Claudio Damiani, Il fico sulla fortezza

Nello scaffale, Claudio Damiani
a cura di Luigia Sorrentino

Con una nota di Emanuele Trevi

Il fico che cresce sulle rovine della fortezza, emblema e geroglifico del nuovo libro di Claudio Damiani, ha i giorni contati. Verrà qualcuno a restaurare gli spalti del diroccato maniero aristocratico, sradicando quella forma di vita abusiva, vita incurante della sua propria bellezza, capace di assentire al suo destino senza opporgli un’assurda resistenza. Dall’albero il poeta ricava l’insegnamento supremo: è possibile amare la vita senza avvelenarla con la paura della morte. E’ possibile, dunque, la felicità: quella pura e gratuita vibrazione dell’essere qui, dell’esserci ora, minuscolo filo saldamente intrecciato all’arazzo del cosmo?
Come un saggio taoista, Damiani non si stanca mai di dipingere a rapidi colpi di pennello paesaggi nei quali gli uomini e le bestie, le piante e le pietre, le nuvole e le acque sono gli elementi solidali dello stesso prodigio, ovvero una sola materia senza più nome, disponibile a tutti gli esperimenti di un’alchimia interiore capace, una buona volta, di trasformare in oro il fardello dell’impermanenza e l’angoscia del tempo che fugge. Oltre il piacere del testo, ai lettori di questo libro si offre una terapia sottile ed efficace come solo sanno essere i consigli di quel medico che è stato capace di curare se stesso, e non smette mai di farlo.

Emanuele Trevi

IL FICO SULLA FORTEZZA
Il fico sulla fortezza
ha vita molto precaria
perché quando faranno i restauri
sarà certamente tagliato.
Però sta tranquillo sotto la luce del sole
distendendo il suo ampio mantello
disuguale, incurante dell’estetica,
se ne frega di stare così in alto
non soffre di vertigini
si lascia accarezzare
dalla luce e dalle brezze tiepide
sente la nebbia, sente gli uccelli
che parlottano tra i suoi rami.
*
Quel fico sulla fortezza
è solo, vorrei accarezzarlo
“Lo sai, verranno a prenderti”
“Lo so, verranno a prendermi”
“Sei solo” “Lo so, sono solo,
ma ho tanti figli, lo sai?”
e io in effetti non li avevo visti
e ora vedevo che sotto le sue fronde
c’erano tanti figlioletti.
“Moriremo tutti insieme, come soldati intrappolati,
non morirò prima io o prima loro
ma tutti insieme, capisci?
E questo mi rincuora”.
Intanto erano venuti degli uccelli
e becchettavano tra le pietre
“Loro mangiano i nostri fichi
porteranno i nostri semi lontano
nasceranno tanti nostri figli
in luoghi che non conosciamo.
C’è qualcosa che resta di noi
dobbiamo vedere questa grande famiglia,
vedere terre che non abbiamo visto,
dobbiamo gioire con loro”.

*
Sembrerebbe dalla pubblicità
che siamo ricchi, forti
e invece siamo poveri, fragili
come le foglie sugli alberi,
anche i potenti, i più ricchi
con un niente vanno nell’Orco,
da un momento all’altro li afferra la Moira
e li trascina nella polvere,
cadono sul terreno con tutta l’armatura
che fragorosamente risuona
e potresti vedere, ben visibili,
le loro vergogne.

*
Torni a casa, sciogli gli schinieri,
smonti lentamente la pesante armatura
ti sembra incredibile essere così leggero
ti butti sul letto e dormi fino al mattino
senza televisione, senza sogni, né incubi,
la mattina ti risvegli, rimonti l’armatura,
allacci gli schinieri, imbracci le armi e lo scudo
e sulla testa poni l’elmo che fa paura.

*

 

“Preparatevi per il combattimento!”.
Tu ti chiedi: “Che senso ha?
Perchè sto qui?”
e vorresti andare via
ma non puoi,
vorresti dire a tutti:
“State calmi, stiamo calmi,
perchè dobbiamo combattere?”.
Provi a dirlo, ma già la battaglia infuria
e il rumore copre la tua voce.
“Scappa” “Non scappare,
ti fucilerebbero i tuoi compagni”
“Vai, vai avanti, fai finta di niente,
fai finta di correre come da bambino
senza guardare avanti”.

 

*
Se gli uomini avessero sempre da fare
sarebbe meglio
perché avrebbero meno tempo
per soffrire,
se ci fosse molta socialità
feste e canti, riti
molta natura, non quelle discoteche oscene
non quelle città schifose,
molta religione, più musica,
più fanciulle che danzano battendo i piedi
o cantando su barche scendendo i fiumi,
molto camminare nei boschi, molto studio e amore,
non quella televisione da lupanare, con facce da assassini,
molta arte, molta cortesia e gentilezza,
buone maniere, educazione, studio,
meno intellettuali ignoranti,
e quei vip, con quelle facce da maiali
che si rotolano nella loro merda,
più umiltà, molta più umiltà, e rispetto,
se ci fosse più silenzio, più feste
più lavorare insieme, tranquilli,
contenti di lavorare insieme, cantando.

