Mario Benedetti, “Ve ne siete andati con il viso inerte”

Ve ne siete andati con il viso inerte
I tuoi ultimi piccoli francobolli in lire
che dovevano aiutarmi per i soldi, i soldi
arretrati della pensione ai superstiti.
La porcellana insaporita della cena,
la casa nuova con i contributi della legge
dopo il terremoto. Tutta una vita
per chi vi deve ricordare, per chi vi piange.
E piange la parola che riesce a dire.

 

da TERSA MORTE, Mondadori, 2013 Continua a leggere

Isabella Vincentini, “Il codice dell’alleanza”

NEL LETTO DEI GIORNI

 

Trascino il cuore spaventato
nel letto di marmo dei giorni,
il corpo vive stagioni impietose d’esilio
proscenio amaro d’erranza,
sogni di pietra.
Ma tra le pietre i sassi
dicono il tuo nome.

 

Sia benedetto l’esilio,
tra muri sordi e pazienza di ombre
le pietre ripetono il tuo nome.
Per cercarti in nuove stagioni
ho camminato fino all’alba, ma dimmi:
–  Esisti?

 

Vuoto il tempo che divide
inferno e paradiso,
noi senza voce
– ma chi romperà l’esilio
schiudendo i giorni del domani,
chi, raccoglierà i fiori caduti
gli sguardi chiusi come grida,
chi, avrà cura degli sguardi segreti?

 

Non scordarli,
mettili tra le cose perdute
che non tornano nei giorni del domani
raccoglili, come fiori caduti
nei letti disfatti e proibiti,
nell’addio silenzioso che
mentre muore avvampa.

 

Come finisce l’amore? Come muore un fiore?
Corolle di parole nel piccolo letto dei giorni
che snaturano la mente,
si inclina il pensiero, mentre si disfano i sogni.
Niente più scuse, cadono i veli
notti come sudario
nel vuoto giaciglio dei giorni.

 

Chi ha benedetto l’esilio?
Abbassa la voce, ma non accostarla al silenzio
chissà se tra i fiori caduti
chiederemo ancora la cecità e la pena,
l’istante e l’attesa
quando come araldi esorcizzavamo
con le parole le cose, in balia di una Parca che …

 

ascolta o non ascolta,
l’amorosa immaginazione?

Da Il codice dell’alleanza, edizioni La Vita Felice, 2018

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Alessandro Anil, (senza titolo)

Oggi, il frutto dell’inverno è caduto, ho sentito all’alba
il suo tuffo sordo e tanto preciso, quasi dormivo.
Ravvivo ora l’ascendere di un qualche ricordo,
stranamente verticale, e mi dispiacerà penso,
non trovare la brina sui vetri, il fumo dei corpi
nell’aprirsi della bocca…
Ritiro il fuoco dalle case, a poco a poco, la solitudine
dai letti, dalle antiche scale di un albergo semivuoto
dove tu scendi a passi lenti ed io…

Mi affaccio di rado sai, sempre più di rado,
sul condominio di questi corpi che si aggirano
nelle contrade di una metropoli o un’altra, penso
a tutti noi oggi, alla luce che apre l’alba alla sera,
al treno che porta da Padova a Mira, a te
che ti farai nei secoli minerale e all’acqua che ti compone,
silenziosa… come se, in uno specchio
si raggelassero le nostre forme:
tutta la gioventù e l’infanzia, l’apnea rossa di primavera
e la già presente attesa, ora, che l’inverno
entra nella sua manovra, i primi fiori tra l’erba
e il ciglio della strada e la frenetica e frenante idea
di essere nella natura, ma di non osare.

Alessandro Anil, (Senza Titolo)

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Arnaldo Ederle, “C’è ancora tempo”

Sì, a pensarci bene ce n’è ancora
di tempo. Me ne sono accorto
guardando la schiena del mio vicino
giardiniere forzuto e prestante,
ex poliziotto (o carabiniere).
Quanti e quanti si perderanno facendo
la stessa riflessione guardando
altri prestanti altri forzuti
più forti muscolosi della loro tenera
figura.
Chi li teme non sa l’errore
che corre la banalità che mette in piedi,
poveri omuncoli o grandi pensatori
che vacillano assorti nelle maglie di dio
nei portoni della vita ampi e capienti
invitanti e pigri nascondigli di paure
e inventori di batticuori predatori
di caste voluttà.

Si godono gli ultimi sospiri
e si veglia sulle nostre pulsioni,
le extrasistoli giungono improvvise
e ci fanno sostare nella grotta
cieca dell’al di là per un minuto
presago del gran salto. Continua a leggere

Andrea Gibellini

Andrea Gibellini

Planetario

L’arte bizantina era tutto.
I mosaici sono ricamati

come fili nostalgici di un cielo
turchese. In una notte d’inverno

osservando il cielo blu cobalto
quasi nero con dentro ogni

colore ti senti d’essere sospinto
dentro un planetario

dove puoi disegnare
l’oracolo delle stelle. I mosaici

come eterni nel crepuscolo
del riposo eterno di Galla Placidia

e le stelle minute dove mai
rimanemmo delusi

sono un firmamento dagli occhi chiusi.

Come dipingere il blu,
la cornice delle stelle

trasformare tutto in un idillio
senza tempo?

I cervi si abbeverano
ad una sorgente

sconosciuta. L’erba
è destinata. Il vento

copre la situazione presente.
Nessuno va e viene.

Il luogo è deserto,
dentro non c’è tempo

che possa intervenire
nell’ansia delle stelle.

«Nel ritrovare la luce,
il colore dei mosaici». Continua a leggere