Edmond Rostand, “Il Bosco Sacro”

Edmond Rostand (1868-1918)

 

 

Il Bosco Sacro è certamente un’opera unica nel panorama del teatro e della poesia del Novecento. Questo testo di Edmond Rostand, pubblicato per la prima volta nel 1908 (rappresentato come pantomima) e che finalmente esce in lingua italiana grazie alla traduzione di Stefano Duranti Poccetti, mette insieme mito e contemporaneità. Porta all’incontro tra gli dèi e una FIAT 35-45 HP che giunge in una foresta mistica abitata da presenze divine che saranno così meravigliate dal veicolo da volerlo addirittura provare. Il testo si fa perfetta allegoria della Parigi abitata dall’Autore, attenta al passato e perennemente devota al progresso.

Il bosco sacro

L’ombra di tre cipressi sull’erba avanza.
Mentre in lontananza s’argenta un cielo di Grecia,
presso una sorgente che scola, sprofondando in stagni,
gli dèi si sono seduti su un bosco d’ulivi.

È l’ultimo dei boschi sacri.

Il mare tranquillo
s’allunga sul fondo, ancora più bianco intorno a una penisola.
Si scorgono, lievemente sfiorati da un po’ d’aria,
i glauchi olivi biancheggiare come il mare.
Degli alti e riflessivi allori, splendidamente cupi,
sono vicini ai meno alti allori dove rose crescono,
contraendo il fogliame con nero sdegno.
Gli dèi restano seduti come in un giardino.
Sono là, familiari, armoniosi, pacifici,
senza sforzarsi d’essere invisibili.

Giunone, riconoscibile dalle belle pieghe del collo,
quanto per lo scettro d’oro da cui emerge un cuculo;
Venere pare una statua, vestita
in modo scultoreo con biancheria bagnata;
Marte, dio della battaglia; Apollo, dio del giorno,
il cui arco nell’aria appare più grande di quello d’Amore;
Giove, di cui, questa sera, il sopracciglio s’aggrotta
e che lascia cadere, nel prendere dal rovo una mora,
il fulmine scintillante ai due estremi;
Minerva, dagli occhi più fieri degli occhi dei gufi,
appare sotto gli altri due occhi vuoti e senza pupille
ch’ella ha tolto al cielo, levandosi la visiera;
Diana, di cui la salvia ama lo scarpone,
la quale porta uno stretto diadema; Vulcano,
che, facendo progetti d’arte e di meccanica,
gratta la sua fronte testarda sotto il berretto conico;
e Mercurio, che sente fin dentro il cervello
battere gli alettoni ch’egli ha sul cappello.
Tutti i grandi dei sono lì; tutti, eccetto Nettuno
e Vesta, importunata sempre dalle cose piacevoli,
e Cerere, che si occupa delle spighe imbiondite;
ma tre dei più piccoli rimpiazzano gli assenti:
Pan, che non è mai lontano da un bosco d’Arcadia
e che dalle canne crea sognanti melodie.
Il nettare che circola è versato da Ebe,
mentre Cupido si concede a giochi da bebè,
che sono poco rassicuranti per la gelosa Giunone…
Sicché gli dèi, tutti insieme, risultano dodici.

Edmond Rostand, Il bosco sacro. Le Bois Sacré, traduzione di Stefano Duranti Poccetti, prefazione di Ombretta De Biase, Nulla Die Edizioni, 2021

 

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Victor Hugo, “I Cavalieri erranti”

 

Victor Hugo

I CAVALIERI ERRANTI. I POEMI CAVALLERESCHI DI VICTOR HUGO

Quello che si propone è un Victor Hugo inedito: è l’Hugo dei miti, delle leggende, l’Hugo medievale, soprattutto è l’Hugo che si concede al poema cavalleresco. Ne La légende des siecles (silloge scritta a intermittenza tra il 1855 e il 1876), quello che si può considerare probabilmente il più grande scrittore francese dà luogo a un particolare ciclo. Les Chevaliers errants, composto da due poemi cavallereschi: Le petit roi de Galice ed Eviradnus. Ecco che i suoi eroi, Roland ed Eviradnus, si caricano di forza mistica, scontrandosi coi rappresentanti del male, facendo fede nelle loro innumerevoli esperienze, copiose battaglie, soprattutto in un’ispirazione divina, che li rende invincibili, donando loro l’astuzia d’Ulisse, il vigore necessario per combattere interi eserciti in completa solitudine. La forza dell’eroe è per Hugo quella di Dio, l’eroe è intermediario di Dio e non ha bisogno di vivere con gli uomini, perché egli è e rimane, anche nella vecchiaia, come nel caso di Eviradnus, un semidio, destinato sempre a vincere per ottenere Giustizia – d’altra parte l’Autore l’afferma anche nel suo Booz endormi: Le jeune homme est beau, mais le vieillard est grand. L’eroe impersona così il Poeta e così quello che lui definisce l’homme des utopies, capace di reinterpretare la realtà, scavando all’interno dei suoi meandri, riuscendo, da solo, a trovare la soluzione giusta, quella soluzione che, anche vista da un punto di vista cristologico, s’eleva a simbolo di Salvezza eterna per l’Umanità, continuamente circondata dal Male e da questo contaminata.

dall’introduzione di Stefano Duranti Poccetti

Victor Hugo, Les Chevaliers errants/ I Cavalieri erranti, traduzione di Stefano Duranti Poccetti, Nulla Die, 2021. Continua a leggere