Gianluca Furnari, “Rileggere Virgilio”

Gianluca Fùrnari

«Omnibus una quies operum»

di Gianluca Furnari

Rilevare le variazioni di rotta della poesia è difficile anche in tempi non sospetti; non tenterò quindi d’immaginare un dopo-pandemia. Mi limiterò a proporre, a mo’ di auspicio, un passo di Virgilio, cantore di Astrea e della rinascita cosmica.
Il terzo libro delle Georgiche racconta la peste degli animali del Nòrico, che il poeta definisce una «malattia del cielo» (morbus caeli); il quarto gli fa da contraltare con la sua esposizione della vita delle api. Mi sembra che l’esperienza del virus getti una luce nuova sul legame sotterraneo tra questi due libri: se alla fine del terzo, nel contesto della peste, il contatto fisico è presentato in una luce sinistra, come veicolo di contagio, il quarto riafferma, per converso, la nostalgia della socialità e del lavoro: l’alveare è il luogo rappresentativo di tale nostalgia, divenutaci, in questi mesi, tristemente familiare.

Parlo di nostalgia perché le api del quarto libro delle Georgiche commuovono fino alle lacrime. Questo però non c’entra niente con i buoni sentimenti, perché la dedizione delle api al lavoro e alla socialità non implica necessariamente amore per il prossimo, e anzi i loro capi, come i nostri, si fanno la guerra. Un lettore diffidente direbbe che queste api sono sì insetti ammirevoli, ma restano sempre uomini.

Il passo che qui vi propongo ci dice almeno tre cose: che il vincolo sociale è tale anche quando, all’ombra del pericolo, si sta in casa e si cambia modalità di lavoro (per le api il «lavoro agile» è la raccolta dell’acqua intorno all’alveare); che la dignità del lavoro è un motore più forte della paura; che la civiltà e la memoria sono più forti dell’individuo: un’idea, quest’ultima, pericolosa quanto si vuole, ma trattata da Virgilio con immagini bellissime e il pragmatismo schietto d’un uomo di campagna.

Quella che vi offro di seguito vorrebbe essere una mia versione «equilirica» dal quarto libro delle Georgiche, meno rispettosa della lettera che dello stupore di questi versi. Soggetto implicito sono, naturalmente, «le api». Continua a leggere

Diego Bentivegna, “Il fiume mare”

Diego Bentivegna

DIEGO BENTIVEGNA  
Dopo quasi tre settimane chiusi a casa, un mese fa abbiamo ripreso ad andare in bicicletta.
Almeno una volta alla settimana, facciamo una lunga strada in bicicletta, fuori cittá, verso il Nord, dove sono nato e dove ho vissuto fino ai 28 anni.
Al Nord vivono i miei. E vive anche la madre di M.
In bicicletta, quei giorni, andiamo anche fino la casa del padre di M., che abita a 18 kilometri da casa nostra, a Victoria. Sempre verso Nord.
Per fare tutto quel pellegrinaggio, per arrivare all´ultima stazione del percorso e per tornare a casa nostra, bisogna quindi intraprendere una bella escursione, sotto alberi che, nei giorni d´autunno, hanno le foglie un po’ gialle, un po’rossastre, un po’ marrone.
Vicino al fiume.
Si è parlato tantissimo d´animali in queste settimane. Ho letto anche testi bellissimi sul rapporto tra uomo, animale, ambiente.
A dire il vero, già qualche messe prima che arrivasse il male, abbiamo visto un certo cambiamento nel nostro rapporto – diciamo un po’ lontano (da anni che non ho neanche un gatto) -, con i veri altri, con gli animali.
D´estate, nei colli, a Calamuchita, ci piace guardare gli altri.
Quasi ogni sera, quando cade il sole, usciamo di casa per trovare i gufi.
Quasi ogni mattina, verso le undici, andiamo fino il fiume del paese per guardare dalla riva gli uccelli acquatici. Siamo andati oltre il fiume, dove una azienda mineraria ha aperto enormi pozzi, oggi con acque, dove abitano cigni e dove abitano anche delle anatre.

Continua a leggere

Giusi Sorrenti, “Necessità e diritti costituzionali”

 

Giusi Sorrenti

 

Necessità come fonte del diritto e libertà sospese?

di Giusi Sorrenti

Negli ordinamenti democratici dell’Occidente contemporaneo è stato necessario, non un tiranno, ma una zoonosi irradiatasi nella provincia cinese del Hubei per soffocare le libertà a colpi di decreti del Presidente del Consiglio, riproducendo nell’immaginario collettivo la figura, già condannata dal recente passato, dell’“uomo solo al comando”. Alcuni, dinanzi alle drastiche limitazioni imposte ai cittadini per scongiurare il dilagare dell’epidemia ed il collasso delle strutture sanitarie, hanno invocato l’estrema reazione della disobbedienza civile. Il richiamo immediato è andato al mito di Antigone, l’eroina più grande d’ogni tempo, che si ribella alle leggi della città per ribadire il suo senso di umanità. Due i valori oggi da difendere: la democrazia (forse cara solo ad alcuni) e la libertà. Cominciamo dalla prima.

La storia costituzionale e i suoi studiosi conoscono molto bene i pericoli che l’emergenza comporta per la democrazia. Il filosofo del diritto Carl Schmitt includeva nel funzionamento dell’ordinamento la previsione dello stato d’eccezione, ipotizzando il sopraggiungere di un momento nel quale si sarebbe reso inevitabilmente necessario abbandonare le procedure democratiche per imboccare un’altra strada. È l’idea dello “stato di necessità” come fonte del diritto. Una clausola simile era stata inclusa nella Costituzione di Weimer adottata in Germania nel 1919 ed è tristemente nota per aver consentito l’avvento al potere di Hitler. L’esperienza insegna a diffidare da queste visioni teoriche o da altre affini, per lo spirito illiberale che le pervade e che si manifesta nel lasciare aperta all’interno dell’edificio giuridico una falla per sfuggire da quelle che sono considerate le pastoie decisionali dei Parlamenti moderni.

