La poesia di Kate Clanchy

Kate Clanchy

 

 

SLATTERN

I leave myself about, slatternly,
bits of me, and times I liked:
I let them go on lying where
they fall, crumple, if they will.
I know fine how to make them walk
and breathe again. Sometimes at night,
or on the train, I dream I’m dancing,
or lying in someone’s arms who says
he loves my eyes in French, and again
and again I am walking up your road,
that first time, bidden and wanted,
the blossom on the trees, light,
light and buoyant. Pull yourself
together, they say, quite rightly,
but she is stubborn, that girl,
that hopeful one, still walking.

SCIATTONA

Mi lascio in giro, da sciattona,
pezzi di me, momenti che ho amato:
li lascio lì dove
cadono, si stropiccino, se vogliono.
So come farli camminare
e respirare di nuovo. A volte di notte,
o in treno, sogno di ballare,
o di essere tra le braccia di qualcuno che dice,
in francese, di amare i miei occhi, e
ancora una volta cammino per la tua strada,
quella prima volta, chiamata e desiderata,
gli alberi in fiore, leggeri,
leggeri e festosi. Rimettiti
in sesto, dicono, giustamente,
ma è testarda, la ragazza,
quell’ottimista, che continua a camminare.

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Portrait di Georg Trakl (1887-1914)

GEORG TRAKL

NOTA E TRADUZIONI DI ALESSANDRO BELLASIO

Verfall: disfacimento, dissoluzione. Se la poesia, prima ancora di dire, nomina, se cioè dice in quanto nomina, e se un poeta è anzitutto i nomi a partire dai quali dà forma al proprio dire, il mondo e la poesia di Georg Trakl (1887- 1914) prendono forma a partire da quel nome essenziale, dal Verfall. Ma il nome, in Trakl, non si sostantiva, non è substantia metafisica, né substratum logico-grammaticale; esso è, piuttosto, l’unità mobile e sempre in calando del divenire. Non essere, non fondamento, ma soglia di un trapasso. Al limite: essere come trapasso. «Io anticipo le catastrofi mondiali. Non prendo partito, non sono un rivoluzionario. Sono il dipartito, nella mia epoca non ho altra scelta se non il dolore». Verfall (come le sue varie declinazioni Untergang, Dämmerung, Neige, Verwesung ecc.) nomina l’essenza della poesia nell’epoca del nichilismo e delle catastrofi planetarie: essa è abgeschieden, congedata, dipartita; dissolta e prosciolta. Poesia scaraventata nell’abisso, nell’Abgrund, nell’assenza di fondamento. Edificata su pochi, ossessivi nomi-totem, ai quali è demandata la tenuta interna del poema. E sui colori. La nota più straziante della poesia trakliana: i suoi colori. Che non provengono né ritornano ad alcuna tavolozza, ma traggono da motivi interiori la loro vera tonalità. Trakl, che ha letto Rimbaud, si spinge là dove il francese si era limitato all’aperçu, per quanto geniale: reinventare la percezione psichica dei colori. A partire però – ed è questa la peculiarità, nonché la coerenza del poeta – da un solo tono dominante, quello del Verfall. Di qui, dalla dimensione di rovina e decadimento da cui sono attinti, i colori trakliani acquisiscono quella loro inconfondibile profondità, di modo che, per esempio, il bianco non è mai solo emanazione di una luce, l’azzurro mai unicamente superficie di un cielo, e il rosso è sempre e elettivamente purpureo. Continua a leggere

Tudor Arghezi & Salvatore Quasimodo

Tudor Arghezi

Mi sono difeso invano e ora mi nascondo nell’ombra
della luna bianca, l’alta lancia spezzata.
Ho messo terre e acque tra noi come ostacoli,
e siamo, in ogni luogo, vicini.
T’incontro su ogni sentiero in attesa,
eterna silenziosa compagna.
Prendi per me nel cavo
delle mani l’acqua delle sorgenti
che esce tra templi e pietre senza rumore.
Ti slacci la camicetta e coi seni nelle mani
domandi: «Vuoi dissetarti qui o alla fonte?»
Hai accostato la tua bocca alla mia piegata
al ghiacciolo per bere con me la sua scintilla.
Confusa in ogni cosa, come ombra o pensiero,
la luce ti porta in sé e la terra ti ha fatto crescere.
In ogni suono il tuo silenzio: nelle tempeste
nelle preghiere nel passo dell’uomo e nei liuti.
Ciò che soffro è dolore per te,
tu sei in ogni cosa che nasce o muore,
vicino a me e pure cosí lontana,
sposa sempre promessa, mai sposa.

Tudor Arghezi nella traduzione di Salvatore Quasimodo, tratto da “Tudor Arghezi, Poesie”, Mondadori, 1966

Salvatore Quasimodo

Cîntare

M-am apărat zadarnic şi mă strecor din luptă
În umbra lunii albe, cu lancea naltă ruptă.
Pusei pămînt şi ape, zăgaze între noi,
Şi sîntem, pretutindeni, alături, amîndoi.
Te întîlnesc pe toată poteca-n aşteptare,
Necontenita mută a mea insoţitoare.
Pe la fîntîni iei unda pe palme şi mi-o dai,
Iscată dintre pietre şi timpuri, fără grai.
Ţi-ai desfăcut cămaşa şi-ntrebi cu sînii-n mină
De vreau s-astîmpăr setea din ei sau din fîntînă.
Ai dus la ţurţur gura cu gura mea plecată,
Voind să bei cu mine scînteia lui deodată.
Amestecată-n totul, ca umbra şi ca gîndul,
Te poartă-n ea lumina şi te-a crescut pămîntul.
În fiecare sunet tăcerea ta se-aude,
În vijelii, în rugă, în pas şi-n alăute.
Ce sufăr mi se pare că-ţi este de durere,
De faţa-n tot ce naşte, de faţa-n tot ce piere,
Apropriată mie şi totuşi depărtată,
Logodnică de-a pururi, soţie niciodată.

Tudor Arghezi, da “Cuvinte potrivite”, 1927. Continua a leggere

Dylan Thomas, due poesie

Dylan Thomas nella traduzione di Maria Borio

Nel mio mestiere o nella mia scontrosa arte…

Nel mio mestiere o nella mia scontrosa arte
Allenata nella notte silenziosa
Quando solo la luna infuria
E gli amanti stesi nel letto
Con tutte le loro pene fra le braccia
Io mi affatico per una luce che canta
Non per ambizione o per pane
Né per mostrarmi e vender fascino
Sui palcoscenici d’avorio,
Ma per il comune salario
Del loro cuore più segreto.

Non per il superbo che s’allontana
Dalla luna che infuria io scrivo
Su questi spruzzi di pagine
Né per i morti che svettano
Con i loro usignoli e i loro salmi,
Ma per gli amanti, le loro braccia
Intorno ai dolori degli anni,
Che non pagano preghiere o salario
E non si curano del mio mestiere o arte.

Traduzione di Maria Borio Continua a leggere

Penna, “Mi avevano lasciato solo”

Sandro Penna

Mi avevano lasciato solo
nella campagna, sotto
la pioggia fina, solo.
Mi guardavano muti
meravigliati
i nudi pioppi. soffrivano
della mia pena. pena
di non saper chiararnente…

E la terra bagnata
e i neri altissimi monti
tacevano vinti. Sembrava
che un dio cattivo
avesse con un sol gesto
tutto pietrificato.

E la pioggia lavava quelle pietre.

Sandro Penna Continua a leggere