Emanuele Trevi vince il Premio Strega

Emanuele Trevi vincitore del Premio Strega 2021.

NOTA  DI LUIGIA SORRENTINO

Con il romanzo “Due vite” Neri Pozza Editore Emanuele Trevi nato nel 1964, vince l’edizione 2021 del Premio Strega e per la prima volta nella storia del premio lascia sul sagrato del Ninfeo di Villa Giulia le grandi major dell’editoria italiana.

Il romanzo è il racconto di un’amicizia – tema centrale in molti libri di Trevi – fra tre giovani scrittori: Emanuele Trevi,  Pia Pera (1956-2016) e Rocco Carbone (1962-2008). Il titolo  mette in luce la vita dei due scrittori italiani scomparsi prematuramente, ma anche – lo dichiara lo stesso Trevi, il romanzo racconta la storia delle nostre due vite, “entrambe  destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene”.

In Due vite Emanuele Trevi si immerge nelle due opposte personalità: quella di Rocco Carbone, per natura incline a infliggere colpi piuttosto che a riceverli, e quella di Pia Pera, persona sensibile, che negli anni della malattia si trasforma in un’eroina che si prepara alla morte.

Emanuele Trevi sta nel mezzo, nel  racconto delle due vite c’è lo scrittore, la sua commovente consapevolezza che gli amici sono anche rappresentazioni delle epoche della nostra vita,  vita “che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembrano lontanissimi, rimanendo sempre più soli“.

“Dedico il Premio a mia madre che è mancata durante questo periodo infernale della storia umana che si sarebbe divertita a vedermi in televisione. E poi a un amico, Lorenzo Capellini che è in un momento di difficoltà e mi è stato vicino fino a qualche giorno fa, nel pieno di questa avventura” ha detto Emanuele Trevi. Continua a leggere

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La poesia di Kae Tempest alla biennale di Venezia

Ritratto di Kae Tempest / ©Julian Broad

 

La forza della parola di Kae Tempest in arrivo sul palcoscenico del 49. Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia.

Leone d’argento di questa edizione del Festival, Kae Tempest riceverà il premio venerdì 9 luglio nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, sede della Biennale (ore 14.00), partecipando a un breve incontro condotto dal saggista e critico di teatro Andrea Porcheddu. Sabato 10 luglio l’atteso debutto italiano di The Book of Traps and Lessons al Teatro Goldoni (ore 21.00).

 

Kae Tempest è “la voce poetica più potente e innovativa emersa nella Spoken Word Poetry degli ultimi anni, capace di scalare le classifiche editoriali inglesi e raccogliere consensi al di fuori dei confini nazionali per il coraggio ardimentoso nel dissezionare e raccontare con sguardo lucido angosce, solitudine, paure e precarietà di vivere” (dalla motivazione).

Pubblicato in forma di album nel 2018, The Book of Traps and Lessons è presentato a Venezia in veste di performance spoken word. Un piccolo tavolo e una sedia su un palco che è deserto roccioso creano l’atmosfera intima in cui condividere il flusso di parole – arrabbiate, sussurrate, rappate – di Kae Tempest: “chi ascolta viaggia con me per luoghi diversi, il deserto, la città, la strada, la montagna, non posti reali ma mitici, e ciò che conta è l’avventura” dichiara (il Venerdì).

Un’esibizione tutta da ascoltare, The Book of Traps and Lessons è “testimonianza di un poema vivo che cattura le tensioni rabbiose proprie dell’essere vivi: cercando di non guardare direttamente alle crisi future, cercando di amare e dare e ballare nel mezzo del fumo di un incendio” (The Guardian). Continua a leggere

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Agnoloni, “Internet. Cronache della fine”

