
Capelli tagliati
Ho tagliato i capelli perché il mio viso,
sotto la piega di una volta,
non possa mostrarmi la straziante immagine
del tempo dalle implacabili dita.
Cambiando piega sembra di cambiare testa.
Crederò di invecchiare meno
sotto il corto tosone rigettato in tempesta
dove posso conficcare i miei pugni.
Così come un tempo le belle sacerdotesse
sacrificavano le morti elette,
ho come su un sepolcro consacrato le due trecce
alla mia giovinezza che non c’è più.
Cheveux coupés
Cheveux coupés J’ai coupé mes cheveux afin que mon visage,
sous sa coiffure d’autrefois,
ne puisse me montrer la déchirante image
du temps aux implacables doigts.
En changeant de coiffure on croit changer de tête.
Il me semblera vieillir moins
sous la courte toison rejetée en tempête
où je puis enfoncer mes poings.
J’ai, de même qu’au temps où les belles prêtresses
sacrifiaient aux morts élus,
comme sur un tombeau consacré mes deux tresses
a ma jeunesse qui n’est plus. Continua a leggere
Originata, e forse sollecitata, da un senso di vuoto e di esilio, dall’inquietudine «che duole / e ridisegna lo spazio» (cfr. L’aria porta la pioggia), inevitabilmente tragica e dolorosa nel suo fondo, la poesia di Marco Vitale è pure tra le poche esperienze poetiche contemporanee che riescono a esprimere un sentimento di autentica gioia interiore, di vitalità degli affetti, di piacere estetico. Nessuno, come lui, sa oggi dire la gioia di leggere un libro, di contemplare una luna, di ascoltare una musica o di ammirare un affresco, magari di un piccolo maestro di provincia, nascosto e perduto anche nel nome. Il compito che il poeta si è dato, nel suo far versi, è in fondo – adesso, dopo tanti anni, lo si capisce – proprio questo: custodire la dolcezza di un incontro, una condivisione di affetti e di pensieri, un sogno luminoso e sprofondato nel suo incerto mistero, o uno scarlatto che «scende esatto / tutto il verde del manto» (L’anonimo pittore) di una pittura remota che prodigiosamente (per via d’amore) si apre al nostro sguardo, ed è ritrovata per tutti, ancora illesa «di tepore e d’enigma».


