Nino De Vita, nello scrigno della parola

Nino De Vita

MARTINU

Parlai ra luna.
Eramu una ricina,
nterra, aggiuccati,
a ggiru, nno jardinu.

Parlai ru bbiancu
ra luna;
ri màculi nno bbiancu
ra luna; ra luci
chi scoppa ri nna luna.
Ascutàvanu a mmia
taliannu ’a luna.

Cc’era Martinu,
’u picciriddu ch’avia
l’occhi astutati, nzèmmula
cu nniatri:
stava cu ’a testa calata,
’i manu ncapu l’erva
chi spuntava.

Parlai ra luna,
tunna e a fàuci;
ra mezzaluna;
ru jocu ra luna
chi s’ammuccia nne nèvuli
e s’affaccia…
E a ccorpu Martinu
mi firmau.
“È bbedda”
rissi “ ’a luna!”

MARTINO. Parlai della luna./ Eravamo una diecina,/ per terra, accovacciati,/ a giro, nel giardino.// Parlai del bianco/ della luna;/ delle macchie nel bianco/ della luna; della luce/ che viene dalla luna./ Ascoltavano me/ guardando la luna.// C’era Martino,/ il bambino che aveva/ gli occhi spenti, insieme/ a noi:/ stava a testa bassa,/ le mani sull’erba/ appena nata.// Parlai della luna,/ tonda e a falce;/ della mezzaluna;/ del gioco della luna/ che si nasconde fra le nuvole/ e riaffaccia…/ E all’improvviso Martino/ m’interruppe./ “È bella”/ disse “la luna!”

 

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Antonella Anedda, da “Notti di pace occidentale”

Antonella Anedda

Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell’ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.

Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l’attesa marina – senza grido – infinita.

Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell’enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
– da brughiera –
sulla terra del viale.

Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

Antonella Anedda, da Notti di pace occidentale, Donzelli Poesia, 1999 Continua a leggere

Gino Scartaghiande, da “Oggetto e circostanza”

Gino Scartaghiande / Credits ph. Dino Ignani

 

Non ho mai conosciuto la collocazione

Ricordo la sera esattamente
Da collocare, temporalmente parlando,
in un anno compreso tra
Dei muri, delle strade.
Che non (si) potevano (chiamare) più
(essere chiamati) muri, strade.

Il nome

I

Frantumazione di cristallo assorbita dal
corpo, schegge, relitti, aspre punte di vetro
inseguenti il loro metabolismo dentro le
braccia. Ancora disteso sul letto, con lo
spavento che incomincia a precipitare dalle
fenditure, dai vuoti delle finestre. Il nero
oleoso, impossibilmente denso, invade la stanza.
M’invade, copre tutto, assorbe tutto. Congloba
tutto. Tutto in effetti già conglobato da sempre.

Se la stanza, la tua stanza, non è più. Non è
mai stata; se non lo stesso nero universo
oleoso; ondulante. Mare che volge e rivolge
la sua sabbia nera: granellini coinvolti
nelle miriadi di combinazioni.

Ora sai bene, lo sai per certezza: il mare
d’acqua azzurra non esiste, non esiste il
cielo azzurro, non esistono le pareti azzurre
della tua stanza e nemmeno i vetri, i frantumi
di vetro, e le finestre.

L’esistenza non ha di queste topografie.
L’esistenza è oltre lo schermo di una
stella che brilla, oltre il polarizzante
cerchio d’oro del sole. L’esistenza non
è dedita allo sfruttamento della morte.

Coltiva questa frantumazione vetrosa
all’interno di te. Frantuma i milioni
di finestre divisorie, lascia che lo sfaldamento
prenda luogo dove entra l’esistenza.

So di certo chi sei, chi sono. L’asfalto
grigio della strada. Il tuo sangue sull’
asfalto penetratomi sin d’allora. E so
che altre strade dovrò ancora assorbire,
altro vetro frantumare, prima di poter
pronunciare il tuo nome, che sarà anche mio
e infine nostro. Ti chiamerò Rosa Luxemburg.
Mi darai il nome. (lasciare 2 spazi)
Ti chiamerò mentre ti uccideranno. Sarà
come ricevere una tua lettera d’amore.
Dovrò meritarla. Ora ancora no.