Anche riguardo alle modalità di gestione dell’epidemia è serpeggiata la convinzione che si sia fatto ricorso nel nostro Paese a procedure extra-giuridiche, aprendo una fase di “sospensione costituzionale”. Ciò ha sollevato dubbi sulla sua durata e sulla possibilità di ritornare presto o tardi alla piena fisiologia. La perplessità è legittima, anche se sottende al fondo il messaggio che le procedure democratiche siano un lusso per i tempi facili, che non ci si può permettere in quelli difficili, dimenticando che la Costituzione è stata scritta da giuristi che avevano attraversato uno dei momenti più bui della storia del pianeta. Un atteggiamento nel quale si annidano, come ha notato recentemente il Presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri, «cesarismo e bonapartismo, ritenuti – a destra e a sinistra – fattori di accelerazione del cambiamento politico e sociale, in contrapposizione all’equilibrio del vecchio Montesquieu, considerato fattore di immobilismo e di conservazione». E non è un caso che, nel momento in cui la politica come sede di canalizzazione (delle varie visioni) dell’interesse generale del popolo implode su scala planetaria nel più grave collasso mai sperimentato, svuotando di sé le sedi della democrazia parlamentare, prendano sempre più piede le forme di una “democrazia dell’acclamazione”, basata sul rapporto diretto dei cittadini con il loro capo, che offrono ai consociati in cambio di quanto si è perduto al massimo un’illusione o un surrogato di sovranità. Continua a leggere

Vincenzo Fano, “Dobbiamo ripensare il posto dell’uomo nell’albero della vita”

Vincenzo Fano

MODELLI MATEMATICI E COMPORTAMENTI UMANI

L’epidemia che stiamo vivendo ha portato alla ribalta i numeri, come ha notato Michela Murgia, scrittrice e dottore di ricerca in matematica. Ci sono in effetti modelli matematici abbastanza semplici che spiegano l’andamento del contagio. Tuttavia essi non sono in grado di predire quello che accadrà, se non nel breve periodo. Questo perché l’andamento dell’infezione dipende in modo sostanziale dai comportamenti umani. Dobbiamo quindi integrare i modelli matematici con fattori che tengano conto di ciò che fanno le persone. E questo è molto difficile, ma non del tutto impossibile. L’epidemiologia comportamentale, se così possiamo chiamarla, ha già ottenuto interessanti risultati nel caso dell’esitazione vaccinale. Oggi per la prima volta dobbiamo mettere a punto qualcosa di simile riguardo alla diffusione del virus e al rispetto da parte dei cittadini del distanziamento fisico.

SCIENZA E AUTORITA’ AI TEMPI DELL’EPIDEMIA

Per un attimo, lasciamo perdere le fake news, che circolano a tonnellate in questi drammatici mesi. Consideriamo, invece, opinionisti di grido o compagni dei social che, riguardo a una delicata questione di policy sanitaria, che dipende dal possesso di informazioni abbastanza certe sul comportamento del virus, per difendere la loro opinione, affermano: “Ma lo ha detto Pinco Pallino, noto virologo!” Continua a leggere

Stefano Raimondi, “Tremare”

Stefano Raimondi

di

Stefano Raimondi 

 

Eppure mi ero svegliato presto. Il sole aveva ancora il sapore dello zucchero filato appena fatto. Niente si muoveva smodatamente. Tutto aveva ancora un contorno pulito.  Lavandomi il viso sapevo che tutto era nel sogno: quello che avevo vissuto, quello che avevo visto. Un paese di invisibili viveva invisibilmente quello che dall’invisibile era stato colpito. Uno strano corpuscolo puntiforme stava attaccato ai respiri degli umani e quando colpiva qualcuno, faceva sparire la visibilità al malcapitato oltre che il fiato. Tutto diventava affannatamente pesante e tutto era come dentro una faticosa corsa. Nessuno più né si vedeva, né si riconosceva. Si camminava invisibili come si poteva nel tentativo disperato di farsi vedere. Ma più nessuno sapeva come ritrovarsi! Restavano le case a proteggere l’Invisibilità di ognuno. Lì ci si proteggeva dal fuori, dagli sguardi vogliosi di vedersi e repressi nel non riuscirci più. Le strade si sbendavano veloci tra le luci e per qualche ora sembravano aprirsi a qualcosa che sarebbe comparso. Ma poi ritornavano a raggomitolarsi nei cassetti e le città sbattevano ripetutamente le ante delle credenze, le assi delle loro bare di luce. Ogni mattina era un tentativo per ognuno: ognuno cercava disperatamente di farsi vedere. Ogni ricominciare nei giorni era una manovra per rendersi visibili e avvicinabili. Ma le distanze erano peggio delle menzogne. Tutti sospettavano, tutti presumevano, tutti iniziavano a non credere più a nessuno. Ma quello strano corpuscolo puntiforme teneva tutti ben nascosti nelle loro invisibilità ed oltre tutto, si era subito e arditamente dimostrato molto contagioso. Chi riusciva a farsi vedere forse diventava immune, ma anche questa era forse una bugia. Ma la questione era proprio quella: riuscire a farsi vedere senza fare paura. Continua a leggere