Tiziano Scarpa “Groppi d’amore nella scuraglia”

Tiziano Scarpa

Il poemetto Groppi d’amore nella scuraglia di Tiziano Scarpa arriva alla terza edizione dopo quelle, in altre collane einaudiane, del 2005 e del 2010.

Un’edizione nuova per interventi strutturali dell’autore, oltre che per l’aggiunta di un testo in appendice.

In questi quindici anni di vita la saga comica e poetica di Scatorchio, che per fare dispetto al suo rivale in amore aiuta il sindaco a trasformare il paese in una discarica di rifiuti, ha avuto molti lettori e molti spettatori dato che il poemetto, di intima natura teatrale, è stato più volte messo in scena.

È un libro originalissimo, scritto in una lingua dialettale inventata, sapientemente primitiva.

Nel monologo si affollano le voci di personaggi indimenticabili, come l’amata ma non bellissima Sirocchia, la vidova Capecchia, che scoprirà di non essere tanto vedova, lu nonnio, maestro di educazione sentimentale… E un bestiario di esseri non meno infelici e desideranti degli uomini: lu gatto gattaro, lu cane canaglio, lu rundenello, lu surcio pantecano.

Scatorchio parla con loro come parla con Gesú e con la Maronna e Iddio Patro in una lingua che attinge alle parlate centro-meridionali ma anche ai volgari delle origini. Continua a leggere

Andrea De Alberti, “La cospirazione dei tarli”

Andrea De Alberti

«Ho tolto il suo peso a un uomo perduto»: La cospirazione dei tarli può essere letto come una biografia poetica di Cervantes. I tarli non sono quelli in una vecchia edizione del Don Chisciotte: sono tarli mentali eppure reali. Infatti questo libro racconta anche la storia di Francesco Pacheco, quel pittore che dipinse tutti i più grandi personaggi spagnoli del suo periodo a eccezione di Cervantes. La ragione è curiosa: Pacheco era ossessionato dal rumore dei tarli nella tela e non riuscirà mai a terminarne l’opera. Spetterà così solamente a Cervantes costruire passo dopo passo la sua vicenda personale e letteraria attraverso la figura del Chisciotte, perché «chi tradisce una segreta abitudine è sotto minaccia di una stagione di fuoco».

da La cospirazione dei tarli, L’universo di don Chisciotte, Interlinea 2020

Questa formula è una differenza di livello,
una relazione possibile tra due vite
in un cammino curvo.
Non dovrei fare ciò che faccio,
è senza dubbio bello vedere le cose,
ma non farne parte.
Così mi sono attribuito una figura,
un cavallo, un’alterazione nervosa
per una donna chiamata Dulcinea,
l’inconveniente di un’anima buona.
I contadini costruiscono falsi posti di blocco e
sono sicuro dell’esistenza dei mulini a vento,
ma vi faccio credere altro, infrango le leggi
e voi vi infatuate del mare e delle vie sotterranee.

*

Cosa c’era di più bello dello starsene
seduti sulla groppa di un cavallo?
Dove la coda si snodava lunga e caotica
come i sentieri della Mancha.
Chiudere gli occhi. Aprire gli occhi. Richiuderli.
Qualche centimetro più in basso sentire
l’acqua o il desiderio di volare
tipico dei bambini e degli adulti con disturbi.
Niente poteva fermare gli enormi sciami.
Non mi era permesso di tagliare da solo il sipario che calava.

 

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Marco Bini, da New Jersey

Marco Bini

Un racconto, impossibile. La provincia è così: non si afferra, non ne prendi esattamente tutti i contorni. E lo sai, l’insicurezza è l’approdo che la poesia t’insegna. Sono queste le due colonne d’ingresso al libro, parole di Luigi Ghirri e di Iosif Brodskij. Ci salutano, ci dicono: forza, entrate, ecco il nostro–vostro New Jersey. Sa di Terra promessa, questo libro di Marco Bini, anzi di terra e di promessa, «mattone–memoria della terra» e promessa di vita, avvertita tanto da volere, un tempo e forse ancora, «che smettesse tutto quanto» e allo stesso tempo che davvero non finisse. Sentirete, tocca ognuno di voi questo bilico, voi che state per entrare. Vedrete, vi riguarda, se tentati come credo tutti lo siamo di narrare la nostra storia, la nostra benedetta terra.

Dalla prefazione di Cristiano Poletti

Da New Jersey, Interno Poesia, 2020

Dovremmo credere ai cartelli quando come costole
spalancano al cuore spazio per pulsare,
se l’alluminio rifrange in cifre la misura
del divario fossile che basta a sentirci persi

o vederli come sfregi verticali al modo che abbiamo
di sbirciare l’orizzonte del nostro New Jersey
ma senza ponti per il centro dove agglomerarsi
nel nucleo vulcanico dove fabbricano la luce?

*

Forse più la prima, specie quando le statali
affondano, si fanno radici, vengono a prenderci.
Le aspettiamo, si facciano avanti:
ci tengono a distanza.

Al capo estremo del tracciato siamo
dove ai giorni non si attaccano aggettivi,
siamo deposito e sedimento,

siamo i pezzi che nell’esplosione volano lontano. Continua a leggere

Guido Gozzano, da “I colloqui”

Guido Gozzano

La collana «Interno Novecento» ripropone la raccolta che consacrò Guido Gozzano (1883-1916) come un classico: I Colloqui (1911). Il libro si arricchisce di una scelta dei più riusciti e celebri testi dell’altra silloge da lui pubblicata nella sua breve vita (La via del rifugio, 1907), e di quelli rimasti dispersi in rivista o del tutto inediti. Ha scritto Montale che Gozzano «entrò nel pubblico come poi non avvenne più ad alcun poeta: familiarmente, con le mani in tasca». E con questo suo porgere studiatamente svagato, ora affettuoso ora ironico, ha ritratto un universo di piccole cose e di vite ‘minori’ (la signorina Felicita, il vecchio custode analfabeta, ma anche le farfalle e le «disperate cetonie capovolte») con un dettato semplice e musicale, forte di un estro inconfondibile. La cura di un poeta-filologo come Alessandro Fo dispone attorno a questa galleria di piccoli capolavori una rosa di apparati che adeguatamente introduce a una voce divenuta ineludibile nella nostra cultura poetica.

Totò Merùmeni

i

Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei

balconi secentisti guarniti di verzura,

la villa sembra tolta da certi versi miei,

sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura…

Pensa migliori giorni la villa triste, pensa

gaie brigate sotto gli alberi centenari,

banchetti illustri nella sala da pranzo immensa

e danze nel salone spoglio da gli antiquari.

Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,

Casa Rattazzi, Casa d’Azeglio, Casa Oddone,

s’arresta un automobile fremendo e sobbalzando,

villosi forestieri picchiano la gorgòne.

S’ode un latrato e un passo, si schiude cautamente

la porta… In quel silenzio di chiostro e di caserma

vive Totò Merùmeni con una madre inferma,

una prozia canuta ed uno zio demente.

 

 

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