Dylan Thomas, due poesie

Dylan Thomas nella traduzione di Maria Borio

Nel mio mestiere o nella mia scontrosa arte…

Nel mio mestiere o nella mia scontrosa arte
Allenata nella notte silenziosa
Quando solo la luna infuria
E gli amanti stesi nel letto
Con tutte le loro pene fra le braccia
Io mi affatico per una luce che canta
Non per ambizione o per pane
Né per mostrarmi e vender fascino
Sui palcoscenici d’avorio,
Ma per il comune salario
Del loro cuore più segreto.

Non per il superbo che s’allontana
Dalla luna che infuria io scrivo
Su questi spruzzi di pagine
Né per i morti che svettano
Con i loro usignoli e i loro salmi,
Ma per gli amanti, le loro braccia
Intorno ai dolori degli anni,
Che non pagano preghiere o salario
E non si curano del mio mestiere o arte.

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Dylan Thomas, due poesie

Dylan Thomas nella traduzione di Maria Borio

Al principio…

Al principio era una stella a tre punte,
Un sorriso di luce attraverso il volto vuoto,
Un ramo di osso attraverso l’aria che si radicava,
La sostanza divisa che diede midollo al primo sole,
E, bruciando cifre nel giro dello spazio,
Cielo e inferno si mescolavano roteando.

Al principio era la pallida firma,
Sillabata tre volte e stellata come il sorriso,
E dopo vennero le tracce nell’acqua,
Timbro del volto coniato sulla luna;
Il sangue che toccò la croce e il graal
Toccò la prima nuvola e lasciò un segno.

Al principio era il fuoco crescente
Che incendiava le atmosfere da una scintilla,
Una scintilla a tre occhi, rossi occhi, spuntata come un fiore,
La vita sorgeva e zampillava dai mari rotanti,
Esplosa alle radici, pulsati dalla terra e dalla roccia
Gli oli segreti che guidano l’erba.

Al principio era la parola, la parola
Che forma le solide basi della luce
Estrasse tutte le lettere del vuoto;
E dalle nuvolose basi del respiro
La parola fluì in alto, traducendo al cuore
I primi caratteri della nascita e della morte.

Al principio era la mente segreta.
La mente era chiusa e saldata nel pensiero
Prima che il caos si dividesse al sole;
Prima che le vene si scuotessero nel loro setaccio,
Il sangue lanciò e sparse ai venti della luce
L’originale costola dell’amore.

Traduzione di Maria Borio

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Dylan Thomas, due poesie

Dylan Thomas nella traduzione di Maria Borio

La collina delle felci (apparsa su «Testo a fronte», 58, I, 2018)

Quando ero giovane e puro sotto i rami di mele
Vicino alla casa sonora e felice perché l’erba era verde,
La notte immensa sopra la valle stellata,
Il tempo mi faceva esultare e risalire
Dorato l’apice dei suoi occhi,
E fra i carri adorato ero il principe delle città di mele
E una volta oltre il tempo, divino, alberi e foglie
Con orzo e margherite trascinai
Lungo i fiumi di luce dei frutti caduti nel vento.

E verde e spensierato, celebre fra i granai
Vicino all’aia felice, e cantavo perché la fattoria era casa,
Nel sole che solo una volta è giovane,
Il tempo mi faceva giocare
Dorato nella grazia dei suoi mezzi,
E verde e dorato ero il cacciatore e il mandriano, i vitelli
Cantavano al mio corno, le volpi sulle colline latravano limpide e fredde,
E il giorno del Signore risuonava lento
Fra i ciottoli dei ruscelli sacri.

Per tutto il sole era correre, era bello, i campi
Di fieno alti come la casa, le melodie dai camini, era aria
E gioco, bello e d’acqua
E il fuoco verde come l’erba.
E la notte sotto le pure stelle
Mentre cavalcavo il sonno i gufi portavano la fattoria lontano,
Per tutta la luna, fra le stalle beato, sentivo i caprimulgi
Volare con il fieno dei covoni e i cavalli
Illuminarsi nel buio.

