Il mare e la scrittura

Giuseppe Conte

Note in margine a Non finirò di scrivere sul mare, Mondadori, Milano, 2019, di Giuseppe Conte)

di Marco Marangoni

Mentre stendo queste note, i giorni sono questi della pandemia 2020. Ci sentiamo improvvisamente più fragili. Ed è presa di coscienza, questa, tragica anche se necessaria, dal momento che ci costringe seriamente a considerare quel fondo senza fondo che è la natura e che come tale avevamo troppo facilmente adombrato o rimosso.

E mentre così una forza imponderabile ci sovviene, quasi tornasse a farsi presente l’antico e lo straniante, sono proprio le parole dei poeti, solitamente neglette, che ci possono offrire un orientamento. Viene però da domandarsi, con Hölderlin, se questo non accada per il fatto che è sempre difronte al pericolo che sopravviene ciò che salva.

Certo è che, in un tale orizzonte di considerazioni, la poesia di Giuseppe Conte si mostra ospitale e necessaria, e tanto più in questo ultimo libro. E converrà leggerlo, data la sua stilistica consistenza, in rapporto al background che lo sostiene. Si dovrà partire almeno da un sentimento abbandonato dell’esserci, che ha nutrito i suoi versi fin dagli inizi; e da lì comprendere quello sbocco a “fonti romantiche e simboliste” (Marco Forti) per cui nel ‘76 Luciano Anceschi ebbe a parlare di “un fluire autre nella riconquista del desiderio”, nonché del “diritto di essere deboli con gioia”. Continua a leggere

La poesia che chiede di spargersi e andare

Sindrome del distacco e tregua, di Maurizio Cucchi, (Mondadori, Milano, 2019)

Note
di Marco Marangoni

“Polifonia e drammaturgia metrico-prosodiche”, “stacchi in prosa” (A. Bertoni, nella quarta di copertina), ma anche un corredo fotografico, sono i tratti formali, del nuovo lavoro di M. Cucchi, che nel suo insieme mostra come la “poesia” possa proporsi in sintonia con la complessità attuale e postmoderna. Lirica e oltre. Poesia e non solo. Ed è un libro che ci guida anche come un cronotopo, da Černobyl’- teatro del noto disastro nucleare- a Nizza, passando per la familiare e natia Milano.

Notiamo anzitutto come un linguaggio, segnato dalla lezione di maestri quali Sereni e Raboni, si presti a nuove riprese, per temi e approcci; continui cioè a venire elaborato, riuscendo a una cifra “lirica/post-lirica” (comprensiva, sempre più, di uno speciale andamento meditativo). L’effetto finale che viene ottenuto è quello di un suono-senso moderno e classico al tempo stesso, regolato da una “ media quiete” ( “ mediocrità innocua e gentile del mondo”), funzionale ad esprimere tanto il minuzioso quanto il complessivo; e così si vedano espressioni topiche quali “ perso” “pullulare sparso” “centrifugato”, “abbandonato”, “vuoto areo”, “popolatissimo”, “più impalpabile”, “microorganismi”, “orizzontale indifferenza acquatica”, “minutissimo e prezioso”, ecc; il tutto attraversato da una intenzionalità in qualche modo filosofica: “ Il grande occhio dell’essere”; “ l’orizzonte semplice, /lo stesso che animava il messaggio elementare/ del primordiale artista”. La voce inoltre che prende corpo nella scrittura ci giunge diretta, ma anche obliquamente, per un sistema aperto di risonanze. Il fondo tonale, sempre udibile nella lettura dei testi, oltrepassa i significati immediatamente reperibili, e l’alone del “non detto” -la simbolicità- amplifica il tutto. Tale simbolicità non produce però incantamento, ma una spinta (quasi istitutiva della parola) di liberazione espressiva, di decompressione, diciamo, del linguaggio- traccia che ricorda un esordio poetico avvenuto in anni di forte “immaginario” utopico. Continua a leggere

Rilke, le poesie francesi

Rainer Maria Rilke

Verges o la poesia della “tenerezza”
di Marco Marangoni

Note in margine a Verzieri, Le poesie francesi. Introduzione e traduzione di Pierangela Rossi, Biblioteca dei Leoni, Castelfranco veneto (TV), 2018.

