E’ morto Giancarlo Majorino

Giancarlo Majorino

Lutto nel mondo della poesia. Se ne va Giancarlo Majorino, nato a Milano, il 7 aprile 1928. Poeta, insegnante e drammaturgo italiano è scomparso stamattina, nella sua città d’origine, Milano, all’età di 93 anni. E’ stato Presidente della Casa della Poesia di Milano, dal 2005, anno della sua costituzione, a oggi.

L’ultimo suo libro è stato pubblicato nel 2018, La gioia di vivere (Mondadori, Collana Lo Specchio) dalla quale è tratta la poesia che qui vi proponiamo.
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davvero bell chiaro troppo
di non so quanto
e soltanto chi sta sotto
potrà comprendere rivivere
sia Gesù sia Marx l’han detto

e poesie non notizie (dopo, dopo)
nonché’ l cervello di uno dei ceti medi
come qui può cominciare a scrivere
chi sta sopra non può dirigere niente
chi sta sotto potrebbe ma è assai difficile

ma poi quando un uomo grida aiuto
un uomo una donna una vecchia un bimbo
è come se il mondo si fermasse
case mute zitte finestre chiuse
tutto ciò parla o o urla o tace sale s’agita

 

Da: La gioia di vivere (Mondadori, 2018) Continua a leggere

L’ “Odissea” di Kazantzakis, evento on-line

Giovedì 20 maggio 2021 – 19:30

L’ “Odissea” di Kazantzakis – memory lane + anteprima (80′)

LINK PER DIRETTA VIDEO: https://youtu.be/MS3L729RQW0

La serata di oggi, 20 maggio 2021, organizzata dalla Casa della Poesia di Milano è a cura di Milo De Angelis.
Voce recitante: Viviana Nicodemo.
Sarà presente Nicola Crocetti.

In occasione della sua uscita in volume (Crocetti, 2020), riproponiamo la serata del 15 maggio del 2019, in cui Milo De Angelis presentava l’”Odissea” di Nikos Kazantzakis nella traduzione di Nicola Crocetti, che ha lavorato per molti anni a questo magnifico poema dello scrittore greco (autore tra l’altro di “Zorba il greco”) e ora finalmente è giunto al termine di questa impresa titanica.

L’”Odissea” di Kazantzakis, pubblicata per la prima volta nel 1938 e composta di 24 canti – come le lettere dell’alfabeto greco e come i poemi omerici – è ricchissima di invenzioni linguistiche e neologismi che hanno fatto disperare tutti i traduttori del mondo. Ma in compenso ci immerge in una scena epica grandiosa, rinnovando fin dalla radice il suo protagonista, Ulisse: tornato a Itaca e annoiato dalla monotona atmosfera del luogo, egli riprende il suo infinito viaggio e cerca un nuovo significato per la sua vita e per la nostra.
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Marco Corsi, “La materia dei giorni”

Marco Corsi / credits ph Dino Ignani

 

LA MATERIA DEI GIORNI

hoc animi demum ratio discernere debet,
nec possunt oculi naturam noscere rerum.
Lucrezio, De rerum natura IV, 384-385

fissavo l’ombra sul muro e per esercizio
contemplavo le forme disfarsi agili
lungo il filo delle mattonelle. così, per più giorni,
nervoso come il morso del nero
in parte obliquo e in parte solo cedimento
mio sembrava il tuo corpo di carne compatta,
soda, del tutto insensibile al tatto.
poi divenne più esile, allungato stremò
l’ovale del bel volto sulle tapparelle chiuse,
nel reparto intensivo all’ultimo piano
cedette la pressione, la poca luce
emise un breve rantolo e io docile fissavo
l’ombra più lunga sul muro e salutavo.

