Anne Stevenson, da “Le vie delle parole”

Anne Stevenson, per gentile concessione dell’autrice

Spring Song

The sun is warm,
and the house in the sun
is filthy:

grime like permanent fog
on the soot-framed windowpanes,
dust, imprinted with cats’ feet,
on the lid of the hi-fi,
dishes on the dresser
in a deepening plush of disuse,
books on the blackened shelves
bearing in the cusps of their pages
a stripe of mourning.

The sun is warm,
the dust motes and dust mice
are dancing.

The ivies are pushing green tongues
from their charcoal tentacles,
the fire is reduced to a
smoky lamp in a cave.
Soon it will be spring, sweet spring,
and I will take pleasure in spending
many hours and days out of doors,
away from the chores and bores
of these filthy things.

Canzone di primavera

E’ caldo il sole,
e nel sole la casa
appare sudicia:

un velo tetro come nebbia che non s’alza
sui vetri delle finestre listati di fuliggine,
polvere, picchiettata di zampe di gatto,
sul coperchio dell’hi-fi,
piatti sulla credenza
nella soffice garza dell’abbandono,
libri sugli scaffali anneriti
i bordi delle pagine
portano una fascia a lutto.

E’ caldo il sole,
polvere e acari
vi danzano.

Le edere proiettano lingue verdi
dai tentacoli di carbone,
il fuoco è ormai
una lampada fumosa in una grotta.
Presto primavera verrà, la dolce primavera,
e assaporerò con gioia
lunghe ore e giornate all’aperto,
lontano dalle pretese noiose
di queste sordide cose. Continua a leggere

Santa Teresa d’Avila, “Muero porque no muero”

NOTA DI LETTURA DI ALBERTO FRACCACRETA

La tradizione a cui fanno riferimento i testi poetici di s. Teresa d’Avila (1515-1582) è senz’altro quella trobadorica: com’è segnalato nella notizia biobibliografica che segue i quindici testi selezionati e magnificamente tradotti dal curatore (Muoio perché non muoio, traduzione di Emilio Coco, Raffaelli editore, pp. 76, € 12), «tutto succedeva, scrive María de San José, ridendo e componendo “romances” e “coplas”». Il romance, in particolare, la forma poetica più tipica della tradizione spagnola, è sorto con i cantares de gesta e con i giullari, equivalenti iberici dei trovatori. La copla, cobla in occitano, è invece la strofa basica della poesia medievale. Le liriche sicuramente attribuibili a s. Teresa sono almeno una trentina (altre potrebbero essere state scritte da consorelle come María de San José), e la prima pubblicazione apparve nella miscellanea Escritos de Santa Teresa, con il commento di Vicente de la Fuente, nel 1862. Un’edizione singola delle Poesías uscì nel 1957.
Quelli di Teresa sono, in sostanza, testi d’amore. Ma di un amor mysticus, il cui destinatario è il «dolce Cacciatore», il Dio totalmente inaccessibile e absconditus che comunque «ferisce di dolcezza» — per utilizzare un’espressione di Jaufré Rudel, sicuro modello stilistico e tematico di questi versi — l’animo della poetessa. Ecco perché Teresa sente di partecipare a un’antinomia sostanziale dell’esistenza, e tutto l’apparato sintattico messo in campo ne testimonia la contraddizione e la razo: essendo l’Amato al di là della morte ma essendo Egli l’autore e la fonte della vita, in valore del passo evangelico di Mt 16,25 «chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà», la santa spagnola muore per il suo non morire. In altri termini: desidera perdere la vita per poterla guadagnare. Ma tale atteggiamento ossimorico non si ferma soltanto alla dicotomia suprema, bensì riguarda gli aspetti più minuti del quotidiano: «Sia nel pianto la mia gioia,/ soprassalto il mio riposo,/ la mia quiete dolorosa,/ e bonaccia la mia angoscia.// Tra le burrasche il mio amore,/ mio regalo la ferita,/ nella morte la mia vita,/ nel disprezzo il mio favore.// Mio tesoro l’indigenza/ il lottare il mio trionfo,/ mio riposo il lavorare,/ la tristezza il mio contento» (Aspirazioni). Con ardite antitesi petrarchesche, Teresa vuole rammentare a sé stessa e al lettore i paradigmi essenziali della vera vita: «Solo Dio basta». Questa è l’Efficacia della pazienza, questo è il duro richiamo a un esserci più marcato in profondità, solcato da un’inscalfibile consapevolezza. E quale poeta ai giorni nostri saprebbe tracciare un iter poetico più efficace del Cammino della croce? Quale poeta potrebbe oggi sperticarsi nelle Lodi alla croce o meravigliarsi della Bellezza di Dio con tale energia narrativa e fervore lirico?
Le poesie di s. Teresa — percorse da un’irriducibile venatura metafisica, che le rende attuali a ogni latitudine geografica e storica — sono uno scrigno di sapienza e di abnegazione, dedizione assoluta. Qualità, queste, assai utili per una società distratta come la nostra, che tuttavia potrebbe iniziare ad aprire gli occhi dinanzi a un simile bacino d’interiorità così ricco ed elevato.

