Il primo blog di poesia della Rai

William Kentridge Tevere eterno

William Kentridge, fiume Tevere  Triumphs and Laments, 20 aprile 2016 – credits Ph. Fabrizio Fantoni, ombra supplicante Luigia Sorrentino

 

L’IDENTITA’ DELLA POESIA

DI Luigia Sorrentino

 

La mia esperienza di blogger è cominciata nel settembre 2007. Intendevo creare in rete, sul sito di Rai News 24, un luogo di confine nel quale custodire, difendere e  proteggere, l’identità dei poeti e della poesia.   Volevo, insomma, determinare un luogo ove fosse riconosciuta l’identità dei reietti, sempre respinti e costretti a vagare nella solitudine e nell’isolamento. Desideravo un luogo di sguardi. Volevo depositare il seme di una presenza, mettere radici su quel confine e lasciare la traccia di volti emersi dal magma della parola, in tutta la loro verità.

Il primo blog di poesia sul sito della Rai, è diventato in breve tempo, un luogo di forza sul quale si è fermato lo sguardo di coloro che, come me, volevano stupirsi, meravigliarsi. Finalmente i volti dei poeti emergevano in tutta la loro potenza espressiva, in uno scatto autobiografico e fotografico. Grazie, devo dire, anche, alla collaborazione del fotografo e poeta, Dino Ignani, alcuni di quei volti, sono stati, via via, sempre più riconoscibili. Un grazie enorme anche a Viviana Nicodemo, attrice, regista e  fotografa straordinaria: ci ha donato scatti e intuizioni indimenticabili. Grazie a poeti come Antonella Anedda, Silvia Bre, Franco Buffoni, Nanni Cagnone, Alessandro Ceni, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mariangela Gualtieri, Valerio Magrelli, Umberto Piersanti, Davide Rondoni, Patrizia Valduga, Gian Mario Villalta, per citare solo alcuni dei più importanti poeti italiani contemporanei che ci hanno offerto i loro contributi e talvolta, anche testi inediti e anteprime editoriali. Grazie al loro prezioso contributo il blog si è accresciuto e affermato come luogo privilegiato della grande poesia italiana.

Nel 2007 lavoravo a Rai News 24 e avevo realizzato  per i programmi di approfondimento culturale interviste televisive (oltre che con i poeti italiani già citati) con alcuni dei maggiori poeti  noti a livello internazionale  fra i quali, il poeta siriano Adonis, il grande poeta francese Yves Bonnefoy, l’inglese Tony Harrison, le polacche Julia Hartwig e Ewa Lipska, i Premi Nobel Seamus Heaney, Derek Walcott e Orhan Pamuk, il Premio Pulitzer Mark Strand e il poeta candidato al Nobel, Adam Zagaiewski e molti altri.

ORHAN PAMUK

Nel settembre 2006, quindi un anno prima di iniziare l’esperienza di blogger, avevo avuto l’ occasione di incontrare a Napoli per un’intervista per RaiNews24, lo scrittore turco Orhan Pamuk pochi giorni prima che l’Accademia di Svezia gli conferisse il Premio Nobel per la Letteratura.

Orhan Pamuk, che in Italia aveva pubblicato romanzi come Il mio nome è rosso, Neve e Istanbul, mi aveva profondamente colpito perché al centro della sua opera di scrittore,  aveva messo il tema dell’identità, un argomento poco riflettuto e quasi per niente esplicitato nella letteratura contemporanea in quegli anni. Per me fu illuminante scoprire in quel preciso momento storico, che a porsi domande così importanti sulla propria individualità, su quella della propria nazione in relazione a altre culture e minoranze etniche, non fosse un poeta laureato, ma uno scrittore. La riflessione e l’osservazione dell’opera di uno scrittore nato e vissuto in Turchia che si è battuto per il riconoscimento dei dei diritti umani, dei crimini contro l’umanità, mettendoci “la faccia”, sapendo perfettamente quali erano i rischi che correva, è stata per me una lezione fondamentale. Pamuk mi ha fatto comprendere che anche la poesia e i poeti dovevano andare in quella direzione  rimettendo in discussione il proprio ruolo e la propria posizione nella storia di questi anni.

Fin da adolescente, avendo vissuto a Napoli e nella provincia, ho sempre sentito di avere qualcosa in comune con il popolo turco. Basti pensare che ancora oggi, alcune parole della lingua napoletana sono identiche a quelle turche: ad esempio,  “avash” in napoletano, in turco pronunciato “javash”,  hanno lo stesso significato: “abbassa”, “non correre”, “fermati”. E’ il “tono”, l’autorità con cui la parola viene pronunciata che fa assumere alla stessa parola diversi significati, ma il senso è lo stesso.