***

l’insalata, il grande verde, la cicoria:
ciò che la dieta avrebbe vietato
con insidioso bolo di molecole
a te, in realtà, non piaceva per natura.
preferivi la città, le piste di animali
elettrici, mormorando appena qualcosa,
subito dopo sparendo per sempre
nel perfetto meccanismo mobile
che fissa notte e giorno
con perizia di entomologo.

***

nei casi estremi da manuale di parenting
trova traccia questa commozione
di essere famiglia in tutte le cose,
dovendo o non dovendo decidere
se piangere con molta naturalezza
oppure concretare un non so che di bestia.
ora la signorina srotola con cura
serpi di nylon intorno al petto
mentre riduci il tuo sembiante
a voce di scimmia mattutina
nelle ore deputate alla visita
nella camera senza ritorno.

***

con effetto di falso movimento
di giorno in giorno moriva il giorno
rivoltando il cielo su se stesso
fino al limite dell’area d’azione:
un tiro da tre punti su stelle dure.
affiora più lento sul dorso della mano
l’universo caotico del tempo, con molti
molti crateri di tempeste siderali
portatrici di vita e adesso
cattivi presagi, asperità,
mentre con cura rivolto
l’avambraccio e vi scruto
la vita silenziosa delle vene,
qualche rado pelo, l’incendio,
la notte vaga bipolare.

***

fissavo l’ombra sul muro e intanto
guardavo te sparire con tutta la specie
umana dei cordogli, chiedendo un linguaggio
più prossimo alla vita: ossigeno, globuli
rossi, piastrine, colesterolo, enfisema,
cattivo presagio convulso nel respiro,
doglia di parto inverso, artificio.
ma ora che vegli appena nel gioco cordiale
di peso e sovrappeso, avresti dovuto
dimagrire un po’, ti ripetevi, per inerzia o noia
lento lento retrocedi affabulando, squittisci,
gli occhi di radice immobile in secca
nel languore del reparto, mentre perdi peso,
senza più peso, tu dormi. Continua a leggere

Le fragili esistenze di Milo De Angelis

NOTA DI LETTURA DI MASSIMILIANO MANDORLO

Lì, sulla linea di confine “tra la gioia e il grumo più buio”, si muovono le creature notturne del nuovo libro di Milo De Angelis. Qualcosa di oscuro e segreto preme dietro l’apparente ritmo più disteso di questi testi, irrompe sulla scena congiungendo la biografia terrestre a un respiro cosmico, universale: “Tutto è come sempre / ma non è di questa terra e con il palmo della mano / pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono / sulle rotaie”.

Tornano i luoghi familiari alla poesia di De Angelis: la Milano notturna dei tram e dell’Idroscalo, dei bar e della periferia con “l’infilata dei grattacieli che sembrano / una barriera corallina” e poi gasometri abbandonati, parcheggi e piscine, aule liceali dove si consumano “gloriose avventure terrestri”.

C’è nel gesto atletico, pindarico, dell’atleta sui blocchi di partenza o del tuffatore pronto per il salto una forza che illumina quel segmento di tempo e lo proietta nelle profondità di un altro tempo: “dovevo tornare / per un oscuro richiamo dei luoghi, per questo / rettangolo azzurro e per i suoi cinquanta metri […] per il tuffo /che illumina laggiù la piattaforma e il doppio avvitamento”.

Così, come in una sequenza cinematografica, in Sala Venezia l’occhio del poeta inquadra i passi al rallentatore di un uomo appena entrato in una sala da biliardo, si sofferma sui movimenti e sulle parole pronunciate, sul tavolo da gioco su cui va in scena l’attimo decisivo di una vita intera: “sorridi e ti acquieta il panno verde / come un prato dell’infanzia, ti acquietano i bordi / di legno che ora contengono il tuo evento / e la forza centripeta conduce l’universo / in un solo punto illuminato”. Il poeta se ne sta lì, come un mendicante o un eremita, a raccogliere “gli emblemi dell’inizio e della fine” come frammenti dispersi, linee intere o spezzate delle fragili esistenze che abitano il mondo.

