Giuseppe Carracchia, “Prova del nove”

 

CARRACCHIAGiuseppe Carracchia è nato nel 1988 ed è cresciuto a Palazzolo Acreide. Ha studiato a Bologna, a Catania, dove si è laureato in Lettere Moderne con una tesi in Antropologia Culturale, e a Torino, dove ha conseguito la laurea magistrale in Filologia Italiana.

Tra i libri di poesia editi: ‘Il verbo infinito’ (Prova d’autore, 2010) e ‘La virtù del chiodo’ (L’arca Felice, 2011). L’ultimo, ‘Prova del nove’, è uscito per Giuliano Ladolfi Editore.

Suoi testi sono inseriti nell’antologica “Generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta” (Ibid., 2011) e in Post ‘900. Lirici e Narrativi (Ibid., 2015), e hanno ottenuto alcuni riconoscimenti (tra cui il premio Lerici Pea giovani, 2011).​ Continua a leggere

Valentina Colonna, “La cadenza sospesa”

 

ColonnaDalla Prefazione di Davide Rondoni

La poesia di Valentina Colonna è un fiore di musica e di solitudine. La natura profonda della sua voce sale da due esperienze vaste che attraversano tutto il suo vissuto: una è la musica di cui lei è interprete e studiosa, l’altra è una radicale solitudine esistenziale, quella che i poeti devono conoscere per poter dare fiori per tutti.

La poesia accade in quest’autrice quasi come controcanto, come segno complementare e però in certa misura opposto alle due potenze che la abitano. […]

Credo che Valentina Colonna sia una innamorata della “possibilità”. Del resto il suo amato repertorio barocco (è specializzata in quella musica per clavicembalo e piano) è una testimonianza tra struggimento  e virtuosismo della “possibilità” come categoria fondante dell’esistenza.

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Pasquale Di Palmo, “Trittico del distacco”

cover_trittico_del_distaccoDalla prefazione
di Giancarlo Pontiggia

Bisognerà iniziare dall’epigrafe agostiniana per comprendere questo nuovo – essenziale, lucido, pietoso –libro di Pasquale Di Palmo, uno degli autori più parchi e intensi della sua generazione: «Quale uomo farà intendere ciò ad un altro uomo? Quale angelo a un angelo? Quale angelo a un uomo?». […]
Fin dal titolo, Trittico del distacco ci immette dunque nella materia più oscura e paurosa della vita di un uomo: il tempo in cui dobbiamo lasciare le cose del mondo, discendere «in un gorgo / che sempre più ti attira / verso il fondo / verso il fondo / verso il fondo», come leggiamo nell’undicesima stazione della seconda sezione (Centro Alzheimer), interamente dedicata al padre del poeta. La triplice iterazione del verso, qui, intensifica il tema del distacco, acuendo – con i toni spogli e severi tipici della poesia di Di Palmo – l’ineluttabilità dell’evento. Eppure, a ben guardare, i due sostantivi di questi versi («gorgo»; «fondo») – il primo dei quali ricorre in un verso di Sbarbaro («mi basta sul gorgo sentire che esisto»), già posto da Pasquale Di Palmo in esergo a Horror Lucis – non esprimono alcuna speranza di futura quies. Né in tutto il libro potremmo trovare un solo termine che alluda alla salvezza: morire non è altro che un rientrare in seno al corpo della natura da cui tutto venne, e al quale tutto ciclicamente si volge, «laddove non esistono che nuvole / ignare di ogni nostra parentela» (Centro Alzheimer, X, 18-19). E ancora nella prima parte del Trittico, Mirco, il cugino che non ha saputo (forse voluto) «guidare / la vita», non può che discendere «lungo il sentiero arioso che conduce / dove – ma non per noi – / farnetica la luce»: e già quell’aggettivo («arioso») pare molto, a chi, scrivendo, è riuscito per forza di augurio a trasformare il «cane nero» dei morti in un animale mansueto, privo della laida terribilità del Cerbero dantesco.

All’epigrafe agostiniana viene dunque accordato il solo compito di serbare viva, nell’ignoranza delle cose che stanno di là dalla vita, l’ansia di un mistero che si traduce, umanisticamente, in pietas, in un esercizio di misericordia tutta umana. Ma la potenza conoscitiva, il riverbero mistico delle parole di Agostino gettano sui versi che seguono una luce drammatica, corrusca, che li intensifica, posto anche che quell’epigrafe fosse da leggere in senso angoscioso, antifrastico. Continua a leggere

Simone Marcelli, “La giornata altrove”

giornata_altroveNota di Simone Marcelli

Non saprei dire con certezza perché io scriva e probabilmente se avessi una visone tanto lucida smetterei. È certo un modo per entrare in un contatto più diretto e profondo con la propria esistenza. Per me la poesia è sempre un dialogo con l’Altro, che si manifesta continuamente nell’ordinarietà della vita. Scrivere è allora mantenersi in quel dialogo, sostarci per poter procedere.

La giornata altrove raccoglie trenta poesie, scritte nell’arco di un anno. Sono state scritte tutte la mattina o la sera, nella mansarda dove vivo, a Bologna. Il titolo è nato da una mia riflessione circa questo mio scrivere prima o dopo la giornata e ho trovato potesse acquisire un senso più generale rispetto a ciò che credo significhi vivere e scrivere, oltre che al rapporto tra queste due dimensioni. Continua a leggere

Fabio Jermini, “Intervallo e fine”- Commento a una sezione di “Somiglianze” di Milo De Angelis

 
fabio_jermini_okNOTA DI FABIO JERMINI

Il libro nasce come approfondimento della mia tesi di laurea, che era già un commento a un nucleo di poesie della raccolta Somiglianze, discussa all’Università di Ginevra il 13 febbraio 2013, davanti al prof. Roberto Leporatti (direttore di tesi) e a Francesca Latini (giurata d’esame).
Sin dal liceo ero affascinato dalla poesia; amavo particolarmente Dante, Ariosto, Parini, D’Annunzio, Verlaine e Apollinaire. Ho scoperto De Angelis – assieme a molti altri – il primo anno di università, durante un seminario tenuto da un altro poeta, Fabio Pusterla. Dopo aver letto la poesia Due nelle forze, colpito dalla forza e dal lato enigmatico di quel tipo di poesia, “piana a intendere” sul piano morfologico, ambigua su quello sintattico, criptico su quello semantico, scelsi di lavorare su De Angelis, per il mio lavoro seminariale. Continua a leggere