Tenendo conto soprattutto, tra le altre, della traduzione delle Poesie francesi di Rilke, firmata da Roberto Carifi (Crocetti Editore, Milano, 1989), oltre che del lavoro critico dei maggiori studiosi italiani del “settore”, P. Rossi ci offre una nuova versione di Vergers, il “primo grande manoscritto compiuto” di poesie francesi. L’opera venne composta tra il gennaio 1924 e il maggio 1925 e poi pubblicata nella Nouvelle Revue française nel 1926. La traduttrice in questa versione ci indirizza anzitutto a soffermarci sul sentimento della “tenerezza”, variante più intima della gioia lirica: “Ogni cosa è sospesa – commenta la Rossi- tra peso e leggerezza. […] Rilke, per esempio, non si stanca mai di pronunciare “tenero” (Biografia, introduzione a Verzieri, op. cit., p.16).

Dove, nella traduzione di Carifi, era il pensiero poetante -sulle orme di Blanchot e di Heidegger- a guidare le parole rilkiane da una “patria di morte” a una Heimat di canto, in quella della Rossi si nota il tentativo di una sintonia con una certa grazia di dettato, oltre che di chiarezza comunicativa, fino a una specie di conquistato respiro, cui la poetessa-traduttrice tende già nel suo lavoro autonomo in versi. E quale specimen di quanto detto, può giovare un confronto tra la due “versioni”, e proprio a partire emblematicamente dal verso iniziale della lirica intitolata Verzierie (Verger): Continua a leggere

La luce poetica della carità

Pasquale Di Palmo

NOTE IN MARGINE
di Marco Marangoni

Il tema della carità quale centro tematico del nuovo libro del veneziano Pasquale Di Palmo, in realtà è forse l’asse poematico attorno al quale ruota da sempre il suo lavoro. Infatti in precedenti libri (Ritorno a Sovana, Edizioni l’Obliquo, Brescia, 2003; Trittico del distacco, Passigli, Firenze, 2018) aveva dichiarato e ripetuto quale fosse per lui la funzione della poesia; ossia, parafrasando: nel donare poesie gratuitamente a chi non sa che farsene. Si tratterebbe di una forma, la poesia, estrema di pietà, una specie di compassione rivolta dunque a chi nemmeno se l’aspetta.  Poesia o compassione per la nuda vita in cui siamo consegnati nei giorni dell’esistenza.

Con le poesie ne verrebbe un linguaggio in cui far passare una certa comprensione di noi, che ci rivela a noi stessi, e che se non ci salva, almeno ci decanta in quel tanto di bene che sta proprio nel lavoro curativo del verbo poetico.  Di questo tenore sono i versi di Maternità Dolfin: in questa luce agonizzante di San Francesco/della Vigna disertata dai turisti[]abbassi lo sguardo mentre lo sguardo/superbo di Sebastiano ci fronteggia […] anche se riappacificati con questa luce/di naufragio, non con il mondo/ che schernisce il mondo”. (La carità, op.cit., p.66).  Ma per giungere a quest’esito di decantamento si dovrebbe affrontare,tutto insieme, il teatro della crudeltà e della meraviglia che è lavita”– P. Lagazzi , dalla prefazione a La carità, op. cit., p. 15.  L’osservazione del critico (che allude ad Artaud, surrealista amato e studiato dal Nostro) è coerente peraltro con la citazione diE. Levinas che troviamo in esergo alla sezione di La caritàintitolata “Il colore dominante”: “Contro la vita, è nella vita che cerchiamo rifugio”. Continua a leggere

Stefano Vitale, “Saggezza degli ubriachi”

La saggezza ebbra dei poeti. Stefano Vitale

di Marco Marangoni
             “ perduti nello specchio infranto del suono”

Con Saggezza degli ubriachi – La vita felice, Milano 2017- Stefano Vitale ci introduce sempre più addentro al percorso poetico che da tempo lo impegna, tra ricerca etica e stilistica. Un percorso che si inquadra nell’esigente sentire della poesia coeva e che merita attenzione, sia per le doti di intensità espressiva, sia per il senso del cammino che vi ritroviamo. Il “mal di vivere” montaliano appare come il più evidente “presupposto” di questa poesia, da cui si diramano altri rinvii, espliciti/impliciti, tanto in direzione della tradizione italiana che di quella europea, soprattutto francese: “prend garde à la doucer des choses” (citazione presente in Il retro delle cose, puntoacapo, Novi Ligure (AL)2012, p.28). Continua a leggere