Santa Teresa d’Avila, Muoio perché non muoio, traduzione di Emilio Coco, Raffaelli editore Continua a leggere

Michael Longley, “Angel Hill”

Michael Longley nella foto di Bob Hanvey che appare sulla copertina del libro.


Fifty Years

You have walked with me again and again
Up the stony path to Carrigskeewaun
And paused among the fairy rings to pick
Mushrooms for breakfast and for poetry.

You have pointed out, like a snail’s shell
Or a curlew feather or mermaid’s purse,
The right word, silences and syllables
Audible at the water’s windy edge.

We have tracked otter prints to Allaran
And waited for hours on our chilly throne,
For fifty years, man and wife, voices low,
Counting oystercatchers and sanderlings.

Cinquant’anni

Hai passeggiato con me un milione di volte
sul sentiero roccioso per Carrigskeewaum
fermandoti nell’insidia dei cerchi delle fate
a cogliere funghi per merende e poesia.

Hai indicato, per un guscio di lumaca
o la piuma di un chiurlo o il fodero vuoto
di un uovo di squalo la parola esatta, sillabe
e silenzi udibili sul filo ventoso dell’acqua.

Abbiamo seguito le orme della lontra verso Allaran
e atteso per ore sul nostro trono gelato,
per cinquant’anni, marito e moglie, contando
a voce bassa le beccacce e i piovanelli.

Pillows

Your intelligence snoozes next to mine.
Poems accumulate between our pillows.

Cuscini

La tua intelligenza sonnecchia accanto alla mia.
Si accumulano poesie tra i cuscini.
Continua a leggere

Milo De Angelis, da “Tema dell’addio”

Milo De Angelis, Credits ph Viviana Nicodemo

Vedremo domenica

Contare i secondi, i vagoni dell’Eurostar, vederti
scendere dal numero nove, il carrello, il sorriso,
il batticuore, la notizia, la grande notizia.
Questo e avvenuto, nel 1990. E avvenuto, certamente
è avvenuto. E prima ancora, il tuffo nel Ticino,
mentre il pallone scompariva. E’ avvenuto.
Abbiamo visto l’aperto e il nascosto di un attimo.
Le fate tornavano negli alloggi popolari, l’uragano
riempiva un cielo allucinato. Ogni cosa era li,
deserta e piena, per noi che attendiamo.

