Mario Ramous (1924-1999)

Mario Ramous

LIMITE

UNA campana è il mio cuore più cupo
d’un disperato suonare a distesa.
Non c’è riposo alla vasta ossessione
dei grilli in questa notte già recisa
dal richiamo dei treni. E il tuo viso
appena sfiorato dal mio amore
ora è già smorto, caduto. Potranno
piangere gli uomini con il lamento
lungo delle strade, potremo piangere
che non ci è dato nulla oltre il nome.
Ricordo solo il tuo seno malato.

 

A MEMORIA

ERI come il cadere molle dei colli alla pianura,
quando si spande il caldo dell’estate,
il crescere sottile e schivo degli agnelli.
Poi il riposo, lungo e confortato di pianto.
Assopirsi lento dei sensi
e compiacersi del proprio silenzio.
Pure il tuo respiro era solo tristezza
e chiuso dolore:
un esilio vuoto di parole,
un levigato dormire.

In te era il mio gesto
come un’ombra sfiorita di accenti,
se ancora un limite mancava alla persona.

Così si spengono i tuoi occhi alla memoria.

 

PRESENZA

QUESTO incredibile pianto e il suono
che s’affloscia in sorde cavità
della ragione; il suono come vento
mutevole d’uccelli, di severi
animali inquadrati nelle valli,
immobili negli occhi. O ancora
la presenza ha un senso in questa vita
dirotta dal tempo? E forse io vivo? Continua a leggere

Nelo Risi, “Tutte le poesie”

Nelo Risi

Da: LE RISONANZE

Troppi gli avvenimenti, arduo
essere del proprio tempo,Da
«l’air résonne(cito l’enfatico
Corneille) des cris qu’au ciel
chacun envoie», sto in mezzo
ai fatti che urgono si accalcano
e non ne afferro bene il disegno
dovrò risorsa estrema attendere
che l’epoca dello spreco e delle
scelte rimandate sia trascorsa?

IL FILO

Da pellegrino sempre in cerca:
fessure? niente luce solo crepe
labirintiche le vie sono intricate
tra rocce cadute
tutto un percorso dalle linee spezzate
prove su prove mirando al centro
al ventre delle cose al dritto mezzo
al cuore! uno smarrirsi in meandri e ipogei
le mani avanti a difesa del corpo
il volto rabbuiato da più maschere
sotto la maschera quanti volti hai?
un affondare per emergere
recuperando il filo in viottole segrete
in anditi tortuosi in cieche stanze
finestre a inganno dipinte sul muro…

Onda su onda, freccia dopo freccia
libro dopo libro conta il cercare
non raggiungere in centro

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Kavafis, il poeta che si rivela in un’opera imponente e necessaria

Novità editoriale. La casa editrice Donzelli Pubblica un’opera “necessaria” nel panorama poetico mondiale: l’intera opera poetica di Konstandinos Kavafis nella traduzione di Paola Minucci.

Il volume, imponente, contiene più di 700 pagine scritte da Kavafis nel corso della su vita, corredate da note curate dalla stessa Minucci.

Molte liriche venivano conservate “segretamente” dal grande poeta greco, tanto che la curatrice ritiene che questo suo modo di procedere “seppellendo” le poesie, forse è la parola chiave per una attenta rilettura di tutto il percorso artistico di Kavafis.

 

Perché così silenzioso? Interroga il tuo cuore:
quando ci allontanavamo dalla Grecia
non gioivi anche tu? Perché ingannarsi? –
questo non sarebbe degno di un greco.

Accettiamo la verità una volta per tutte:
siamo Greci anche noi – cos’altro siamo? –
ma con amori ed emozioni d’Asia

Konstandinos P. Kavafis

La fama di Konstandinos P. Kavafis (1863-1933), uno dei maggiori poeti del Novecento, è stata fino ad oggi affidata quasi esclusivamente a 154 poesie, tra le quali troviamo ad esempio i versi di “Itaca” o quelli di “Aspettando i barbari”. Sono le poesie che Kavafis aveva destinato alla pubblicazione, sottraendole al continuo lavoro di riscrittura che caratterizzava il suo processo creativo. Continua a leggere

Mark Strand, “Tutte le poesie”

Questo volume riunisce mezzo secolo di poesia di una delle voci più significative del secondo Novecento, che con il suo linguaggio esemplare ha influenzato un’intera generazione di poeti americani. Fin dalla plaquette Dormire con un occhio aperto (1964), Mark Strand è apparso come un poeta di grande originalità ed eleganza, caratteristiche rimaste immutate nei decenni successivi. Le raccolte della maturità, come La vita ininterrotta (1990), confermano la sua capacità di catturare la sottile musica della coscienza e di creare paesaggi di una fisicità quasi pittorica, emblemi di una condizione interiore: «l’oscuro infinito sentire, / che resisterà e che la terra farà irrigidire / e la notte cosparsa di stelle farà riversare dalle montagne / sui prati sibilanti e sui passi silenziosi». Nei libri più recenti, da Tormenta al singolare (1998), che gli valse il Pulitzer, fino agli apologhi sornioni e provocatori di Quasi invisibile (2012), Strand mostra uno humour nero che si rivela profonda saggezza e autoironia, dando voce all’immaginario collettivo con una grandiosità e una sincerità senza pari.

THE POEM OF THE SPANISH POET a poem by Mark Strand from Motionpoems on Vimeo. Continua a leggere

Pierluigi Cappello, “Un prato in pendio” Tutte le poesie 1992-2017

 

PAROLE POVERE

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta

Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande. Continua a leggere