I gradini scorrono lontano, fuggono come
tastiere di pianoforte, fuggono in tutte le
direzioni. Non so se muovermi coi piedi o se
affidarmi all’ascolto. Ma devo assolutamente
trovare il punto ove tutti i gradini e
tutte le voci confluiscono. Un foglio
trasportato dal vento, un grido d’aiuto
basterà?

Ora. Sono pronto a barattare ogni cosa
per questo incontro. E vedo talmente bene
il nero che cola sui gradini. Anche dagli
occhi, anche gli occhi che vedono colano
nero, come assassini che complottano,
che attentano.

Sono pronto. Ma non ancora in stato di
grazia. Cara Rosa, oggi è stata una
giornata piovosa, ma stasera il cielo

era sgombro e c’erano le stelle.
Sento di svegliarmi, non so ancora
dove. Con ostinata certezza percorro
tutte le ferrovie della terra.

Morire è un lusso che non possiamo permettere
né alla fantasia né alla pratica quotidiana.
E soprattutto a quest’ora di notte, nella strada
così nera e deserta, col silenzio gravido
che vorrebbe scoppiare in fragorosa giornata
d’estate, con bagnanti al mare e bambini
che giocano, mare che volge e rivolge
la sua sabbia nera: granellini neri
coinvolti nelle miriadi di combinazioni.
Ora sai bene, lo sai per certezza:
il mare d’acqua azzurra non esiste.

Il ritardo assunse toni fatali. Erano
esattamente 5 giorni d’assoluto silenzio.
Muti io e lei. Neri e muti. Da 5 giorni
seduti al tavolino del bar, bevendo un caffè
che non finiva mai. 5 giorni oscuri come 10
notti. Vestiti di una pesante e appiccicosa
calzamaglia nera, sentimmo il turbamento
di una rondine su di un umido filo di
telegrafo, prima di partire, in autunno,
giornata piovosa, quasi sera. E un’altra
rondine sul filo opposto. Continua a leggere

Sotirios Pastakas, da “Canti di misconosciuta gloria”

Sotirios Pastakas/ Credits ph. Dino Ignani

A N T E P R I MA        E D I T O R I A L E

Oggi, 13 dicembre 2020, in occasione del 66esimo compleanno di Sotirios Pastakas, pubblichiamo due sue poesie inedite tratte da Canti di misconosciuta gloria, in preparazione dalle Edizioni Multimedia di Salerno, nella traduzione dal greco di Maria Allo. Pastakas, tradotto il 16 lingue, è considerato da molti uno dei maggiori poeti del nostro tempo.

 

