Il mare e la scrittura

Giuseppe Conte

Note in margine a Non finirò di scrivere sul mare, Mondadori, Milano, 2019, di Giuseppe Conte)

di Marco Marangoni

Mentre stendo queste note, i giorni sono questi della pandemia 2020. Ci sentiamo improvvisamente più fragili. Ed è presa di coscienza, questa, tragica anche se necessaria, dal momento che ci costringe seriamente a considerare quel fondo senza fondo che è la natura e che come tale avevamo troppo facilmente adombrato o rimosso.

E mentre così una forza imponderabile ci sovviene, quasi tornasse a farsi presente l’antico e lo straniante, sono proprio le parole dei poeti, solitamente neglette, che ci possono offrire un orientamento. Viene però da domandarsi, con Hölderlin, se questo non accada per il fatto che è sempre difronte al pericolo che sopravviene ciò che salva.

Certo è che, in un tale orizzonte di considerazioni, la poesia di Giuseppe Conte si mostra ospitale e necessaria, e tanto più in questo ultimo libro. E converrà leggerlo, data la sua stilistica consistenza, in rapporto al background che lo sostiene. Si dovrà partire almeno da un sentimento abbandonato dell’esserci, che ha nutrito i suoi versi fin dagli inizi; e da lì comprendere quello sbocco a “fonti romantiche e simboliste” (Marco Forti) per cui nel ‘76 Luciano Anceschi ebbe a parlare di “un fluire autre nella riconquista del desiderio”, nonché del “diritto di essere deboli con gioia”. Continua a leggere

Jericho Brown, Premio Pulitzer 2020

Jericho Brown, ritratto a Civitella Ranieri

di Alberto Fraccacreta

Il Premio Pulitzer 2020 per la poesia quest’anno va all’autore afroamericano Jericho Brown, classe 1976, originario del Louisiana, per la silloge The Tradition (Copper Canyon Press 2019), terzo lavoro dopo Please (New Issues Poetry & Prose 2009) e The New Testament (Copper Canyon Press 2014).

La motivazione presentata dagli accademici della Columbia University è la seguente: «Una raccolta di testi magistrali che uniscono delicatezza a urgenza storica nella loro amorevole evocazione di corpi vulnerabili all’ostilità e alla violenza».

The Tradition è infatti un libro che tenta di scovare la bellezza nonostante la velenosità del male, illustrato da Brown nei suoi aspetti più minuti, privi di autocompiacimento e seccamente scolpiti sulla pagina: una poesia civile, senza rinunciare per questo a lancinanti quanto astuti slanci emotivi (è stato definito «poeta dell’eros»), legata all’assurda assuefazione della nostra epoca al terrore tra omicidi, sparatorie, soprusi e abusi. Continua a leggere

Forrest Gander e l’ecopoesia

Forrest Gander

Forrest Gander, nato in California nel 1956, ha ricevuto il Premio Pulitzer per la poesia nel 2019 con la silloge Be With (New Directions 2018), dedicata alla recente scomparsa della moglie, [n.d.r. la poeta Carolyn D. Wright]. Traduttore, saggista e professore emerito di Letterature comparate alla Brown University, Gander è tra i massimi esponenti della cosiddetta ecopoetry, una delle più recenti frontiere della ricerca poetica legata ai problemi ecologici e ambientali, e contraddistinta da una solida teoresi filosofica e da un forte impegno politico. Il saggio che qui si presenta in anteprima per il lettore italiano è tratto dal libro Redstart: An Ecological Poetics, a cura di Forrest Gander e John Kinsella, Iowa University Press. Oggi, in serata, saranno annunciati i vincitori dei Pulitzer Prizes 2020.

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Introduzione all’ecopoesia

di Forrest Gander

 

Il termine ecopoesia ha assunto una vasta gamma di connotazioni. Tra queste: un insieme variabile di strategie tecniche e concettuali per la scrittura durante un periodo di crisi ecologica. Tali strategie (che assomigliano molto alle innovative strategie poetiche sostenute negli ultimi cento anni) spesso affermano di aver dato inizio:

 

  1. a una disarticolazione dell’agire egocentrato;
  2. a una posizione di autoriflessività (in modo che, ad esempio, si dice che la poesia abbia origine non all’interno del sé ma all’interno del paesaggio cui appartiene);
  3. a un rifiuto, come scrive il poeta australiano Stuart Cooke, di qualsiasi tentativo di «radunare il mondo in una sorta di unità e permanenza» a favore di un «incontro» segnato da «fluttuazioni entropiche». I testi ecopoetici sono talvolta descritti come «testi aperti»;
  4. a una rigorosa attenzione nei confronti del pattern;
  5. a un riorientamento dell’oggettività verso l’intersoggettività.

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La materia frangibile del ricordo

Stefano Pini

Su MANDATO A MEMORIA di Stefano Pini
Nota di lettura di Alessandro Bellasio

Sospeso tra rievocazione e divieto, tra reviviscenza e perdita, il nuovo libro di Stefano Pini ci conduce in quel luogo impraticabile e familiare, vicinissimo eppure inaccessibile, che è il ricordo. Mandato a memoria (Interlinea, 2019) imbastisce un fitto dialogo con le ombre, ombre delle persone ma anche ombre dei luoghi, delle cose, una lunga incursione nei territori del passato la cui prerogativa – come vuole la citazione di Faulkner posta dall’autore in esergo alla silloge – è quella di non essere mai davvero tale. Esso alimenta e configura il nostro presente, ma lo fa anzitutto sottraendovisi: ellissi repentine, vicoli senza uscita e strade improvvisamente sbarrate si susseguono nella raccolta di Pini, in cui il non detto svolge un ruolo forse ancor più determinante di ciò che invece perviene alla parola.

Qui il silenzio è decisivo, permea di sé uomini e vie, attraversa le esistenze e guida segretamente gli incontri. Un silenzio da non intendersi, tuttavia, come reticenza o omissione, bensì come confine invalicabile dietro il quale sta l’essenza inviolabile delle cose, e della parola stessa. Un confine che non può, non deve essere oltrepassato, perché è proprio il suo perimetro a proteggere la memoria e la fragile sostanza di cui si compone: un solo ulteriore tentativo di precisarne i contorni farebbe svanire tutto come per eccesso di luce. Il libro di Stefano Pini è un libro di penombra, di chiaroscuro, sorretto da una peculiare oculatezza del vedere e del dire, che sa riconoscere l’interdetto e circoscrivere il sottratto. Proprio da questo moto di sottrazione provengono le ingiunzioni a «non chiamare», a «non parlare», di uno dei testi iniziali: ogni gesto scomposto potrebbe compromettere la materia infinitamente perturbabile, frangibile della memoria. Proprio tale eccesso costituirebbe l’infrazione, la colpa da riscattare, qualora avvenisse. «Proviamo insieme | la memoria chiusa da perdonare | nel livido per tutto questo tempo». «Ogni corsa dovrebbe essere muta | tra i rami, non eludere, non sapere».

Attenzione e ascolto, silenzio e attesa: sono queste le dimensioni entro cui esplorare l’edificio interiore, nel raccoglimento. Dal quale guizza poi d’un tratto il particolare decisivo, la frase indelebile, il gesto irreparabile o prodigioso cui ciascuno è vincolato per sempre: sarà il lettore a ricostruire l’accadimento, la situazione d’insieme, in base alle poche pennellate suggerite dall’autore.

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