Franco Loi, un maestro senza volerlo

di Alessandro Moscè

Franco Loi è stato un poeta sacerdotale che nella delicata meraviglia della poesia ha cercato solo lo specchio della verità, propagandone i suoi riflessi. La sua parola è esplorativa nella terrigena virtù, nell’aggettivazione scarna, in un qualcosa che taglia in due la realtà e il carattere umano, profondo. In fondo come la sua Milano dialettale, di strada, illuminata in un taglio descrittivo, che placò in parte, nel molle andamento, la coscienza dell’uomo che guardava spesso gli altri per capire meglio sé stesso.

Loi era nato a Genova nel 1931 e si era trasferito a Milano giovanissimo, dove aveva iniziato a produrre le prime poesie sotto la spinta di un’epica popolare lirico-narrativa (pubblicò, per la prima volta, a 35 anni, dunque tardivamente).

E’ considerato all’unanimità uno dei maggiori poeti della nostra contemporaneità a partire dagli anni Settanta. Attraverso i decenni, dimostrò una propensione all’analisi civile, alle trasformazioni della società, compresa la contradditoria fase della contestazione e del terrorismo (aveva militato nel Pci, nella sinistra extraparlamentare e parlava di Dio come di un mistero vibrante dell’essere al mondo).

Franco Loi sentiva i versi nascere da un impulso che si svegliava improvvisamente. Me lo disse una volta, a Fabriano, quando mi regalò un suo libro appena dato alle stampe e mi abbracciò fraternamente, con la consueta disponibilità e affabilità.
Il poeta sapeva andare oltre. Di quanti dolori e misteri, di quante scoperte e gioie si compone la nostra esistenza? Come si esce da un malessere che lacera la mente e spesso il corpo? Sono queste le domande che ossessionano, in un vortice che sembra, inizialmente, girare solo su noi stessi. Ci vuole del tempo per far sì che l’incubo prenda una direzione, che accolga la speranza di un nuovo corso, quello che Loi trovò perfettamente aderente alla poesia.

Ad un certo punto la svolta apparve tipica di chi assorbe e restituisce l’amore come il viatico per sollecitare lo stupore e l’incanto infantile, pertanto qualcosa di salvifico. Da Isman (Einaudi 2002): “Cume me pias el mund! L’aria, el so fiâ! / j àrbur, l’èrba, el sû, quj câ, i bèj strâd / la lüna che se sfalsa, l’èrga tra i câ, /me pias el sals del mar, i matt cinâd, / i càlis tra i amís, i abièss nel vent, / e tücc i ròbb de Diu, anca i munâd, / i spall che van de / pressia cuj öcc bass, / la dònna che te svisa i sentiment: / l’è lí el mund, e par squasi spettàss / che tí te ‘l vàrdet, te ghe dét atrâ, / che lü ‘l gh’è sempre, ma facil smemuriàss. / tràss föra ind i pernser, vèss durmentâ… (Come mi piace il mondo! / L’aria, il suo fiato! / gli alberi, l’erba, il sole, quelle case, le belle strade, / la luna che muta sempre, l’edera tra le case / mi piacciono il sale del mare, le matte stupidate, / i calici tra gli amici, gli alberi nel vento, / e tutte le cose di Dio, anche le piccolezze, / e i tram che passano, i vetri che risplendono, / le spalle che vanno di fretta a occhi bassi, / la donna che ti turba i sentimenti: / è lì il mondo, che sembra aspettarsi / che tu lo guardi, che gli dai retta, / poiché lui c’è sempre, ma è facile dimenticarlo, / distrarsi nei pensieri, essere addormentati…”). Continua a leggere

Maurizio Cucchi, “Sindrome del distacco e tregua”

Maurizio Cucchi, per gentile concessione dell’autore

Sono qui, vicino al ponticello delle sirenette
e guardo curioso il laghetto nel parco. Eccomi
così tornato alle notizie della materia più impalpabile
che ospita e alimenta un pullulare sparso
che rassomiglia a noi, microrganismi
senza volto sociali.

Da Sindrome del distacco e tregua, di Maurizio Cucchi, Mondadori 2019

 

Dalla quarta di copertina  

Accanto all’affabilità e alla pastosità porosa del mondo com’è, si accentua in questa nuova raccolta di Maurizio Cucchi un predicato di frugalità: abito mentale dell’io, ma soprattutto medium per umanizzare la realtà. Sindrome del distacco e tregua si suddivide in otto parti, prive di trama lineare, ove conta «l’insistere virtuale sulla scena / la rapsodia sparsa e sempre minuziosa / delle circostanze». Emblema di poetica implicita, tale sigla rimanda a una compattezza intonativa e di sguardo che si avvale – più che in passato – di modalità davvero sperimentali di scrittura e d’espressione: alla polifonia e drammaturgia metrico-prosodiche di cui Cucchi è maestro si aggiungono qui stacchi in prosa tutti funzionali, oltre a due fotografie pienamente empatiche a un libro magnifico, struggente, necessario. Cronotopo è l’atlante (fisico e interiore), che permette di trascorrere dall’ucraina Pryp’jat’ (a tre Km da Černobyl’) a una Nizza amata e frequentata e alla natìa Milano, messa in emblema dalla centralità del Cenacolo di Leonardo fino ai margini delle sue banlieue, ripercorse attraverso la memoria di un libro in prosa per Cucchi fondamentale come La traversata di Milano (2007): omaggio ai mèntori della sua formazione , Sereni e Raboni. Il tempo di Sindrome del distacco e tregua è invece quello vertiginoso che salda insieme le epoche, dalla preistoria al Quattro e Seicento, fino ai brucianti fotogrammi del presente. Così può librarsi, questo Cucchi ispiratissimo, nella meraviglia aperta di una frugale quotidianità anonima.

Alberto Bertoni

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Michel Orcel, La Divine Comédie

Fondation Saint-John Perse.

Dante, Inferno, Canto III
Traduzione dall’italiano al francese di Michel Orcel

Luigia Sorrentino legge il Canto III dell’Inferno

 Enfer

Chant III

 

PAR MOI L’ON VA DANS LA CITÉ DOLENTE,

PAR MOI L’ON VADANS L’ÉTERNE DOULEUR,

PAR MOI L’ON VA PARMI LA GENT PERDUE.

 

 

JUSTICE MUT MON SOUVERAIN FACTEUR :

ME FABRIQUA LA DIVINE PUISSANCE,

LE SUPRêME SAVOIR, L’AMOUR PREMIER.

 

 

IL N’Y EUT DEVANT MOI CHOSES CRÉÉES

SINON ÉTERN’ ET JE DURE ÉTERNEL.

LAISSEZ DONC TOUT ESPOIR, VOUS QUI ENTREZ. Continua a leggere