Nuno Júdice
Nota e traduzione di Chiara De Luca
“Mi costringo a scrivere ogni giorno, come un impiegato. Scrivere è la mia vita. Mi piace farlo, non mi dà da vivere, però è la mia maniera di essere”, dice Nuno Júdice a Antonio Jiménez Barca su «El Pais». Eppure nessuna delle sue poesie appare in alcun modo esito di costrizione o forzatura, né ha il sapore di un testo d’occasione o di un esercizio virtuosistico. Il poeta è simile piuttosto al pellegrino, che talvolta non vorrebbe partire per luoghi sconosciuti, poi fa leva su se stesso e si mette in viaggio verso una meta che non ha, per approdare al vuoto (lo stesso che occasiona la poesia), e scoprirvi cose inaspettate, tornando carico di tesori al punto di partenza, all’intersezione tra più mondi. Apprestandosi al viaggio del comporre, Júdice si lascia trasportare dalla propria stessa scrittura, interroga le parole, le lascia risuonare, riverberare nell’eco di se stesse, poi prova nuove combinazioni alla ricerca di quella “musica delle parole” che costruisce anche – a livello incosciente, talvolta, ma pienamente dominato nella tradizione poetica, una musica del senso” (La poesia nel mondo). Dalle sue poesie traspare un raffinato gusto del linguaggio, il poeta pare divertirsi nel manipolare la lingua a piacimento, cercando di forzarne i limiti, pur sapendo di non poterli mai del tutto valicare. Continua a leggere