Un senso di perenne movimento, con i piedi pesanti, con la mappa, tra morti sotto terra e steli stese, per spiagge di lamiere e tubi, sotto dighe che tolgono il respiro, o là dove la pioggia allaga “e non si è più in grado di trovare / il punto in cui finisce l’acqua / del mare e dall’aria si divide”. Dove non c’è più modo di “sapere / se è bonaccia o burrasca in queste ore”.
Un senso d’emergenza: dobbiamo forse “mettere in un sacchetto il nostro oro / se dovesse servirci all’improvviso / per mangiare, lasciare un posto troppo buio, / salvarti da qualcuno, passare le frontiere nottetempo”.
Camminando su un terreno noto, ma pieno di sprofondamenti, cuniculi, buchi, vediamo fiumi scomparire e poi riaffiorare, sentiamo invocare un tu che è scomparso e ora occupa uno spazio molto più grande di quello che compete ai vivi.
È forse “un uomo che si incontra nel minuto / di una svolta, / poggiato con la schiena a una colonna, / che porta negli occhiali il tempo grande / dei libri, delle pietre, delle piante, / che mangia miele così come mangia chiodi”. Continua a leggere