A Milo De Angelis, nel giorno del suo settantesimo compleanno

Oggi 6 giugno 2021, è un giorno importante. Ricorre il settantesimo compleanno di uno dei maggiori poeti europei del nostro tempo: Milo De Angelis.

Auguri Milo, Buon Compleanno!

Lo rivedo così, ritratto in una foto a me particolarmente cara scattata da Giampaolo Lai che suggella il nostro primo incontro a Ortona, nel 1986.

Milo era di fronte a me. Era estate, l’estate di una  notte infinita. L’estate in cui restammo svegli e parlammo di poesia per tutta la notte.

Lo ricordo seduto, nello spazio immenso della poesia, nello spazio infinito di ciò che è eterno e che non avrà mai fine. 

Il libro che mi regalò era “Somiglianze” (Guanda, 1976). La dedica per me in calce al libro: “A Rò, per più di una vita”.

Rò, (Rhò, Rho), è il nome di un comune in provincia di Milano. Rò, un nome notevole per me, perché Rò non è solo uno dei comuni più antichi della Lombardia,  è anche un nome affettivo, che stabilisce un legame profondo e identifica l’unicità del “luogo” in sé, della persona, di ogni persona. E, per Milo De Angelis, – come leggerete nella poesia che segue – l’unicità fondatrice del “luogo” configura l’atto poetico,  il gesto atletico, il rito arcaico, antichissimo, che si ripete come un dovere esistenziale e originario: “per più di una vita”.

(Luigia Sorrentino)

 

La somiglianza

Era
nelle borgate, camminando in fretta
quell’assolutamente
oltre
che dai libri usciva nella storia
radendo le bancarelle, d’estate.
Domanderemo perdono
per avere tentato, nello stadio,
chiedendogli di lanciare un giavellotto
perché ritornasse l’infanzia.
Non si poteva
ma la somiglianza era noi
nell’immagine di un altro, ravvicinato, nel sole
volevamo trattenere il nostro senso
verso lui
in un gesto da rivivere: chi poteva sancire
che tutto fosse al di qua?

Prese la rincorsa, tese il braccio…

Da: Somiglianze, Milo De Angelis, (Guanda, 1976)

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Il segno e la poesia. 25 libri d’artista di Giulia Napoleone

Giulia Napoleone, Biblioteca cantonale di Lugano, 27 maggio 2021, in occasione della mostra “Il segno e la poesia. 25 libri d’artista”

A Lugano, nella Biblioteca cantonale da giovedì 27 maggio 2021 è in corso la mostra
Il segno e la poesia. 25 libri d’artista di Giulia Napoleone.

Il legame di un’antica amicizia lega la Biblioteca cantonale di Lugano a Giulia
Napoleone. L’artista è già stata infatti ospitata in passato in questi spazi con alcune
opere. Del resto, col suo lavoro di meditazione sulla pagina scritta e sulla parola, si
pone in linea perfetta con le scelte espositive dell’istituto che, negli ultimi anni,
mirano a indagare questo particolare aspetto della creatività.

Da queste considerazioni è nato il desiderio di collaborare in vista della realizzazione
di una mostra. Giulia Napoleone ha così appositamente creato per la Biblioteca
cantonale di Lugano 25 libri d’artista.

Giulia ha scelto una serie di poeti, inserendo in queste nuove meditazioni molti dei suoi consueti compagni di viaggio e numerosi altri amici, tra cui diversi ticinesi: Adonis, Annelisa Alleva, Antonella Anedda, Marco Caporali, Maria Clelia Cardona, Massimo Daviddi, Roberto Deidier, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Pietro Montorfani, Alberto Nessi, Elio Pecora, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Rocco Scotellaro, Luigia Sorrentino, Brunello Tirozzi, Maria Rosaria Valentini, Marco Vitale, Simone Zafferani.