Giovanni Agnoloni

NOTA DI LETTURA DI GIORGIO GALLI

Rileggere le cronache della fine di internet di Giovanni Agnoloni, oggi che la vita virtuale è diventata tutta la vita, può essere un’esperienza istruttiva e perturbante. Agnoloni si interroga su ciò che accadrebbe se la Rete crollasse, ed esplora tutte le possibilità pratiche, ma anche etiche, politiche e metafisiche, di un simile evento. Quanto potere avrebbe colui che riuscisse a controllare la Rete? E che tipo di potere sarebbe quello di colui che, padrone della Rete, decidesse a un dato momento di spegnerla? Sarebbe l’umanità capace di tornare a vivere come prima? E l’orologio della Storia tornerebbe semplicemente indietro, o scopriremmo che lo spazio virtuale ha modificato in maniera sorda ma irreversibile non solo il nostro modo di percepire la realtà, ma financo la realtà stessa? È da queste domande che prende inizio il percorso di Internet. Cronache dalla fine, composto di tre romanzi – Sentieri di notte, La casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito – e dei due racconti riuniti nel dittico Partita di anime. Un’opera ponderosa, che tocca temi cari anche all’ultimo DeLillo, ma in anticipo su di lui di qualche anno, dato che l’indagine di Agnoloni è cominciata nel 2012.

Tutti i protagonisti di questi romanzi hanno perso qualcosa: chi la memoria, chi la famiglia, chi un amore sparito nel nulla… Ne La Casa degli anonimi sono spariti nel nulla, e il protagonista li cerca inutilmente, perfino i tre personaggi principali di Sentieri di notte, che esistono soltanto come nomi e ossessioni. Non è venuta a mancare solo la comunicazione fra diverse aree del globo. Anche passato e presente non dialogano più. Alcuni personaggi raccontano in prima persona la loro esistenza atemporale in una Casa – o in più Case? – simile a un limbo, a un intermundus fra la vita e la morte, desiderosi di tornare a vivere ma inconsapevoli di ciò che sono stati. La loro presenza si manifesta solo nei sogni di altri personaggi. Tutti, dunque, hanno perso il contatto con se stessi: con una parte, o con la totalità, di sé. Cosa li salva? L’incontrarsi, il ritrovarsi. Ma è difficile ritrovare se stessi in un mondo di identità incerte, ingannevoli, talvolta perfino fungibili – e qui Agnoloni sembra richiamarsi a tutta la letteratura sulla massificazione, sull’individuo come monade mondiale, alienata e scissa.

Anche la razionalità non è più sufficiente. I personaggi si muovono spinti da intuizioni irresistibili, da pure sincronicità junghiane (vale a dire da coincidenze significative solo per chi le esperisce). Il protagonista della Casa, Kasper, compie le sue azioni “ben sapendo, per motivi a me ignoti”, qual è il suo compito in questo gioco dove nulla è ciò che appare ma nulla è per caso. Le coscienze possono essere persino eterodirette, infiltrate da qualcun altro che vi prende stanza. Il socratico Gnothi seautòn, “Conosci te stesso”, diventa allora il comandamento più importante. Perché è solo ritrovando se stessi, ridiventando completi, che si può svolgere la propria funzione nel mondo. Accanto al motto socratico, c’è – con pari forza – l’esempio di Gesù, che, nel tempio, pur inveendo contro i Farisei, non si lascia distrarre da loro e continua a tracciare dei segni per terra. Cosa scrive? I Testi non lo dicono, ma ai nostri personaggi quel passo del Vangelo invia un messaggio: rintracciare i segni, decifrarli, interpretarli è il loro compito più sacro, perché i segni sono tutto, in un mondo che si è ridotto al suo proprio fossile. I segni sono ciò che sopravvive. Accogliere i segni, “abbandonarsi ai significanti” avrebbe detto Carmelo Bene, è l’unica via per ritrovare quell’unità a cui tutti aspirano, e che è sempre più lontana.

Ne L’ultimo angolo di mondo finito il cosiddetto mondo reale ha perso consistenza: vi si aggirano droni che controllano l’umanità dall’alto, ologrammi in forma umana che rimandano a ciascuno i propri pensieri e a cui ciascuno si rapporta come se fossero reali, senza accorgersi di starsi avviluppando in una spaventosa solitudine. Il paesaggio de La casa degli anonimi era popolato di esseri esausti e arrabbiati, che avevano ceduto agli avatar parte della loro umanità e col crollo di Internet erano rimasti privi di se stessi, privi di una ragione di sé. L’ultimo angolo di mondo finito  fa emergere un panorama in cui il reale e l’irreale convivono al punto tale che i vivi hanno l’aspetto di fantasmi e i morti, col loro essere pure anime, hanno su di loro un vantaggio esistenziale e ontologico. Tutto ciò che appare può capovolgersi nel suo rovescio: gli eroi possono essere falsi, i benefici venir percepiti come minacce e gli eroi veri apparire come traditori e venduti. Continua a leggere

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Thomas Bernhard, “Teatro VI”

Thomas Bernhard

Questo volume “Teatro VI” (Collezione Teatro Einaudi, 2021) riunisce tre testi di Thomas BernhardLe celebrità (1976), Su tutte le vette è pace (1981), Piazza degli Eroi (1988), piú tutti i testi brevi denominati da Bernhard «dramoletti».

