Cesare Pavese, nella luce stupita

LA NOTTE E IL RICORDO

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Lo stupore di una notte remota avvolge questa poesia di Cesare Pavese. È un istante della vita, ventoso e limpido il ricordo del vago ricordare. Lo sguardo del poeta ha conservato il ricordo di una notte lontana che non sapeva che avrebbe ricordato. Perché quando viviamo un’esperienza, non sappiamo che cosa resterà in noi di quel vissuto, cosa entrerà nel nostro ricordo, non lo sappiamo mai. Ecco apparire lo stupore, la fissità dello sguardo remoto che vede. Lo sguardo remoto è sempre immobile, statico, come pietra appuntita conficcata nel petto. Il bambino guarda la notte sui colli d’estate, ammassati, senza confini. E in quella immobilità solo il frusciare nitido delle foglie, in una morte inconsapevole, desiderio di nulla. Continua a leggere

Una poesia di André Breton

Le Soleil en laisse

à Pablo Picasso

Le grand frigorifique blanc dans la nuit des temps
Qui distribue les frissons à la ville
Chante pour lui seul
Et le fond de sa chanson ressemble à la nuit
Qui fait bien ce qu’elle fait et pleure de le savoir
Une nuit où j’étais de quart sur un volcan
J’ouvris sans bruit la porte d’une cabine et me jetai aux pieds de
la lenteur
Tant je la trouvai belle et prête à m’obéir
Ce n’était qu’un rayon de la roue voilée
Au passage des morts elle s’appuyait sur moi
Jamais les vins braisés ne nous éclairèrent
Mon amie était trop loin des aurores qui font cercle autour d’une
lampe arctique
Au temps de ma millième jeunesse
J’ai charmé cette torpille qui brille
Nous regardons l’incroyable et nous y croyons malgré nous
Comme je pris un jour la femme que j’aimais
Nous rendons les lumières heureuses
Elles se piquent la cuisse devant moi
Posséder est un trèfle auquel j’ai ajouté artificiellement la
quatrième feuille
Les canicules me frôlent comme les oiseaux qui tombent
Sous l’ombre il y a une lumière et sous cette lumière il y a deux
ombres
Le fumeur met la dernière main à son travail
Il cherche l’unité de lui-même avec le paysage
Il est un des frissons du grand frigorifique

Da Clair de terre
(1923) Continua a leggere

Rocco Scotellaro, “La mia patria è dove l’erba trema”

Rocco Scotellaro, in un’immagine emblematica

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Io sono un filo d’erba / un filo d’erba che trema. / E la mia patria è dove l’erba trema/. Sono versi di Rocco Scotellaro (Tricarico, Basilicata 1923-1953) scritti nel 1949, la cui opera, di dirompente attualità, è stata recentemente pubblicata nei Nuovi Oscar Mondadori a cura di Franco Vitelli, Giulia Dell’Aquila e Sebastiano Martelli.  Un’opera che mancava da troppi anni nel panorama della poesia italiana, un libro di un grande uomo e di un poeta del sud morto a soli 30 anni. Il filo d’erba che trema è l’identificarsi di Scotellaro con il mondo dei derelitti, di coloro che vivono ai margini, confinati nelle periferie di tutte le città del mondo.

La sua voce è un grido di rivolta verso le ingiustizie, di disapprovazione nei confronti della civiltà industriale che ha condannato a morte la civiltà contadina “prima ancora di essere pronta a sostituirla completamente”, come scriveva Giorgio Bocca nel 1964.

Aver inserito l’opera di Rocco Scotellaro negli Oscar Moderni colloca definitivamente il poeta italiano nel novero dei Grandi Classici del nostro tempo.

 


AI GIOVANI COMUNISTI

Miei carissimi amici di oggi e di domani,
mi hanno detto alcuni miei amici americani
che voi siete dei cani per la Libertà.
So che sorridete a queste parole
al modo che so io, dei santi
e ve ne state zitti e lasciate finire il discorso. Continua a leggere

Il “Punto Alfa” di Luigia Sorrentino: per una lettura di “La nascita, solo la nascita”

Luigia Sorrentino /credits photo Gerardo Sorrentino

di Marco Pavoni 

Vorrei una città che accolga una sola persona e tutte le altre persone”. Così ha scritto alcuni anni fa Luigia Sorrentino nell’ambito della sua pagina Facebook, auspicando una consapevolezza problematica di se stessa e dell’umanità in generale. Perché “problematica”? Forse perché l’autrice è convinta del fatto che, per arrivare a un pieno possesso del Sé più autentico, la sua persona, e il consorzio umano, devono passare attraverso dei dolorosi stadi di purificazione: tali stadi coinvolgono l’autrice che, come gli altri esseri umani impegnati nel cammino lungo il sentiero dell’arte, ha il compito e il dovere di tradurre, in versi letterariamente degni di nota, gli effetti devastanti che la realtà molto spesso produce. Ciò, nell’ambito del libro “La nascita, solo la nascita, è reso evidente nella sezione intitolata “Le onde della terra”: il lettore si trova di fronte a un poemetto liberamente ispirato al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, che colpì la Campania e la Basilicata. Continua a leggere

Andrea Camilleri, “Lo scatto del ricordo”

Lo scrittore Andrea Camilleri durante la presentazione dello spettacolo ‘Festa di Famiglia’ al teatro India di Roma, 28 settembre 2009.
ANSA / GUIDO MONTANI

PER ANDREA CAMILLERI
(6 settembre 1925, Porto Empedocle – 17 luglio 2019, Roma)

di Luigia Sorrentino

Conobbi a Roma Andrea Camilleri nel periodo in cui era titolare della cattedra di regia all’Accademia nazionale d’arte drammatica nel 1991. Mi fu presentato da un’amica, Lucia Panaro, che avevo conosciuto a Milano alle prove di ammissione di “regia” al Piccolo Teatro di Giorgio Strehler. Lucia nel frattempo era entrata in Accademia e aveva studiato con Camilleri del quale era diventata amica. Me ne parlava spesso, mi diceva che voleva farmelo conoscere perché avevamo una passione in comune, la poesia. Ricordo perfettamente la mattina in cui incontrai per la prima volta Camilleri a Roma, proprio davanti l’Accademia. Entrammo in un bar per prendere un caffè, quando, all’improvviso, dopo le presentazioni, ebbe inizio fra me e lui una tenzone sui versi di Eugenio Montale: “ E dai” mi disse, “facciamo una gara e vediamo chi vince!” Continua a leggere