Quante parole non ci sono più

Tributo a Mario Benedetti
di Luigia Sorrentino

«Povera umana gloria
quali parole abbiamo ancora per noi?»

da Umana gloria, MARIO BENEDETTI

 

E’ già passato un mese. Il 27 marzo 2020 è morto l’amico e poeta Mario Benedetti. Eravamo in piena epidemia,  chiusi nelle case, per difenderci dal nemico invisibile.

Subito dopo la notizia della scomparsa di Mario, su mia iniziativa, con la collaborazione di Fabrizio Fantoni, a partire dal 27 marzo 2020, abbiamo invitato diversi poeti famosi, giovani poeti e critici militanti, a inviare al blog, ricordi, testimonianze o articoli per rendere Tributo a Mario Benedetti.

La mia intenzione era quella di innescare una militanza poetica sulla figura e sulla poesia di Mario Benedetti poeta italiano, morto con il covid-19, in un tempo in cui tutto il pianeta si è fermato proprio a causa del diffondersi dell’epidemia.

L’auspicio, quindi,  era di fermare l’attenzione dei nostri lettori, pubblicando uno o due post al giorno per ricordare per 31 giorni (un mese)  la poesia di uno dei maggiori poeti del nostro tempo. Certo è che di lui non sentivamo più parlare dal settembre 2014, e cioè dal giorno in cui Mario fu colpito da arresto cardiaco con ipossia cerebrale che aveva compromesso, in gran parte, le sue capacità cognitive.

Mi è sembrato doveroso, pertanto,  offrire il  tributo  del blog poesia a un  importante poeta contemporaneo, uno dei migliori della sua generazione, noto e apprezzato da molti, fino a sei anni fa. Purtroppo  di Mario Benedetti non se ne parlava più da tempo.  Era caduto nel silenzio assordante dell’isolamento e della malattia.

Eppure Mario era vivo, ancor vivo, e amato dagli amici di sempre che non hanno mai smesso di fargli visita nella residenza di Piadena, vicino Cremona, nella quale Mario, in precarie condizioni di salute, era ricoverato e assistito.

Fra le tante persone che abbiamo invitato a scrivere di Mario, o su Mario, come detto prima, poeti noti, giovani poeti e critici militanti. Alcuni di essi conoscevano bene la poesia di Benedetti, altri meno, altri ancora, avevano letto solo qualche suo libro, molti non l’avevano mai incontrato di persona, o solo di sfuggita.

Comprendendo nell’elenco me stessa, sono 35 i poeti e i critici che hanno deciso di partecipare all’iniziativa, che si snoda, giorno dopo giorno, a partire dal 27 marzo, come un libro. Uno fra loro ha tenuto a precisare: “Commemorare la scomparsa di un poeta è più facile per chi lo ha conosciuto bene e di persona, mentre per valutarne l’opera non è detto che ciò sia necessariamente un vantaggio.” Continua a leggere

Epistéllō, invio

Mario Benedetti, nella foto di Dino Ignani

Il poeta Alessandro Ceni scrive di Mario Benedetti, poeta italiano, usando un’antica tecnica: l’epistola (epĭstŭla, in greco epistolḗ, derivante di epistéllō “mando, invio”).

Ceni risponde quindi, alla sua maniera, alla mia richiesta di inviare al blog “qualcosa di scritto” per ricordare Mario Benedetti. Ceni sceglie la forma epistolare e si rivolge a me, ma parla di Benedetti. Un intervento davvero notevole. Ceni, pur essendo agli antipodi della poesia di Benedetti, non indugia a riconoscere nel poeta friulano, prematuramente scomparso, la capacità e la dote della vera poesia.

Luigia Sorrentino

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Cara Luigia,

accolgo volentieri il tuo invito a scrivere, a buttar giù qualcosa, su o intorno a Mario Benedetti.

Di persona non l’ho conosciuto né mai mi pare ci siamo incrociati in occasione di qualche lettura. L’unico contatto con lui fu molti anni fa ai tempi della rivista “Scarto minimo”. Se non ricordo male, inviai delle poesie per l’eventuale pubblicazione e la sua risposta (non rammento se epistolare o telefonica) fu che, parole sue, essendo io già noto (già allora, a suo parere) potevo fare a meno di essere pubblicato lì (evidentemente si privilegiavano poeti meno “noti” o esordienti). Nessuna replica da parte mia e nessuna ulteriore notizia da parte sua.

