris (1900 – 1970)

Giòrgos Sefèris

Il mare in fiore, i monti nella luna menomante
la grande rupe accanto ai fichi d’India e agli asfodeli
l’orcio che non voleva asciugarsi alla fine del giorno
e quel letto serrato là vicino ai cipressi e i tuoi capelli
d’oro, gli astri del Cigno e Aldebaran.
Ho serbato la mia vita, ho serbato la mia vita viaggiando
tra piante gialle nel rovescio della pioggia
su taciti versanti sovraccarichi delle foglie di faggio,
senza falò sul vertice. Fa sera.
Ho serbato la mia vita: sulla tua mano sinistra una linea,
sul tuo ginocchio un segno: ci saranno
sulla sabbia dell’altra estate, ci saranno
ancora, là dove soffiò la tramontana
mentre sento d’attorno al lago ghiaccio
questa lingua straniera.
Nulla chiedono i visi che vedo, né la donna
che incede curva col bambino al petto.
Salgo sui monti: valli annerite; la piana nevicata,
fino laggiù nevicata non chiede
nulla, né il tempo chiuso entro cappelle mute,
né le mani protese a cercare, o le strade.
Ho serbato la mia vita in un sussurro, dentro
l’illimitato silenzio
e non so più parlare né pensare: sussurri
come il respiro del cipresso quella notte,
come la voce umana del mare notturno
fra i ciottoli, o il ricordo della tua voce che diceva
«buona fortuna».
Chiudo gli occhi cercando il convegno segreto delle acque
sotto il ghiaccio, il sorriso del mare, i pozzi chiusi
palpando con le mie vene le vene che mi sfuggono,
dove mettono capo le ninfee e l’uomo che cammina
cieco sopra la neve del silenzio.
Ho serbato la mia vita, con lui, cercando l’acqua che ti sfiora:
gocce che cadono grevi sopra le foglie verdi, sul tuo viso
nel giardino deserto, sopra la vasca immota,
cogliendo un cigno morto nel bianco delle piume,
alberi vivi e i tuoi occhi sbarrati.
Questa strada non termina e non muta, anche se tenti
di rammentare gli anni d’infanzia, e chi partì
e chi sparì nel sonno, nelle tombe marine,
anche se brami di vedere i corpi amati reclinarsi
sotto le rame rigide dei platani, dove un raggio
nudo di sole s’è posato, e un cane
ha sobbalzato e un battito ha riscosso il tuo cuore,
questa strada non muta: ho serbato la mia vita.
La neve e l’acqua ghiaccia al passo dei cavalli. Continua a leggere

Alfonso Gatto, una poesia dedicata al padre

Alfonso Gatto

Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
– Com’è bella notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno – Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba. Continua a leggere

Philip Larkin, “I fili”

Philip Larkin

The wires

The widest prairies have electric fences,
For though old cattle know they must not stray
Young steers are always scenting purer water
Not here but anywhere. Beyond the wires

Leads them to blunder up against the wires
Whose muscle-shredding violence gives no quarter.
Young steers become old cattle from that day,
Electric limits to their widest senses.

Philip Larkin

I fili

Le praterie più estese hanno recinti elettrici,
perché se il vecchio bestiame è mansueto
i giovani manzi fiutano sempre l’acqua più pura
Non solo qui, ma ovunque. C’è il richiamo di un altrove

che li fa schiantare nel recinto
con una furia che lacera le carni, senza tregua.
Da quel giorno i giovani manzi iniziano a invecchiare,
barriere elettriche alla vastità dei sensi.

Traduzione di Giovanni Ibello Continua a leggere