Sono nati così gli splendidi libri d’artista, una collezione di opere che si distinguono per varietà di formato e soggetti, la cui unicità risiede principalmente nel fatto che Giulia Napoleone non ha soltanto realizzato le immagini, ma ha anche composto le pagine, individuato e trascritto i versi, scelto con cura gli elementi fisici – carta, matite, inchiostri… – che dovevano accompagnarla in questo lavoro. Questi elementi influiscono infatti in modo determinate sul risultato finale, non soltanto negli aspetti più evidenti, ma anche nei flussi più impercettibili che chiedono di essere riconosciuti da una osservazione più attenta.

Giulia Napoleone, manoscritto con tre disegni con poesie di Luigia Sorrentino tratte dall’edizione francese di Inizio e fine, (2016) Début et Fin, traduzione di Joelle Gardes, (Al Manar, 2018)

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Seamus Heaney, “Field Work”

Seamus Heaney, ph. Luigia Sorrentino – Roma, maggio 2013

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

 

L’espressione field work nella sua lingua originaria non evoca solo l’ambito georgico, ma sembra presupporre la ricerca scientifica «sul campo». Nel 1979 Seamus Heaney, dopo il graffio politico e metafisico di North (1975), manda alle stampe la sua quinta silloge (l’ultima in ordine di tempo pubblicata in Italia, ancora grazie alla cura generosa di Marco Sonzogni e Leonardo Guzzo), che segna un passaggio inderogabile all’interno della vicenda poetica ed esistenziale dell’autore irlandese: registra cioè con i dieci Sonetti di Glanmore, cuore pulsante dell’opera, il travagliato trasferimento (di un «émigré interno») da Belfast a Dublino, dall’Ulster all’Eire. Il «lavoro sul campo» si rende dunque tanto più necessario quanto più urgente: Heaney sente di dover conciliare la contemplazione all’impegno civile con un approccio lirico orientato sulle cose, prone e sicure, nel momento in cui il suo paese sta soffrendo una lacerante lotta intestina (sintomatica è la traduzione dell’episodio dantesco di Ugolino, posta in chiusura di libro).

Quali sono i temi principali della raccolta? «L’altezza della poesia — commenta Guzzo nell’introduzione —, la malinconia del ricordo, la memoria personale e familiare, l’amore carnale e spirituale (espresso con le metafore naturali, splendide e inconsuete, della lontra e della puzzola)». Così il sapore sapido delle ostriche che risveglia «al verbo, al puro verbo», l’isola «piena di rumori sconsolati», l’omphalos «invisibile» e «inviolato», il sorso d’acqua che ingiunge di ricordarsi del donatore, la giovane Musa gutturale («mentre la sua voce fluiva e sguazzava nel riso / mi sentivo un vecchio luccio ornato di piaghe / che sogna di nuotare lambendo vita dalla bocca tenera») sono segnali lampeggianti non della rivendicazione di un’unità algida e ideologica, bensì di un senso di appartenenza al reale, vischioso, terrigno.

Il tradurre — attività che impegna Heaney in quegli anni di profondo cambiamento e di un (problematico) ritiro-clausura nel mestiere di poeta — diviene lo strumento epistemologico a presa diretta con cui agguantare la sfuggente essenza del mondo, effettuare il transito di umanità («Vocali arate dentro altre: terra aperta. / Il febbraio più mite in vent’anni / è bande di foschia sopra i solchi, un non-suono profondo / vulnerabile al distante gargarismo dei trattori»). Anche l’amore coniugale, fatto di momenti di gaudio onirico («Tutto quanto ho di te è un bosco di betulle tra i lampi») e comprensibili incomprensioni («Lei calerebbe tutti quanti i poeti dentro il nono cerchio / e li aggancerebbe, denti nei crani, le lingue a lambire i cervelli»), è il luogo in cui testare le drenate e le arature della vanga — da sempre un Leitmotiv heaniano —, nel barbaglio lucido dell’istante («tregua sulle nostre roride facce sognanti») e nell’estatico confondimento di due nature in una («il terreno / germoglia e ti tinge / il dorso della mano come una voglia — / mia unica terra d’ombra, sei macchiata, macchiata alla perfezione»). Continua a leggere