A cura di Alice Gardoncini Traduzioni di Alice Gardoncini Umberto Gandini

Introduzione a cura di Alice Gardoncini.

IL LIBRO

Ubulibri fece uscire, tra il 1982 e il 1999, cinque volumi del Teatro di Bernhard annunciandone un sesto conclusivo, che in realtà non fu mai pubblicato. Dopo aver ripreso i cinque volumi Ubulibri, ora Einaudi completa la serie realizzando finalmente questo fantomatico sesto volume. Contiene i tre testi lunghi non compresi nei volumi precedenti, piú tutti i testi brevi denominati da Bernhard «dramoletti». Inediti in traduzione italiana sono Le celebrità(1976), Su tutte le vette è pace (1981) e i tre dramoletti scritti in dialetto bavarese: Match, Un morto, Funzione di maggio (1981).

Questi tre dramoletti dialettali sono tradotti da Umberto Gandini. Tutti gli altri testi sono tradotti da Alice Gardoncini. Ora che tutto il Teatro di Bernhard è disponibile anche in Italia, si potrà comprendere meglio la grandezza di questo scrittore, che con ironia e spirito di provocazione ha saputo innovare le abitudini teatrali piú radicate. E magari si potrà aprire una nuova stagione di messe in scena. D’altronde l’Italia ha avuto un ruolo significativo nella storia teatrale di Bernhard, visto che due dramoletti – Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me; Claus Peymann e Hermann Beil sulla Sulzwiese – sono stati messi in scena per la prima volta proprio in Italia da Carlo Cecchi un anno dopo la morte di Bernhard, nel 1990, e piú volte ripresi.

La piú recente rappresentazione italiana di un testo di Bernhard è invece Piazza degli eroi mandata in onda da Rai 5 nel 2021 da un Teatro Mercadante privo di pubblico per il lockdown: protagonista Renato Carpentieri, regia di Roberto Andò.

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Mandel’štam, “Conversazione su Dante”

Nel 1933 Osip Mandel’štam, poeta in disgrazia, «e­ migrato interno» in procinto di diventare carne da lager, «arde di Dante», e studia l’italiano servendo­si della Divina Commedia.

In Crimea durante la pri­mavera scrive Conversazione su Dante, ma quando tenta di pubblicarlo incontra una serie di rifiuti. Di certo il saggio non ha nulla a che vedere con il rea­lismo socialista, né corrisponde al canone degli stu­di danteschi.

Affrancando il «sommo poeta» ita­liano da secoli di retorica scolastica, Mandel’štam ragiona su ciò che presiede alla nascita della sua poesia: in primo luogo, la metamorfosi.

Tutto, nella Commedia, è in movimento, e per il vero lettore, «esecutore creativo», leggere Dante significa rifiu­tarsi di restare incatenati a un presente che a sua volta è saldamente ancorato al passato: «Pronun­ciando la parola “sole” compiamo un lunghissi­mo viaggio al quale siamo talmente abituati che ormai viaggiamo dormendo. La poesia … ci sveglia di soprassalto a metà parola – parola che ci sembra molto più lunga di quanto credessimo –, e in quel momento ricordiamo che parlare è sempre essere in cammino».

Unico poiché sembra comprende­re tutti i linguaggi, quello di Dante evoca il mon­do con irripetibile potenza, e la Conversazione di Mandel’štam, tripudio di luminose intuizioni, co­strutti arditi e metafore inusitate (biologiche, mu­sicali, meteorologiche, tessili), in una prosa conti­nuamente attraversata da squarci di poesia, scor­ge e mette in luce i tratti più moderni, addirittura sperimentali, del suo poetare.

A cura di Serena Vitale. Continua a leggere

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