*
Fai un lavoro duro, cassiera di un discount,
ma sei allegra, scherzi con tutti,
velocissima conteggi i prezzi,
nella tua mente passano mille numeri,
e scherzi, poi prendi le cose
e le metti nelle buste, fai cose
che potresti anche non fare, è squallido
dove lavori, ma tu non te ne curi,
sei semplice, forse ignorante,
una ragazza di campagna
nemmeno bella, piccolina,
ma da te imparo non sai quanto.

*

Vorrei semplicemente descrivere
quello che vedo, non altro
non mi interessa inventare
mi piace camminare
e mi piace guardare
voglio guardare questi alberi quieti
e pazienti, dalle belle fronde,
che vivono silenziosamente e respirano l’aria
accanto a me, mentre io sono qui
loro sono là, mentre io li guardo
loro mi sentono, e stanno attenti a me
come io sto attento a loro,
voglio sdraiarmi, e dormire
mentre loro stanno in piedi, e mi guardano
oppure pensano a cose loro
gli succedono cose che io non so
e vorrebbero dirmele, e me le dicono, anche
oppure anche loro dormono
senza sdraiarsi, stando in piedi, dormono
uno accanto all’altro, stando semplicemente accanto.

*
Tra le tante traversie della vita
cerco un riparo, mi siedo qui all’ombra
vicino alle rocce amiche,
mi fa bene sentire il loro muoversi e respirare,
la loro mano fresca sulla fronte
che mi mettono, i loro pensieri semplici,
senza tanti arzigogoli, e doppi sensi
senza quelle smancerie e vanità che tanti hanno,
mi piace come stanno quiete senza agitarsi
e mi guardano calme e non si disturbano
di essere guardate.
Due uccellini si stanno baciando a pochi passi da me,
si dicono delle cose che non capisco bene
poi uno vola via
e l’altra lo insegue.

*
Dal mondo inorganico
a quello organico, alla vita
non c’è un vero salto
ma una linea continua,
anche se non proprio nitida.
Ma gli atomi, non sono forse vivi?
Non si riproducono, questo è vero,
ma si trasformano, liberando energia,
sono energia, condensata in materia
che si organizza perché ha un pensiero solo:
giungere alla vita per riportare l’ordine
o qualcosa che è stato perduto, riconquistarlo,
una missione che ci sfugge, eppure lo sentiamo,
sentiamo che andiamo, anche nelle continue cadute,
verso un bene lontano sempre più vicino.

*
Bisogna avere un cuore di ferro
come Ulisse, per vivere.
Penelope è davanti a noi e piange
e noi dobbiamo tacere, non possiamo dire niente,
non possiamo commuoverci.
E’ tutto così chiaro
eppure non possiamo rivelarci.

*
Nelle altre stelle (nei miliardi di galassie
che ci circondano) c’è la stessa materia
che sulla terra, dunque la stessa vita,
specie diverse, ma in certi casi simili,
in certi casi probabilmente uguali,
adattate all’ambiente, caso per caso,
la vita sta cercando di fare qualcosa,
– che cosa?, direte, io penso: un passo indietro,
un passo minimo, ma che richiede miliardi di anni
e uno sforzo immenso di intelligenza,
per ritornare a una pace, a uno stare insieme,
a una serenità che la materia ha perduto.

*
E se morire non fosse una cosa speciale
ma un accidente normale,
se morissimo come le mosche,
come le foglie d’autunno
a un minimo soffio di vento?
E se il fatto che in natura
il pesce grande mangia il pesce piccolo
non fosse un segno di crudeltà,
di lotta per la vita ecc.,
ma un segno che la morte non è
qualcosa di negativo, esclusivo,
ma come mangiare, sognare,
andare al gabinetto, dormire.

*
Vai, vai, la vedi correre come una bambina
con le guance rosse, a volte impaurita
a volte intrepida, che non si ferma davanti a niente.
Oh, la vorresti prendere
e la vorresti baciare, ma poi la poseresti
e la lasceresti correre
resteresti a ascoltare i suoi suoni teneri nella sera
fino a tardi, quando non ci si vede più
e non te ne eri accorto.

Dalla sezione oponima della raccolta IL FICO SULLA FORTEZZA di Claudio Damiani, Fazi Editore, Roma, 2012 (euro 12,00).

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Commenti (3)

  1. Omaggio a una vita senza l’ansia di vivere, la vita che vive senza avere consapevolezza della precarietà e del dolore, che nascono dalla consapevolezza della morte. Questo modello di vita è impersonato dal fico nato solitario e precario in cima a un muraglione di una fortezza semidiroccata, che sta per essere definitivamente abbattuta. Il suo destino è segnato. E tuttavia il fico vive spensierato e beato di essere, di offrire ombra e frutti a tutti: egli vive ogni attimo come una eternità… Un ossimoro cui tutti noi aneliamo, che ci porti a vivere come privi di mente e di cuore, ma aventi pienamente cuore e mente… Il sogno assurdo di Pessoa, il quale rivolto alla felice e incosciente mietitrice esclama: “Ah, poter essere te essendo io! / Avere la tua lieta incoscienza / ed esserne cosciente!…”

  2. L’autore Damiani nasconde la sua sensibilità d’animo attraverso un albero di fico, che nella sua poesia diventa il protagonista assoluto di una situazione angosciosa di una possibile perdita di un affetto. Il poeta dimostra di avere l’età che ha, un’età in cui si guarda al passato e si spera nel futuro.

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