L’ “Odissea” di Kazantzakis, evento on-line

Giovedì 20 maggio 2021 – 19:30

L’ “Odissea” di Kazantzakis – memory lane + anteprima (80′)

LINK PER DIRETTA VIDEO: https://youtu.be/MS3L729RQW0

La serata di oggi, 20 maggio 2021, organizzata dalla Casa della Poesia di Milano è a cura di Milo De Angelis.
Voce recitante: Viviana Nicodemo.
Sarà presente Nicola Crocetti.

In occasione della sua uscita in volume (Crocetti, 2020), riproponiamo la serata del 15 maggio del 2019, in cui Milo De Angelis presentava l’”Odissea” di Nikos Kazantzakis nella traduzione di Nicola Crocetti, che ha lavorato per molti anni a questo magnifico poema dello scrittore greco (autore tra l’altro di “Zorba il greco”) e ora finalmente è giunto al termine di questa impresa titanica.

L’”Odissea” di Kazantzakis, pubblicata per la prima volta nel 1938 e composta di 24 canti – come le lettere dell’alfabeto greco e come i poemi omerici – è ricchissima di invenzioni linguistiche e neologismi che hanno fatto disperare tutti i traduttori del mondo. Ma in compenso ci immerge in una scena epica grandiosa, rinnovando fin dalla radice il suo protagonista, Ulisse: tornato a Itaca e annoiato dalla monotona atmosfera del luogo, egli riprende il suo infinito viaggio e cerca un nuovo significato per la sua vita e per la nostra.
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Luisa Delle Vedove, “Nella consuetudine del tempo”

LUISA DELLE VEDOVE

I

un silenzio terso
muove dalle pietre
memorie e solitudini,
qui nel greto il vento ha suoni erosi
solo gli animali docili alle tane
si tengono stretti
al senso della pioggia

II

non posso dire delle foglie
dei giri ampi prima del cadere
di quel secco lieve sull’asfalto,
ho visto un ramo tremare
giovane nelle foglie
la luce metterlo in disparte,
come dire “è l’autunno”
ai gridi alti degli uccelli
anche se il morire
è in qualcosa di grande?

III

una nebbia come un’insonnia
si ripete ossessiva,
dico – taci, non chiamare altre voci!
ma la terra
– l’ora che cresce –
ha i passi sotterranei di tanti;
tra i rami
senza carne
si addensa un alito
dov’è lo sconosciuto? –
cosa vuole dirmi
con quell’alito
che si asciuga così in fretta?

IV

brulica ancora il giorno
tra le lontane case,
la sera nel dopo si posa
e il silenzio alla sua ultima riva
ne divide piccolo
e grande il mare,
dove picchi di roccia
aspettano nudi i venti

V

in questa notte disabitata
– in questo luogo –
guardo le luci accese:
non dureranno molto,
il buio qui è più denso
e sulla riva più stretta del giorno
non so quanto di sabbia rimane

VI

ora che l’invernale attanaglia
i fusti nudi dei pioppi,
nel petto la terra
con un gemito si dissoda
nelle braccia profondamente il fiume,
qui potrei morire
e non sarebbe violenza,
ma un dissolversi lento in polvere
e suono

VII

l’aria è ampia
piena di stelle,
le ultime mani tremule
sulle betulle
e il vento il vento…

– siamo qualche movimento verso il dopo
e già si muore
qualche movimento
e appena appena un poco –

oh, immensa notte
c’è come un pulsare d’eterno
in questo tacere delle cose
un’attitudine
e il tuo pulsare
ha salde tenebre

e dirti non basta

immensa e notte

immesa e notte!

 

 

 

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