Wallace Stevens, una traduzione

Wallace Stevens

Da “Harmonium”

Why should she give her bounty to the dead?
What is divinity if it can come
Only in silent shadows and in dreams?
Shall she not find in comforts of the sun,r
In pungent fruit and bright green wings, or else
In any balm or beauty of the earth,
Things to be cherished like the thought of heaven?
Divinity must live within herself:
Passions of rain, or moods in falling snow;
Grievings in loneliness, or unsubdued
Elations when the forest blooms; gusty
Emotions on wet roads on autumn nights;
All pleasures and all pains, remembering
The bough of summer and the winter branch.
These are the measure destined for her soul.

Wallace Stevens, da Harmonium, 1923

Perché dovrebbe dare i suoi averi alla morte?
Cos‘è il divino se arriva
soltanto nelle ombre silenziose, nei sogni?
Non troverà forse nel tepore del sole,
nei frutti fragranti e nelle ali, verdi e splendenti, o ancora
in ogni balsamo o dono della terra,
cose da amare quanto il pensiero del paradiso?
La divinità deve vivere di sé:
passioni di piogge o umori di nevicate
cordogli solitari o smodate
esultanze quando il bosco è in fiore; emozioni
a raffica sulle strade umide, notturni autunnali;
Tutti i piaceri e tutti i dolori, ricordando
la fronda dell’estate e il ramo d’inverno.
Sono queste le misure riservate a lei, all’anima.

Traduzione di Giovanni Ibello
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Tre poesie di Paul Muldoon

Paul Muldoon

Pelt

Now rain rattled
the roof of my car
like holy water
on a coffin lid,
holy water and mud
landing with a thud

though as I listened
the uproar
faded to the stoniest
of silences… They piled
it on all day
till I gave way

to a contentment
I’d not felt in years,
not since that winter
I’d worn the world
against my skin,
worn it fur side in.

 

Rovescio

Tamburellare di pioggia
sul tettuccio della mia auto
come acquasanta
sul coperchio di una bara,
acquasanta e fango
che s’abbatte con un tonfo

benché mentre ne ascoltavo
il frastorno
quello s’affievolì nel silenzio
più spietato… L’ammucchiarono
per tutto il giorno
fin quando non m’abbandonai
a una contentezza

non avvertita da anni,
non da quell’inverno
in cui avevo indossato il mondo
sulla pelle nuda,
indossato la pelliccia verso l’interno.

Traduzione di Luca Guerneri
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Norman MacCaig: stelle, pianeti, mucche e un caprone

Norman MacCaig

Goat

The goat, with amber dumb-bells in his eyes,
The blasé lecher, inquisitive as sin,
White sarcasm walking, proof against surprise,

The nothing-like-him goat, goat-in-itself,
Idea of goatishness made flesh, pure essence
In idle masquerade on a rocky shelf –

Hangs upside-down from lushest grass to twitch
A shrivelled blade from the cliff’s barren chest,
And holds the grass well lost; the narrowest niche

Is frame for the devil’s face; the steepest thatch
Of barn or byre is pavement to his foot;
The last, loved rose a prisoner to his snatch;

And the man in his man-ness, passing, feels suddenly
Hypocrite found out, hearing behind him that
Vulgar vibrato, thin derisive me-eh.

da “A Common Grace” (1960)

*

Caprone

Il caprone, l’ambrata ottusità nei suoi occhi,
il satiro menefreghista, curioso come il peccato,
bianco sarcasmo su quattro zampe, a prova di stupore,

il non-sembra-affatto un caprone, di-per-sé-caprone,
l’idea di lascivia fatta carne, pura essenza
in maschera indolente rizzata su una roccia –

si appende a testa in giù dove l’erba è più verde per strappare
uno sterpo dalla gola arida del dirupo,
ci tiene a quel quel filo d’erba macilento. La nicchia più stretta

è cornice perfetta per il volto del diavolo, il tetto più ripido
del granaio o della stalla è un marciapiede per i suoi zoccoli,
l’ultima rosa, la più amata, un prigioniero per la sua razzia.

E l’uomo nel maschio passa in secondo piano, improvvisamente
si scopre ipocrita, all’udire dietro a sé quel
vibrato primitivo, sottilmente canzonatorio, beeh-eeh. Continua a leggere

La poesia minimalista di Charles Simic

Many Zeros

The teacher rises voiceless before a class
Of pale, tight-lipped children.
The blackboard behind him as black as the sky
Light-years from the earth.
It’s the silence the teacher loves,
The taste of the infinite in it.
The stars like teeth marks on children’s pencils.
Listen to it, he says happily.

Molti Zero

Senza voce l’insegnante si alza davanti a una classe
di bambini pallidi, con labbra serrate.
La lavagna alle sue spalle, tanto nera quanto il cielo
distante anni luce dalla terra.
È il silenzio ciò che anela l’insegnante,
il sapore dell’infinito in esso contenuto.
Le stelle come segni di dentini sulle matite.
Ascoltatelo, dice con gioia. Continua a leggere

Shuntarō Tanikawa, “Maps of days”

Shuntarō Tanikawa

When summer comes
the cicadas
sing again.
Fireworks
freeze
in my memory.
Distant countries are dim
but the universe
is right in front of your nose.
What a blessing
that people
can die
leaving behind
only the conjunction,
‘and’.

*

Quando arriva l’estate
le cicale
riprendono a cantare.
I fuochi d’artificio
si congelano
nella mia memoria.
I paesi lontani sono offuscati
ma l’universo
è proprio davanti al tuo naso.
Che benedizione
che la gente
possa morire
lasciandosi alle spalle
la sola congiunzione
“e”.

(da “Map of days”, traduzione in lingua inglese di Harold Wright, Katydid Books, 1997; traduzione in lingua italiana di Giovanni Ibello)

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