Sono le linee di forza, continue o interrotte, che compongono il Libro dei mutamenti cinese, qui immagine e simbolo delle numerose vite che si agitano sospese “nel brivido del tempo”, ai bordi della vertigine.

È in questa spaccatura che abita la poesia di De Angelis, tra le ripetizioni e i continui andare a capo che frantumano il respiro del verso e lo tendono fino a un punto finale, assoluto: “e ora io mi fermo in un luogo / qualsiasi e lo riempio di purissima benzina, / la benzina che amavo da bambino ai distributori / della A7, e chiudo in ventidue metri quadrati / il mio episodio”.

Aurora con rasoio è il titolo dell’ultima, intensa sezione del libro in cui il poeta, navigando controcorrente, affronta un tema così controverso e innominabile come quello del suicidio.

Lontana da ogni passione o interesse sociale, la poesia di De Angelis compie uno scavo nelle profondità abissali dell’esistenza, anche a costo di compiere un’ulteriore tappa di questo viaggio al termine della notte.

Quando “la luna non concorda” più con il “battito terrestre” non c’è più nessun commento o parola possibile, ma un grande silenzio scende sulle vicende terrestri di chi ha già visto troppo “della vita e dei suoi sotterranei”. Continua a leggere

Ciao Franco

di Maurizio Cucchi

 

Torno a leggere una delle poesie di Franco Loi che rivelarono, ormai quasi mezzo secolo fa, una presenza nuova che convinse lettori sensibili e severi come Franco Fortini o Dante Isella. Parlo di quella lirica che fa così: “Mariuccia / prim tettin de la mia vita” e che poi prosegue portandoci in un luogo preciso di Milano: “Oh, ser de via Cardano / curt de fümara, / buff de scighera che dal Navilli vègn”. E così torno con la mente a passeggiare con Loi, di cui sono stato amico e che abbiamo da poco perduto, partendo proprio da via Gerolamo Cardano, lì dalle parti di via Melchiorre Gioia e via Galvani, ma poi il pensiero mi riporta al poeta, all’originalità sorprendente della sua opera e della sua lingua, e dunque del suo dialetto milanese così speciale, in quanto scritto non più secondo i canoni classici del Porta o del Tessa, ma ripreso in una grafia nuova, più vicina alla pronuncia, all’oralità. Ma non solo: un dialetto a volte reinventato, una lingua di chi come Loi , nato a Genova nel 1930, da padre sardo e madre emiliana, trasferitosi a Milano nel 1937, era costretto ad ambientarsi, anche linguisticamente, per potersi integrare. Il nostro poeta, vivendo a contatto quotidiano anche con la realtà di lavoro del suo tempo, aveva dovuto apprendere e far propria quella lingua. Una lingua cresciuta dalla concretezza di gente umile, e a volte, come lui, venuta da altri luoghi. Una lingua che gli ha consentito narrazioni liriche legate all’esperienza di un mondo operaio che aveva potuto conoscere e frequentare direttamente. Una poesia quella di Loi carica di tensioni e sentimenti che con estrosità oscilla tra alto e basso, tra elementi teatrali ( Teater è il suo secondo libro del 1978) e spinte epiche, di un’epica popolare frutto della memoria e di una attenzione ai fatti e alle figure dell’esperienza. Ed era bello ascoltarlo dire i suoi versi in pubblico: la sua forza comunicativa , l’emozione della sua poesia suscitavano una immediata adesione del pubblico. Ho avuto, dicevo, la fortuna di conoscere bene Franco Loi: mi piaceva ascoltarlo ricordare la Milano del dopoguerra, del Casoretto (il rione che ben conosceva). Quando ci capitava di passeggiare insieme per la città parlavamo di tutto e, qualche volta, anche di calcio, ma qui avevamo qualche contrasto: io interista … e Franco tifoso del Milan. Continua a leggere