
Nanni Cagnone, Credits ph. Dino Ignani
di Elio Grasso
Nanni Cagnone, negli ultimi anni, ha pubblicato alcuni libri di versi seguendo la propria tendenza (alquanto antica, considerando la folta bibliografia che affonda origini nei primissimi anni ’70) a porsi in un’impeccabile “riservatezza”, sia editoriale che umana. Diventato prodigo di sé, la sua poesia ha iniziato a rimettere in corso quanto aveva decantato alle origini sul versante della conoscenza (per così dire) classica. Ciò che era trapassato, di corretto e scorretto del mondo, vede la luce di albe risuonanti e abbondanze naturali nelle nuove poesie – e perfino ritrovamenti affabili. Come se l’autore, avvicendandosi un gran numero di anni alle sue spalle, trovasse ordinamenti nelle epoche un tempo sfuggiti o addirittura detestati (“Dà notizie alla scogliera / il mare aperto, ed ogni cosa / sparsa da libeccio è per noi, / che penetriamo come polvere / ove non è fessura, noi / che abbiamo uso di mondo.”). Continua a leggere