Dal punto di vista poetico, sicuramente ci situiamo non proprio agli antipodi ma inequivocabilmente a parecchie miglia di distanza l’uno dall’altro. Ciò non toglie, però, che non abbia apprezzato la sua poesia, la sua asciutta e acuta ricerca. Voglio dire, cioè, che pur su posizioni diverse, sotto il profilo dell’indagine e del lavoro sulla lingua una certa consonanza può sussistere. Non solo. Poiché ho sempre tenuto presente di un autore (poeta, artista o altro) il suo “come”, vale a dire il modo in cui ottiene l’esito finale del proprio lavoro (lo stile è l’opera), senza dare alcun peso al “cosa” e al “perché”, i quali sono contenuti ed espressi dal “come”, Benedetti (almeno quello che mi è capitato di leggere) può interessarmi. Questo per dire che anche di poeti lontani o molto lontani o addirittura incompatibili è necessario riconoscere la qualità (e con ciò superare d’un balzo ogni faziosità rappresentata da linee, scuole, gruppi, conventicole eccetera). Continua a leggere

Una poesia di Alessandro Ceni

Alessandro Ceni

Io sto qui e da qui
vedo collassare le stelle, implodere i volatili,
cabrare verso il loro dio le nubi
per poi precipitare in lacrime e piogge;
vedo cadere tutto e tutto
ininterrottamente
la foglia, l’ala, il vento
che incitano il bambino giù dal tetto
e la polvere dalla tasca buona del cadavere,
persino volare in aria per un momento
l’erba tosata, la cenere dal vertice del falò
ma senza che mai nulla
giunga mai veramente al suolo,
così che la lacrima resta nel suo occhio, la pioggia nella
sua nube.

Io, dalle volute di fumo umide e
dalle pire collinari e dai roghi contadini, credo
siano venuti degli uomini, credo,
ad ardere i campi e con essi la mia vita;
sia lode a loro perché da qui l’illusione è perfetta:
i figli cessano di crescere i genitori non muoiono
in ogni frutto traspare la sua gemma:
rivedo mio padre quando aprì la botola
e discese nel buio e nulla seppe mai più di me,
riodo i fischioni di richiamo lanciati verso qualcuno che
                                                                                 non torna,
ed ecco spiegata la ragione del pesce elettrico
negli abissi del mare o perché gli uccelli credono
col loro canto di far sorgere il sole.
Quindi sia lode agli uomini che non dichiarano il
                                                                        proprio amore
e non perdonano e sono spietati
e strappano gli occhi dei fanciulli; sia lode
a quelli che come l’agrostide combustano l’intera loro
                                                                                      esistenza
e lo stecco d’erba duro e secco della propria intelligenza
fino alla follia, covone dopo covone, con metodo,
contraendosi ed espandendosi nel fiato di fiamme della
                                                                                                vita
per abituarti a guardare ogni cosa

come da dietro una vampa.

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Anteprima, Alessandro Ceni “77”

Alessandro Ceni / Credits photo Dino Ignani

“77”, autoantologia di Alessandro Ceni

La nuova raccolta di versi di Alessandro Ceni, 77 poesie, (Edizioni Helicon, 2018) è uno spaccato della sua opera dagli esordi a oggi. La raccolta sembra fondarsi su un concetto di dislocazione a livello fenomenico e linguistico. L’esito è una poesia di impatto sismico, per il rilievo dato all’analogia e al sovvertimento della sintassi. La causa si ritraccia nell’opposizione all’interno della storia, e oggi tanto più pressante, tra un ambiente naturale, primitivo e mitico, in via d’estinzione, e la cruda realtà delle vicende umane.

 

 

 I campi davanti

Voltatoti,
le rovine fumanti
il pìare lento
il risolversi in un soffio del tarassaco:

revelle
stacca a forza
distoglie in altra parte:

la cupola del fieno
la portula che vi si apre
che ne camuffa un’altra
dove un flamine cieco ti tasta:

gli sconfitti – il tarassaco si china –
ottennero – il tarassaco si pela –
tutto quello per cui avevano combattuto:

ti sei supposito, ti sei sostituito,
ti sei detto il bambino brutto o bizzarro o anormale
lasciato in luogo di un altro rapito dalle fate:

voltatoti,
il rodìo che bucherella la cenere,
il reddito di una promessa,
l’asbesto. Continua a leggere