Franca Rovigatti, “Questo è il tuo quasi-vivere, Corona”

Franca Rovigatti

CORONABLUES

di Franca Rovigatti

Cieco si spinge in fitta oscurità
verso DNA, la bella Cellula
che si inanella nelle due catene
eleganti stabili sinuose
strette in abbraccio come cari amanti.

Nel suo sferico capside Corona
punteggiato dagli spike tricuspidi
contiene un nucleo fragile e testardo
tutto stretto a se stesso arrotolato
misero filamento RNA, genoma
troppo imperfetto e instabile
troppo incapace di tenersi vivo.

Minimo essere ai confini della vita
particella desiderante, bisognosa
cieca, ma mossa da fiuto evolutivo
da miliardi di anni muti e muovi
per penetrare la vivente Cellula.
La tua manchevole sostanza
misero filamento RNA
senza le nostre cellule non vive
o ha una vivenza oscura che consiste
in cieco andare per fondersi ed entrare.

Di progenie antichissima
quando le prime forme si formarono
c’eri ma non vivevi, zombie chimico
e tuttora non vivi, sul confine
della vita da quattro miliard’anni:
che il brodo primordiale ribolliva
fremeva sotto le saette e i fulmini
da cielo di azoto e di metano
di ammoniaca, di idrogeno e di elio.
Nel brodo arcaico, miliardi di anni,
la vita fa le prove mescolando
carbonio, ossigeno, pròzio e azoto
acqua, ammoniaca e anidride carbonica
idrocarburi e brevi polimeri.
E poi succede. Infimi filamenti
risvegliati dalle scariche dei lampi
infiniti si formano vaganti
che cercano, si attraggono, si aggregano
in molecola. Forse sei proprio tu
così imperfetta e fragile
la prima quasi-vita al mondo.
Molecola di Adamo.

Prima d’ogni era geologica assodata
la terra era quest’alba misteriosa
Mondo a RNA brulicava invisibile
in apparente vuoto, solo acqua e cielo
ma in segreto il brodo concepiva
il sogno, il segno della vita.

Nasceste prima della prima cellula
prima della stabilità DNA
nel mondo delle origini
(ai tempi della Genesi)
tu prima protocellula
sì, prima della vita, e tuttavia
desiderante, che ciecamente spinge
a replicarsi trascriversi tradursi.

Che tu autonoma vita non possiedi
frammento, scarto della creazione
parassita obbligato
vieni passivamente trasportato
di fiato in fiato
verso porto agognato, Cellula
là tu ti agganci, penetri
ti spogli della capsula, produci
virioni di progenie, che si lanciano
a diffonderti ancora per il mondo.

Questo è il tuo quasi-vivere, Corona
crescere e moltiplicarsi, come Dio
disse alle generazioni dei viventi
(anche se – come si è detto e ripetuto –
tu non sei propriamente vivente,
al precetto di Dio fosti obbediente)

“Ma io dentro i pipistrelli stavo bene
era un buon serbatoio, un buon genoma
c’eravamo reciproci adattati
entravo, uscivo, stavamo tranquilli
vivevamo entrambe specie bene
proliferavo laggiù nella foresta
nelle loro colonie erano tanti
anche milioni e mi inebriava
il loro volo, i continui contatti…”

In Cina a migliaia i ristoranti
specializzati in cucina yewei
comprano per i ricchissimi clienti
selvaggina di terra mare e aria.
Manicomi zoologici i mercati
gabbie che brulicano di ratti
tartarughe tassi zibetti
serpenti pipistrelli pangolini
macellati in presenza – carne
che più fresca e selvaggia non si può.

Che noi umani tanto sapienti e ignari
vedi, Corona, ti abbiamo favorito.
Siamo potenti, desertifichiamo
deforestiamo, e l’aria si scurisce
la terra cretta, il mare risale
uragani si avvicendano a tornadi.
Siamo ricchi, abbiamo costruito
megalopoli intensive come
gli allevamenti a mille a mille
di porci, e vacche, di galline e polli.

E di fatto noi siamo la tua carne
tuo cibo e pasto, tua sopravvivenza
carne fresca per te, Corona virus.

(Nella tua storia, se qualcuno la scrivesse
questa è una guerra vinta, un impero.) Continua a leggere

Giuseppe Conte, “Davanti ai miei occhi il mare”

Giuseppe Conte, Credits ph. Dino Ignani

di GIUSEPPE CONTE

Tristi record si sono accumulati durante l’isolamento in casa per l’Epidemia. Me ne sono reso conto all’improvviso. Dal compimento dei diciotto anni in poi, non ero mai stato settanta giorni di fila sotto lo stesso tetto , né settanta giorni di fila nella stessa città. Non ero neppure mai stato ininterrottamente per settanta giorni insieme a mia moglie. E non ero mai stato tanto senza vedere né sognare il mare. Perché nella mia vita ho sempre vissuto sul mare, in Liguria, in Bretagna, a Nizza, e quando abitavo giocoforza lontano dalle sue rive, non passava certo più di una settimana che non mi chiedessi dove era, vedendolo in un sogno ad occhi aperti.