E poi sveglio, e la fattoria, come un nomade bianco
Nella rugiada, tornava indietro, il gallo sulla spalla: era tutto
Splendore, era Adamo e la vergine,
Il cielo nuovamente si addensava
E il sole si faceva rotondo proprio in quel giorno.
Così doveva essere la creazione della luce
Pura nel posto rotante del principio, i cavalli incantati
Caldi andavano fuori dalla stalla che nitriva verde
Verso distese di lode.

E celebrato tra le volpi e i fagiani vicino alla casa gioiosa
Sotto le nuvole appena create e felice quanto il cuore durava,
Nel sole più volte nato,
Percorrevo le mie strade svagate,
I desideri facevano correre la casa nel fieno alto
E non mi curavo, nei miei scambi celesti, che il tempo accogliesse
In ogni suo giro melodioso solo poche canzoni d’alba
Prima che i bambini verdi e dorati
Lo seguissero fuori dalla grazia,

Non mi curavo, nei giorni bianchi agnello, che il tempo mi portasse
Alto nel solaio affollato di rondini con l’ombra della mia mano,
Nella luna che sempre sta sorgendo,
Nemmeno che cavalcando il sonno l’avrei sentito
Volare con i campi alti e al risveglio nella fattoria
Dileguato per sempre da una terra senza bambini.
Oh, quando ero giovane e puro nella grazia dei suoi mezzi
Verde e morente mi teneva il tempo
Benché cantassi nelle mie catene come il mare.

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La furia analogica di Dylan Thomas

Dylan Thomas

DYLAN THOMAS LO SCIAMANO

Commento e traduzione di Alessandro Bellasio

Poeta degli elementi e delle linfe segrete della natura, voce accorata del contatto magico e primordiale con il mondo, Dylan Thomas (Swansea, 1914 – New York, 1953) è autore di un corpus poetico in cui la dirompente furia analogica è disciplinata da un bagaglio retorico accuratamente scelto e limitato, fedele alle figure amate (antitesi semantiche, sinestesie, assonanze, allitterazioni), e capace di dare vita a potenti architetture visive, culminanti in improvvise accensioni visionarie.

Vere avventure percettive, le liriche di Thomas si condensano preferibilmente intorno a pochi nuclei psichici ricorrenti, descrivendo un moto centrifugo, rotatorio, privo di sviluppo e, piuttosto, immortalato nell’attimo estatico di contemplazione della propria sorgente interiore.

Con il suo ritmo ipnotico, con la sua voce antica e sciamanica, il grande poeta gallese, prima di affondare per sempre negli abissi dell’alcol, ci ha consegnato una folgorante testimonianza di cosa sia la poesia ispirata, e di quale forza arcaica e rovinosa sia portavoce il poeta “entheos”, il poeta “posseduto dal dio”, per cui tramite ci giunge la voce perduta e panica di un’inattingibile origine.
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Dylan Thomas, poesie

DYLAN THOMAS

Nel mio mestiere o arte ombrosa

 

Nel mio mestiere o arte ombrosa
praticata nella notte quieta
quando solo la luna s’infiamma
e gli amanti riposano a letto
con tutti i dolori nelle braccia,
il mio lavoro è cantare la luce
non per ambizione o pane,
non per vanagloria o commercio di incanti
su impalcature in avorio
ma per il modesto salario
del loro più segreto cuore.
Non scrivo per l’uomo orgoglioso
che si ritrae nella furia di luna
su questo zampillo di pagine,
non per i morti che torreggiano
con i loro usignoli e salmi
ma per gli amanti che abbracciano
i dolori di tutte le età,
e non offrono lodi o compensi
incuranti del mio mestiere o arte.

 

 

In my craft or sullen art

Exercised in the still night
When only the moon rages
And the lovers lie abed
With all their griefs in their arms,
I labour by singing light
Not for ambition or bread
Or the strut and trade of charms
On the ivory stages
But for the common wages
Of their most secret heart.
Not for the proud man apart
From the raging moon I write
On the spindrift pages
Not for the towering dead
With their nightingales and psalms
But for the lovers, their arms
Round the griefs of the ages,
Who pay no praise or wages
Nor heed my craft or art. Continua a leggere