ΝΟΣΤΑΛΓΙΑ ΤΗΣ ΤΖΙ ΜΠΙ

Τα μεγάλα μπαρ έχουν
μικρές περιστρεφόμενες πόρτες.
Στα λαϊκά, αντιθέτως
μπαίνεις από παντού
-κι από τις τζαμαρίες.
Τώρα που σκορπιστήκαμε
στην περιφέρεια σαν ΑΑ
(αμετανόητοι αλκοολικοί)
και κατακτήσαμε
κάθε γωνιά της Αθήνας,
άλλος στα Πετράλωνα
και άλλος στη Γλυφάδα,
απόστολοι του ρήματός σου
Κύριε Νικολόπουλε,
τώρα που η Πλατεία Συντάγματος
έχει γεμίσει σκηνές και παραπήγματα,
και η Τζι Μπι γέμισε σκαλωσιές
και χτίστηκε η πόρτα της,
η πόρτα που μόνο εσύ
θα μας ανοίξεις πάλι
το προσεχές Ιωβηλαίο,
γιατί δεν νοείται Πάπας
χωρίς καρδινάλιους,
κι Οδύσσεια δίχως συντρόφους.
Κύριε,
ελπίζουμε σε μια επιστροφή:
όπως ελπίζει ο ακρωτηριασμένος
να ξαναβρεί το ακρωτήρι του
κι ο ερωτευμένος τη δύναμη
να μισήσει πάλι
κι η γυναίκα να ξαναστήσει
το στήθος της,
κι ο άντρας να πάρει πίσω
τις τρίχες που έχασε σαν όνειρα
πάνω στο μαξιλάρι,
που τα σβήνει ένα καλό πρωινό
με σολομό και σαμπάνια,
κι ο φίλος να ξαναδεί την ανατολή
από μια ταράτσα πάνω στη θάλασσα
άμα χαράζει στο Αιγαίο,
περιμένω να χαράξει Κύριε
πάνω στο μόγκανο της μπάρας,
εκεί στο δεύτερο πάντα σκαμπό
εκ δεξιών του μπάρμαν,
εφόσον θα ξανανοίξει η Τζι Μπι
κι ο Τζιόβε Μπενεφακτόρους
επιτρέψει
να γεμίσει πάλι με Αρβανίτες
η πλατεία Συντάγματος
και μετανάστες κι επαρχιώτες
που θα σουλατσάρουν άσκοπα
και θ’ ανταλλάσσουν κινητά
βλέμματα και βιώματα,
ας επιτρέψει και σε μένα
να είμαι πάντα εκεί
δεύτερο σκαμπό
στ’ αριστερά της σάλας
ώσπου να με ρίξεις κάτω Κύριε,

να πίνω, να καπνίζω και να σκέφτομαι.

NOSTALGIA DI GB

I grandi bar hanno
piccole porte girevoli.
In quelli popolari, al contrario
arrivi da ogni dove
-pure dalle finestre.
Adesso che siamo sparsi
in periferia come AA
(alcolisti impenitenti)
e abbiamo conquistato
ogni angolo di Atene,
uno a Petralona
e un altro a Glyfada,
apostoli del tuo verbo
Signor Nikolopoulos,
ora che piazza Syntagma
è diventata un cantiere edile,
e GB è coperta da impalcature
e hanno murato la sua porta,
la porta che solo tu
riaprirai per noi
nel prossimo Giubileo,
perché non si intende un Papa
senza cardinali,
e Ulisse senza compagni.
Signore,
speriamo in un ritorno:
come spera il mutilato
per riscoprire il suo mantello
l’innamorato nel potere
odiare di nuovo
e la donna per rialzarsi
i seni,
e l’uomo riavere
i capelli persi come sogni
sul cuscino,
cancellati da una buona colazione
con salmone e champagne,
e l’amico per rivedere l’alba
da un tetto sul mare
quando albeggia nell’Egeo,
sto aspettando che fa giorno
sul mogano del bar, Signore
lì sempre sul secondo sgabello
a destra del barista,
se GB riapre
e Giove Benefactorus
permetta
di essere riempita di nuovo con forestieri
la piazza Syntagma
e immigrati e provinciali
gironzolare senza meta
e scambiarsi cellulari
sguardi ed esperienze,
lascia
che anche io ci sia sempre
sul secondo sgabello
a sinistra della sala
sino ad abbattermi, Signore,
a bere, fumare e pensare.

(GB, il mitico bar dell’albergo Gran Bretagna, su piazza Syntagma ad Atene, di proprietà e gestione Italiane) Continua a leggere

Una poesia inedita di Luigia Sorrentino

Luigia Sorrentino / credits ph. Angelo Nitti                            

 

 

Per Antonio Grasso

 

cadevi sempre nei miei occhi
sulla strada

eri capace di fissare
il fuoco per ore
come una belva uscita dalla tana

la parola umida aleggiava nell’aria
di dicembre

l’ardere muto tutto chiuso
nella fornace pettorale

facemmo un patto quella sera

io sarò la tua ombra
tu l’animale di furia
divampato
in un cuore solo

[luigia sorrentino]

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