Ho ancora negli occhi la prima volta che vidi Istanbul. Il meraviglioso Palazzo Dolmabahçe, il primo palazzo in stile europeo di Istanbul, situato nella parte occidentale della città a ridosso del Bosforo, ex residenza di Ataturk, e poi le stradine di Sultanahmet, l’università,  il venditore di acqua, i minareti, Santa Sophia, la moschea blu, la voce del muezzin, il mercato coperto, l’odore del pesce fritto e servito sulla carta, la confusione a piazza Taksim e l’affabilità delle persone, mi avevano dato la netta sensazione di non essere poi tanto lontana da  Napoli. E tutte le volte che ero tornata lì, nel tempo, e mi ero  fermata di notte sul Bosforo a guardare il paesaggio, nel brulicare delle luci davanti a me, avevo  avvertito sulla mia pelle una certa familiarità con quel luogo. I contrasti, le contraddizioni, i sentimenti di discordia tra fratelli descritti  da Pamuk nel suo romanzo autobiografico Istanbul, li conoscevo; facevano parte anche della mia cultura e erano realtà incandescenti almeno quanto lo erano per Pamuk.

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“Ad Patrem”, carme elegiaco di Gianluca Fùrnari

Il carme che qui ci presenta Gianluca FùrnariAd Patrem” è scritto secondo la tradizione elegiaca: si alternano esametri e pentametri seguendo una tradizione inaugurata in Grecia nel VII secolo a. C., una tradizione che raggiunge la vetta nel I secolo d.C. con poeti come Catullo, Tibullo, Properzio e Ovidio.  In particolare, il rappresentante al quale Gianluca  si ispira per scrivere il suo carme, è Mimnermo di Colofone, un poeta elegiaco greco antico vissuto, molto probabilmente, tra il VII e il VI sec. a. C. ed è  impostato come dialogo con il padre morto. La lingua che sceglie Fùrnari è però il latino da lui stesso definito “una lingua metastorica che, fino al secolo scorso, si è rivolta a tutte le generazioni con un linguaggio che non ha mai perso la sua lucidità”.
Me ne sono andato quando ho scoperto / che soffrivi di atropia, si legge in esergo al testo, e qui la parola atropia assume il significato della malattia della morte, della tenebra, in una caratterizzazione genetica, programmata. Poi nella sua nota Gianluca ci riferisce di un sogno, come a voler spiegare, a chi legge, che scrivendo in latino egli abbia cercato di entrare nella “metastoria”, mettendo in comunicazione la sua generazione con quelle che lo hanno preceduto attraverso un codice, una lingua, appunto, atropica:  una lingua che da un lato recide la vita e dall’altro ce la restituisce in un’elegia, un carme,  trasportato dalle ali di una farfalla notturna, come l’ Acherontia atropos che ha sul dorso il disegno di un teschio, ed emette, ogni tanto, uno stridìo, un verso, simile a un lamento.

(di Luigia Sorrentino)

 

Nota di Gianluca Furnari

Nei sogni dolorosi mi scoprivo spesso afono: non solo ero circondato da sagome monodimensionali, appena uscite dalle mani della mia coscienza, ma mi si toglieva persino il diritto di entrarvi in comunicazione. Sperimentavo una solitudine concentrica, e il tentativo di alzare la voce non faceva che esacerbarla. Continua a leggere

Fabiano Alborghetti

Fabiano Alborghetti Credits/Alain Intraina

Fabiano Alborghetti Credits/Alain Intraina

Si sentì come un tuono e fu in tutte le valli

Il sette d’agosto del settantotto
accadde il diluvio:
pioveva a dirotto
che mai tanta pioggia fu vista così
ma chi immaginava un tale disastro?
Si disse l’odore del fiume diverso, il rumore
dei sassi cozzare coi sassi
e l’acqua, la pioggia
poi la luce mancata, poi il rombo dovunque
si sentì come un tuono e fu in tutte le valli
Mesolcina Onsernone e Blenio e Calanca
Centovalli e Verzasca come anche la Maggia:
nella pioggia infinita
crollate le valli
i fiumi esondati trascinare detriti
e tronchi e pietrame, le strade sommerse
e i ponti divelti, smottamenti e valanghe
le frane spianare le case, le cose
e talvolta un muggito
di animali nel fango strascinar verso valle
a morir di terrore con gli occhi sbarrati.

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Valentina Pinza, “Il pane del giorno prima”

 

valentina_pinzaValentina Pinza (nello scatto di Valentina Gaglione) è nata a Ravenna nel 1982, laureata all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2008 è attualmente  libera professionista nel campo delle arti visive.
Dalla seconda metà degli anni duemila partecipa occasionalmente a concorsi, letture pubbliche e azioni poetiche.
Una sua silloge è stata pubblicata sul numero 77 di Atelier.
Vive e lavora a Bologna. Continua a leggere

Una poesia di Marco Bini

marco_biniA cura di
Luigia Sorrentino

MARCO BINI, nato nel 1984, vive a Vignola (Mo). Si è laureato in Lettere moderne all’Università di Bologna. Oltre a scrivere poesie e traduzioni, collabora con l’organizzazione di Poesia Festival in provincia di Modena. Suoi testi sono apparsi nell’antologia La generazione entrante (Ladolfi editore, 2011). Nel 2011 è uscito il suo primo volume di poesie dal titolo Conoscenza del vento (Ladolfi editore), con il quale ha conseguito diversi riconoscimenti, mentre del 2013 è la plaquette autoprodotta Posto unico. È redattore della rivista “Atelier”, e collaboratore anche della versione online per la quale traduce dall’inglese poeti stranieri.

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