Μετρώ τα δευτερόλεπτα, τα βαγόνια του Eurostar, σε βλέπω,
να κατεβαίνεις από το νούμερο εννέα, το καροτσάκι, το χαμόγελο,
το χτυποκάρδι, η είδηση, η μεγάλη είδηση.
Αυτό συνέβη, το 1990. Συνέβη, σίγουρα
συνέβη. Και πριν ακόμα, τη βουτιά στον Τιτσίνο,
ενώ η μπάλα χανόταν. Συνέβη.
Είδαμε το φανερό και το κρυμμένο μιας στιγμής.
Οι νεράιδες επέστρεφαν στα δημοφιλή καταλύματα, η καταιγίδα
ξαναγέμιζε έναν έκθαμβο ουρανό. Κάθε πράγμα ήταν εκεί,
έρημο και πλήρες, για μας που περιμέναμε. Continua a leggere

Jenny Mitchell, quattro poesie per le donne che furono rese schiave nei Caraibi

Jenny Mitchell

Bending Down to Worship

Church Mary said her God was in the ground,
not Satan but the things that grew, and flowers
were the gems upon His crown.
She made a garden all around her house –
a broken shack she called a palace
where she reigned.

You couldn’t step beyond her door unless
you brought her a bouquet, or something
green and pulsing full of life. She filled
each bowl and glass she found with blooms
she called her jewels, though they were better
as they gave a lovely scent.

She tended to her tiny Eden till the flowers
reached above her head – the colours bold
against dark skin, so filled with shining light.
Her headwraps were like floral wreaths,
and every dress was made of faded flowers,
the age-old shoes like clumps of mud.

The days when she was forced to work out in the
fields she feared the sun might scorch her garden.
She left the cane the moment that the whistle blew
and went to fetch pure water from the stream.
Her flowers had to live as they
were all the freedom that she knew.

On nights when she was grieving she went
outside to kneel amongst the plants
and bend her head to talk to God.
He answered back by showing her another
rock or stone she had to move, revealing yet
more ground on which to grow more buds.

One Sunday as the white priest tried to make her
go to church, she offered him her shining patch
of land with one sweep of her arm. She said:
‘I never saw your Jesus but when I die
I’ll end up in the ground to feed the things I love
to grow, and that is all the heaven I will need.’

He damned her as a Godless slave; but when he left,
she heard the voice of God again. He spoke to her
of flowers as she bent to ornament His crown.

China a pregare

Church Mary diceva che il suo Dio era nella terra,
non Satana ma le cose che crescono, e i fiori
erano le gemme della Sua corona.
Fece un giardino tutt’intorno a casa –
una baracca sbilenca che chiamava palazzo
dove lei regnava.

Non potevi oltrepassare la soglia se
non le portavi un bouquet, o qualcosa
di verde, e pulsante di vita. Riempiva
ogni ciotola e bicchiere di fiori,
i suoi gioielli, diceva, e perfino migliori
perché avevano un buon profumo.

Curava il suo minuscolo Eden finché i fiori
non la superavano in altezza – colori sgargianti
contro la pelle scura, che splendeva di luce.
Le sue acconciature erano come corone floreali,
ogni abito fatto di fiori sbiaditi,
le scarpe decrepite come blocchi di fango.

I giorni in cui era costretta a lavorare nei campi
temeva che il sole le bruciasse il giardino.
Al primo fischio lasciava la piantagione di canna
e andava al ruscello a prendere acqua fresca.
I suoi fiori dovevano vivere perché
erano tutta la libertà che lei conosceva.

Le sere in cui era triste usciva
a inginocchiarsi tra le piante
e chinava la testa per parlare a Dio.
Lui le rispondeva indicandole un’altra
roccia o un sasso da rimuovere, scoprendo
ancor più terra per coltivar germogli.

Una domenica, quando il prete bianco cercò
di farla andare in chiesa, con un ampio gesto del braccio
lei gli mostrò il suo radioso orticello, e disse:
“Il suo Gesù io non l’ho mai visto ma quando muoio
finirò nella terra a nutrire le cose che amo
coltivare, e quello è tutto il paradiso che mi serve”.

Schiava miscredente, la maledisse lui; ma quando
se ne andò lei udì di nuovo la voce di Dio. Le parlava
di fiori mentre lei si chinava a ornare la Sua corona. Continua a leggere