Fuggito per l’Epidemia da Milano, in Riviera non ho trovato pace. Impaurito, angosciato, snervato, ho avuto bisogno di ricorrere al mio antico amico chiamato Valium. E alla mia amica ancora più antica chiamata poesia. Mi sono inchiodato al computer, stretto tra due tavoli in questo antro cavernoso dove i libri stanno come stalattiti e stalagmiti , deciso a non fare più un passo, a commerciare con le ombre e a diventare un’ombra io stesso. L’inverno finiva, una primavera inutile baluginava al di là della vetrata. Continua a leggere

Alberto Casadei, “La rivoluzione poetica”

Alberto Casadei

La consapevolezza della metamorfosi.
Sul nostro tempo dopo il primo assalto del Covid

DI ALBERTO CASADEI

Dopo ogni evento traumatico per una collettività, adesso addirittura per il mondo intero, ci si interroga su come le arti, e in particolare la poesia, possano rispondere adeguatamente. In questo senso, le parole più celebri restano quelle perentorie di Adorno sull’impossibilità di scrivere dopo Auschwitz se non compiendo un atto “barbarico”, cioè di inconsapevole fruizione di un bello diventato ormai velenoso. Eppure grandissimi poeti come Celan vollero appunto scrivere per intercettare il senso dell’evento nefando.

Riproporre poesia o arti in genere come se nulla fosse accaduto sarebbe impossibile, certo, ma anche chiedere alla poesia una via maestra per indicare il futuro sarebbe velleitario. È in queste condizioni che si ripropone il senso perenne di ogni gesto artistico, quello di rendere percepibile un nucleo di senso altrimenti non evidente o addirittura occulto. Se fino a poco tempo fa pensavamo che la poesia in particolare andasse esclusivamente nella direzione dell’individualismo e del narcisismo, tipici della cultura occidentale, è chiaro che questo aspetto risulterà per tutti solo uno di quelli del ‘poetabile’, mentre si dovranno trovare i mezzi per descrivere una condizione di continua metamorfosi, nella quale all’improvviso gli spazi e i tempi che pensavamo fossero in nostro possesso sono ridiventati degli apriori che ci condizionano. Per alcuni mesi tutti siamo stati soprattutto tempo da riempire in uno spazio fisso, e ora dovremo riadattarci a spazi che ci risulteranno estranei, produrranno senz’altro l’Unheimlich come tutto ciò che pensavamo nostro e torna a noi come ‘altrui’.

Noi ci sentiremo come parti di una trasformazione, che è la condizione che in genere percepiamo come controllabile, all’interno delle nostre vite quotidiane, e invece non lo è: come nell’immagine di Escher che accompagna queste righe, passiamo dalla materia bruta alla costruzione razionale, dall’animalesco al civilizzato, dall’indistinto all’individuale – ma possiamo anche compiere il cammino inverso. In questa metamorfosi incessante la poesia dovrà trovare i motivi per cui è giusto cercare una strada, una direzione che riguardi l’umanità di tutti. Continua a leggere

Una poesia inedita di Biancamaria Frabotta

Biancamaria Frabotta credits ph Dino Ignani

L’ASSENZA 

di Biancamaria Frabotta

In una buia alba di vento
ho rimesso al mondo i morti
sognando a occhi chiusi
come è giusto che sia.
L’assenza unisce e disunisce
avvicina e divide ai vivi i risorti.
Di questa sacrosanta finzione
Ridevamo di gusto, mirabile irreale.
Capirete. Dall’alto qualcuno attende
una parola. Altro miracolo non conosco.
Capirete. Non posso svegliarmi ora.
È un addio senza domani.
Ancora qualche minuto
La realtà può attendere.
Capirete. E non mi crederete. Continua a leggere

Alessandro Cucchi, “Linea Covid”

 

Bianca H3

Chi mette la mascherina è un pezzo di merda
di Alessandro Cucchi

-Pronto?-
-Linea Covid-23, sono il medibot Bianca H3, proceda con la descrizione dei sintomi-
-Buongiorno io chiamavo per sapere..-
-Sapere non è consentito in questo momento. Proceda con la descrizione dei sintomi-
-Prima della descrizione volevo spiegarle il perché sto…-
-Non ho bisogno di alcun perché, sono un medibot preparato alla situazione, per velocizzare la pratica e diminuire il fattore di rischio, lei mi deve immediatamente riferire quali sono i suoi sintomi-
-Senta, mi scusi, forse non dovevo chiamare..-
-Sto attivando la rete anti-complottismo. Estraggo i suoi dati dall’etere. Lei si chiama Lillo Hu, residente nel blocco3, ex conglomerato urbano chiamato Napoli.
La sua temperatura attuale, rilevata tramite il telefono da cui sta chiamando, è lievemente sopra la media. Le telecamere del suo lampadario indicano un lieve eritema alla gamba sinistra, la risonanza magnetica appena svolta dal suo forno a microonde evidenzia tre siti di infiammazione, relativi al ginocchio sinistro, alla vertebra L5 e al fegato; inoltre siamo di fronte una calvizie imperante.
Un drone ambulanza si sta già dirigendo alla finestra della sua cucina, la spalanchi o farò predisporre l’apertura forzata dal dipartimento di Domotica, sto attivando il codice Ventana-.
Lillo mise giù il telefono. La linea si interruppe, ma il processo era già stato avviato. Il sistema domotico della sua abitazione scricchiolò, craccato velocemente dalle entità governative. La finestra della cucina, tapparelle verdi, iniziò ad aprirsi senza un rumore. Continua a leggere